SOPRA UNA STAFFILATA DEL MONTI AI ROMANTICI

(Dialogo con un amico).

Passeggiando jeri dopo il pranzo, come si suole, sul Corso di Porta Orientale, mi abbattei, come accade, in un amico, il quale, fermatomi, come si fa, mi chiese, ed io a lui, notizie della salute, le quali, grazie al cielo, furono ottime da ambe le parti. - E quella staffilata che Monti ha data ai romantici? diss'egli poi tosto. Scrivo com'egli disse: Monti, senza più, giacchè è uno di quei nomi, che, fuori d'ogni taccia d'inciviltà, si può dire e scrivere senz'altri accompagnamenti. Ma per tornare al fatto: - Che staffilata? domandai io. - Diavolo! diss'egli; lì, dopo i personaggi del dialogo in cinque pause.... via, nell'ultimo volume della Proposta. - Da vero ch'io non vi capisco, risposi. - Come? replicò egli, non avete lette quelle parole: Il luogo della scena è romantico, cioè dove torna più conto? - Oh santa provvidenza![439] sclamai io: e questa vi pare una staffilata? - No, eh? diss'egli: sarà un biscottino. - Oh bene, ripresi io, giacchè voi l'intendete a questo modo, non sarà vero ch'io vi lasci finchè io non v'ho fatto vedere che l'intendete a rovescio; voi andate di qua, ed io torno indietro e vengo con voi. - Così detto, innestai bravamente il mio braccio destro tra il suo sinistro e le coste di questa parte, e m'avviai con lui.

- Come diavolo, dissi poi, avete voi potuto sentire una staffilata in quelle parole? - Come? rispose egli: oh non è ella chiara? o burlate voi? Non voglion dire quelle parole che i romantici schivano le difficoltà, fanno quello che torna loro più comodo? - Oh bella! diss'io: non fanno così tutti gli uomini che hanno cervello? Volete che si faccia ciò che torna men conto? Noi andiamo ora a casa vostra; se venisse uno e dicesse: vedete, coloro vogliono andare a Porta Vercellina, e camminano per la Corsìa dei Servi, che è la strada più breve; vogliono andar presto e con la minor fatica possibile, e mettono un piede innanzi l'altro, invece di andare a piè zoppo: fanno quello che torna loro più conto: credete voi che costui ci darebbe una staffilata? - Oh! disse l'amico: questa è ben curiosa! che ha che fare l'andare a casa col luogo della scena? - Hanno che fare in questo, risposi io,[440] che nell'un caso e nell'altro è cosa molto ragionevole far ciò che torna conto; e chi osserva che voi fate così, non intende burlarvi. Che cosa vuol dire tornar conto? Essere spediente, venire utile, servire all'intento. Se Monti avesse detto che il mutare la scena, come i romantici dicono che si debba fare, secondo lo richiede l'azione, è metodo che allontana dall'intento che l'autore si debbe prefiggere, avrei inteso, con maraviglia però, ch'egli voleva censurare quel metodo. Ma egli dice il contrario, e per me non posso vedere in quelle parole altro che una approvazione. E non vedete che egli stesso in quel dialogo ha seguito un tal metodo? - Sì, replicò l'amico, ma quivi è tutto in burla, non è mica un componimento serio. - Che vuol dire? ripigliai io; che negli argomenti serii bisogna fare quello che non torna conto? Ma non vedete che, serio o scherzevole che l'argomento sia, il principio è lo stesso? Perchè Monti ha mutata la scena in quel dialogo? Perchè ad esprimere quell'un concetto che egli aveva immaginato,bisognava fare scorrere l'immaginazione del lettore in varie parti. E facendolo egli in un soggetto tutto fantastico, dove i luoghi sono affatto immaginarj, come volete voi che censuri il metodo che insegna a mutare la scena a seconda di trasposizioni di personaggi, o realmente avvenute, o molto più[441] verosimili? il metodo che prende queste mutazioni, o nelle cose stesse, o nella natura delle cose?

- Ma se queste parole non volessero dire altro se non il tornar conto usuale, ragionevole, perchè Monti le avrebbe dette? Se ne togliete la staffilata, non significano più niente. Che sugo c'è, in grazia? - Molto sugo, a parer mio, risposi; e giacchè stiamo interpretando ognuno secondo le nostre idee, io vi dirò il senso che ho inteso in quelle parole, e che mi pare assai arguto e opportuno. Nelle cose della vita non si rimprovera ad uno il fare secondo che gli torna conto, ma nelle cose della letteratura... - Oh le belle cose!... - Signor sì, questo è sovente un soggetto di rimprovero. Ed ecco come è venuta questa strana idea, se avete pazienza di ascoltarmi un momento. Si è osservato che nel far bene v'è difficoltà, si è associata l'idea della difficoltà a quella della perfezione, e con un passo facilissimo si è venuto a supporre, così in nube, come si suole, che vincere le difficoltà sia sempre avvicinarsi alla perfezione; evitarle, sia allontanarsene. E non si è osservato che molte difficoltà non vengono da altro, che da una opposizione al buon senso con fini storti ed arbitrarii. Ora in quelle poche parole, applicando al metodo romantico quella formola comune, si fa sentire che quella regola universale, e riconosciuta da tutti nelle altre cose, vale pure per le cose letterarie; che le difficoltà, gl'impicci, i giuochi di forza non sono più ragionevoli in letteratura che nel resto: cosa che non avrebbe sugo, se non fosse invalso un principio, o pure un sentimento confuso del contrario, ma che ne ha appunto perchè è invalso. Ditemi un po', se venisse uno e dicesse: «Monti adopera quello stile così peregrino e così naturale, così forbito e così veemente, così singolare di perfezione insomma, perchè...., perchè adopera le parole che trova più opportune ad esprimere il suo felice concetto, sceglie quelle che gli torna conto. Ma il Cieco d'Adria non faceva così, non prendeva la via facile, quando fece quel sonetto di cui tutte le parole cominciano con un D». Ditemi un po', di chi credereste che volesse rider costui, di Monti o del Cieco d'Adria? E volete un'altra prova? Non vi ricordate che tutti i romantici, che hanno scritto per provare che[442] la scena va mutata a seconda dell'azione, hanno tutti addotta questa ragione, che il far così torna conto? E volete voi supporre che Monti voglia denotare come scansatori di difficoltà, come uomini che hanno bisogno di aiutarsi colle irregolarità per far qualche cosa, Shakespeare e Goethe? che questi non avrebbero saputo adattarsi, con un po' di buona grazia, ad una legge di cui diecimila autori hanno trovato l'esecuzione così agevole? che egli abbia voluto....

- Oh! disse l'amico: io non so nè voglio sapere che cosa si vogliano tutte queste ciarle, e non m'importa un zero di scena e di non scena. Ho gittata quella parola tanto per dir qualche cosa, non mai credendo di tirarmi addosso tutta questa tiritera. I letterati se la sbrighino tra loro, che a me non fa nulla. E parliamo d'altro. - Tiritera! diceva io tra me, mentre egli andava cercando in suo cuore l'appicco d'un altro discorso. Tiritera! Scriverò queste belle ragioni che ho dette, le manderò al giornale, e il pubblico dirà poi s'ella è stata una tiritera.

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