Purezza

– Laaasciali! laaasciali! laaasciali! Vieni! vieni!

– Dove! Perchè! Chi mi chiama?

Sono a tre metri dalle stelle. Certamente è quella lì che mi chiama. Sento friggere il diamante liquido e scottante dei suoi undici raggi.

Nel crepuscolo ho camminato sul pavimento roseo delle nuvole che copre le Vallate. Le sento rombare sotto i piedi come le arterie di una mostruosa capitale.

Sento rombare sotto i piedi interminabili treni di cannonate L'ultimo treno ha fatto saltare in aria un pezzo di rotaia fulgidissima e sibilante che ha infilzato il mio cuore come un beccafico.

– Laaasciali! Svestiti! Vuotati! e sali!

Ho sonno. Come potrò dormire? Sono così sensibile a quella tremenda voce! Spingo la mia testa e il mio busto fuori dalla baracca che porto legata alla schiena come un guscio di testuggine. Esco m'arrampico sul mio guscio ma sento il cranio, altro guscio baracca, sul cervello.

Guscio, baracca o bomba? Esplodi! esplodi!

Ghiacci scivolanti dell'anima, per quali pattinatori smisurati dell'infinito?

Quella stella mi fissa, insiste nel suo invito soave con un bestiale fragore di enormi cristalli crollanti:

– Via, via! dà un calcio! Un caaalcio a tutti i tuoi pensieri-nervi che ti legano i piedi, come cagnolini affettuosi. Slanciati su quel monte-trampolino e pluff, un gran tuffo nella pianura veneta.

– No! No! No! No! No! Rifiuto di obbedire alla gran Camera del lavoro stellare! Niente sciopero. Si lavora questa sera più che mai. Tutti i forni sono accesi nella mia vita interna. Rombo tonfo sibilo di turbine stantuffi dinamo motori a scoppio e cuori elettrici. I miei nervi sono corridoi brulicanti dove le sensazioni martellano per produrre armi munizioni, contro gli imperi centrali del cielo.

Esco dal mio io per guardare a picco dall'alto di questa montagna giù in Roma come in fondo a un pozzo. Pozzo, pantano da bonificare con nuovi aratri, o cruna d'ago trascurabile poiché non abbiamo più niente da cucire.

Quella fisarmonica in baracca si lagna con tremanti losanghe viola di dolore-angoscia come la mia culla. Culla altalena per il ginnasta bimbo che diventerò. Ho nel petto l'impronta di un bel visino pallido dorato di biondina intelligente e sensuale. L'impronta è una ferita. La ferita s'allarga. Il mio corpo non è altro che l'orlo infiammato della ferita.

Ferita o trincea? Chi la difende? Il suo ricordo tenero o il suo oblio crudele? Sono puro e lurido come una trincea, volante e inchiodato, lacerato e giocondo, disperato e sereno.

Pressione timida, incalzante e frettolosa di tutti i brusii, ronzii neri fitti della notte dentro e fuori nel mio cuore. Forse nati da me? Sono un'officina che lavora giorno e notte.

Nel mio sacco a pelo coricato sul polo nord... Conto e riconto le quattro o cinque colonnine di monete d'odio-argento e le venti o trenta d'amore-oro che conservo nella cassaforte più segreta.

Ma di fuori straripa inondando tutto la Bontà immensa del Nulla scialacquatore.

Esco fuori e passeggio elasticamente nella morbida serica rinuncia della notte

Gott gatt blav blavv del caffè nella mia borraccia al fianco destro.

Eleganza aristocratica della notte disinteressata e senza avarizia.

Sulle vette temo il predominio lugubre delle grandi M Montagne Madre Morale Male Martirio.

Le divine astrazioni mi bevono.

Guizzo ironicamente ma mi sento preso nella rete delle costellazioni goccianti di mercurio.

Preferisco scafandrarmi nel sonno.

Riprenderò domani con passione minuziosa quel vastissimo caldo scintillante tessuto di treni città rotaie villaggi prati strade gambe-donne che si chiama pianura della vita operante saporita in bocca.

Sono un'acqua zampillante che odia gli scheletri mistici delle montagne e cerco il fondo carnoso delle valli, i pettegolezzi dei fiumi e le canzoni delle ruote da velocizzare.

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