Manifesto della danza futurista

8 luglio 1917

La danza ha sempre estratto dalla vita i suoi ritmi e le sue forme. Gli stupori e gli spaventi che agitarono l’umanità nascente davanti all’incomprensibile ed intricatissimo universo, si ritrovano nelle prime danze che dovevano naturalmente essere danze sacre.

Le prime danze orientali pervase dal terrore religioso erano pantomime ritmate e simboliche che riproducevano ingenuamente, il movimento rotatorio degli astri. La «ronda» nasce così. I diversi passi e i gesti del prete cattolico nel celebrare la messa derivano da queste prime danze ed hanno lo stesso simbolo astronomico.

Le danze cambodgiane e javanesi si distinguono per la loro eleganza architettonica e la loro regolarità matematica. Sono lenti bassorilievi in marcia.

Le danze arabe e persiane sono invece lascive: impercettibili fremiti delle anche accompagnati da un battito monotono di mani o di tamburo; sussulti spasmodici e convulsioni isteriche della danza del ventre; enormi balzi furenti di danze sudanesi. Sono tutte variazioni sull’unico motivo di un uomo seduto a gambe incrociate e di una donna seminuda che con abili mosse cerca di persuaderlo all’atto d’amore.

Morto e sepolto il glorioso balletto italiano, incominciarono in Europa stilizzazioni di danze selvagge, elegantizzazioni di danze esotiche e modernizzazioni di danze antiche. Pepe rosso parigino + cimiero + scudo + lancia + estasi davanti a idoli che non significano più nulla + ondulazioni di cosce montmartroises = anacronismo erotico passatista per forestieri.

Prima della guerra, a Parigi si raffinavano le danze sud-americane: tango argentino spasmodico furente, zamacueca del Chile, maxixe brasiliana, santafé del Paraguay. Quest’ultima danza descrive le evoluzioni galanti di un maschio ardente e audace intorno ad una femmina attirante e seduttrice che egli finalmente afferra con un balzo fulmineo e trascina con sé in un valzer vertiginoso.

Molto interessante artisticamente il balletto russo organizzato dal Diaghilew, che modernizza i balli popolari russi con una meravigliosa fusione di musica e danza, penetrate l’una nell’altra, e dà allo spettatore un’espressione perfetta e originale della forza essenziale della razza.

Col Nijnsky appare per la prima volta la geometria pura della danza liberata dalla mimica e senza l’eccitazione sessuale. Abbiamo la divinità, della muscolatura.

Isadora Duncan crea la danza libera, senza preparazione mimica, trascurando la muscolatura e l’euritmia, per concedere tutto all’espressione passionale, all’ardore aereo dei passi. Ma essa in fondo non si propone che di intensificare, arricchire, modulare in mille modi diversi il ritmo di un corpo di donna che languidamente rifiuta, languidamente invoca, languidamente accetta e languidamente rimpiange il maschio donatore di felicità erotiche.

Isadora Duncan, che io ebbi molte volte il piacere di ammirare nelle sue libere improvvisazioni fra i tendaggi di fumo madreperlaceo del suo atelier, quando danzava in libertà, spensieratamente, come si parla, si desidera, si ama, si piange, su una arietta qualsiasi, anche volgare, come quella di Mariette, ma petite Mariette strimpellata su un pianoforte, non riesciva a dare che emozioni complicatissime di nostalgia disperata, di voluttà spasmodica e di giocondità, infantilmente femminile.

Vi sono molti punti di contatto tra l’arte di Isadora Duncan e l’impressionismo pittorico, come pure tra l’arte del Nijnsky e le costruzioni di forme e di volumi di Cézanne.

Così, naturalmente, sotto l’influenza delle ricerche cubiste e in particolar modo di Picasso, si creò una danza di volumi geometrizzati e indipendenti quasi dalla musica. La danza diventò un’arte autonoma, equivalente della musica. La danza non subiva più la musica, la rimpiazzava.

Valentine de Saint-Point concepì una danza astratta e metafisica che doveva tradurre il pensiero puro senza sentimentalità e senza ardore sessuale. La sua métachorie è costituita da poesie mimate e danzate. Disgraziatamente sono poesie passatiste che navigano nella vecchia sensibilità greca e medievale; astrazioni danzate ma statiche, aride, fredde e senza emozione. Perché privarsi dell’elemento vivificatore della mimica? Perché mettersi un elmo merovingio e velarsi gli occhi? La sensibilità di queste danze risulta monotona limitata elementare e tediosamente avvolta nella vecchia atmosfera assurda delle mitologie paurose che oggi non significano più nulla. Geometria fredda di pose che non hanno nulla a che fare con la grande sensibilità dinamica simultanea della vita moderna.

Con intenti molto più moderni il Dalcroze ha creato una ginnastica ritmica molto interessante, che limita però i suoi effetti alla igiene dei muscoli e alla descrizione dei lavori agresti.

Noi futuristi preferiamo Loie-Füller e il cake-walk dei negri (utilizzazione della luce elettrica e meccanicità).

Bisogna superare le possibilità muscolari, e tendere nella danza a quell’ideale corpo moltiplicato dal motore che noi abbiamo sognato da molto tempo. Bisogna imitare con i gesti i movimenti delle macchine; fare una corte assidua ai volanti, alle ruote, agli stantuffi; preparare così la fusione dell’uomo con la macchina, giungere al metallismo della danza futurista.

La musica è fondamentalmente e incurabilmente passatista e perciò difficilmente utilizzabile nella danza futurista. Il rumore, essendo il risultato dello strofinamento o dell’urto di solidi, liquidi o gas in velocità, è diventato mediante l’onomatopeia uno degli elementi più dinamici della poesia futurista. Il rumore è il linguaggio della nuova vita umano-meccanica. La danza futurista sarà dunque accompagnata da rumori organizzati e dall’orchestra degli intonarumori inventati da Luigi Russolo.

La danza futurista sarà

disarmonica

sgarbata antigraziosa

asimmetrica

sintetica

dinamica

parolibera.

In questa nostra epoca futurista, mentre più di venti milioni di uomini formano con le loro linee di battaglia una fantastica via lattea di stelle-shrapnels esplose che fascia la terra; mentre la Macchina e i Grandi Esplosivi, collaborando con la guerra hanno centuplicato la forza delle razze costringendole a dare il massimo rendimento di audacia, d’istinto e di resistenza muscolare, la danza futurista italiana non può avere altro scopo che immensificare l’eroismo, dominatore di metalli e fuso con le divine macchine di velocità e di guerra.

Io traggo dunque le tre prime danze futuriste dai tre meccanismi di guerra: lo shrapnel, la mitragliatrice e l’aeroplano.

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