In fondo al pozzo abbandonato è notte.
Muffe rampanti, viscidi licheni
bacian, con bocche gonfie di veleni,
la scabra pietra e l'ime acque corrotte.
Non stridìo di carrucola, non rostro
gaio, reggente a grossa corda il secchio
che, grondando, risalga, a glauco specchio
del sole. L'acqua, in fondo, è come inchiostro.
Vive di sè, della tenace polla
che, dal concavo sasso in sue perenni
forze fluendo, il sonno dei millenni
rompe con qualche pullular di bolla.
Più non ricorda che una bocca umana
di lei godette, in lei languì, rinacque
dal refrigerio limpido dell'acque
quale un bel frutto rosso.—Oh, gioia vana
ormai, sgorgar da chiara tazza agli avidi
aperti labbri, all'arse fauci, ai vivi
moti del cuore, in schietti sorsi, in rivi
di freschezza, in rigurgiti soavi!...
Sol ritrova sua vita e sua fortuna
se, cinta d'astri come d'una rete
di gemme, il volto pallido per sete
specchi entro il pozzo, alta nel ciel, la luna.
Allor ne l'acqua è un'ansia, un brividìo
trepido, un riso d'èstasi, un gorgoglio
appassionato, un impeto d'orgoglio
che la solleva dal malvagio oblìo:
fino alle scaturigini traluce
di perle in danza, al magico fulgore:
in ogni guizzo, in ogni goccia amore
palpita; ed acqua più non è; ma luce.
.... Così, così, dal pozzo che scavasti
tu stessa, anima mia, per esser morta
pria di morire, e dove stagni, assorta
nella rinunzia d'ogni ben che amasti,
ti svegli, tutta in fremito, di schianto,
nell'inganno d'un sogno; e in quel bagliore
sommersa, torni luce e torni amore,
trasfigurata dal sereno incanto.