FIN CH'IO VIVA E PIÙ IN LÀ

Ella mi disse: «Tu non ridi mai;

Imprecan sempre i versi tuoi mordaci.

Tu il cantico non sai

Ove il gaudio folleggia e vibra al sole

La musica dei baci.

Tu non conosci la canzon febèa

Che ignuda erompe dal pagano ammanto

Come un'antica dea,

E in alto vola, nuvole spargendo

Di glicine e d'acanto.»

Ella mi disse ancora: «Ove sei nata,

Poetessa fatal del malaugurio?...

Quale perversa fata

Ti stregò ne la culla?...»—A lei risposi:

«Io nacqui in un tugurio.

 

Io sbocciai da la melma.—Ed attraverso

Al trionfo del sole ed ai ferventi

Inni de l'universo,

A me giunge da presso e da lontano

Un'eco di lamenti.

A me goccia sul cuore in accanita

Pioggia vermiglia il sangue degli eletti

Che gettaron la vita

Ove crollante libertà chiedea

Baluardo di petti.

Dalle case operaie ove si pigia

Una folla agitata e turbolenta,

Una pleiade grigia

Che al pan che le guadagna la fatica

Famelica s'avventa;

Da le fabbriche scure ove sbuffando

Vanno, mostri d'acciaio, le motrici,

E l'acre aër filtrando

Pei pori, il roseo sangue intisichito

Rode a le tessitrici;

Da l'umide risaie attossicate,

Dai campi e da sterili radure,

Da le case murate

Ove in nome di Dio s'immolan tante

Inerti creature,

A me giunge, a me giunge il pianto alterno

Che mi persegue e che cessar non vuole,

Lugùbre, sempiterno,

Vipistrello che al buio sbatte l'ali,

Nube che offusca il sole!

Fuggon dinanzi a me gioia e bellezza,

Fugge la luce a novo dì ridesta.

La temeraria ebbrezza

Fugge d'amore e l'estasi del bacio....

Solo il dolor mi resta!...

Ma è dolor che non cede e non s'inclina,

È il dolor che pugnando a Dio s'innalza;

È la virtù divina

Che Promèteo sostenne incatenato

Su la selvaggia balza.

E tetro vola il canto mio sonante

Sopra l'intenta folla impallidita,

Come cala gigante

Su la ghiacciaia ove s'indura il gelo

Un'aquila ferita.»

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