Il vino triste

È un bel fatto che tutte le volte che siedo in un angolo
d’una tampa a sorbire il grappino, ci sia il pederasta
o i bambini che strillano o il disoccupato
o una bella ragazza che passa di fuori,
tutti a rompermi il filo del fumo. «È cosi, giovanotto,
ce lo dico davvero, lavoro a Lucento».
Ma la voce, la voce angosciata del vecchio
quarantenne – non so – che mi ha stretto la mano
nottetempo nel freddo e poi mi ha accompagnato
fino a casa, quel tono da vecchia cornetta
non lo scordo, nemmeno se muoio.
Non diceva del vino, parlava con me
perché avevo studiato e fumavo la pipa.
«E chi fuma la pipa, – esclamava tremando, –
non può essere falso!» Approvai colla testa.

Ho trovato ragazze al ritorno, piú aperte, piú sane,
colle gambe scoperte – digiuno da mesi –
e mi sono sposato soltanto perché ero ubriaco
della loro freschezza – un amore senile.
Ho sposato la piú muscolosa e la piú impertinente
per sapere di nuovo la vita, per non piú morire
dietro un tavolo, dentro un ufficio, dinnanzi ad estranei.
Ma anche Nella fu estranea per me ed un allievo aviatore
me la vide una volta e ci mise le mani.
Ora è morto quel vile – quel povero giovane –
capottato nel cielo – no sono io il vile.
La mia Nella accudisce un bambino – non so se è mio figlio –
ed è tutta di casa ed io sono un estraneo
che non so accontentarla e non oso dir nulla
e anche Nella non parla, ma solo mi guarda.

E, il piú bello, piangeva quell’uomo a contarla,
come piange uno sbronzo, con tutto il suo corpo,
e mi cadeva addosso e diceva: «Tra noi
sempre rispetto» ed io, a tremare nel freddo,
a cercare di andarmene, a dargli la mano.

Fa piacere sorbire il grappino, ma è un altro piacere
ascoltare gli sfoghi di un vecchio impotente
che è tornato dal fronte e vi chiede perdono.
Quali soddisfazioni ho mai io nella vita?
Ce lo dico davvero, lavoro a Lucento.
Quali soddisfazioni ho mai io nella vita?

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