Passai la notte a T.... e occupai il mattino del giorno dopo a girovagar per la cittadina tutta piena di cantieri sbuffanti e rumorosi, corsa in tutti i sensi da linee ferrate, da tramvie elettriche e a vaporo che la congiungevano alla grande metropoli, a New-York.
Chi non è stato in queste città nord-americane non può farsi un'idea dell'aspetto caratteristico di cotesti centri di lavoro e di attività, così lontani dalle nostre poetiche e pittoresche cittadine di provincia, piene di fascino, di quiete e di raccoglimento.... Qui una folla cosmopolita e affaccendata e perfettamente indifferente a voi e ai vostri atti: operai in blouse turchina e berretto nero con visiera lucida, frotte di cinesi apatici e silenziosi, colossi di facchini inglesi, macchine di nervi e muscoli poderosi, piccoli preti protestanti tedeschi con gli occhiali, operai italiani vivaci e petulanti.... Qual bizzarro caleidoscopio di uomini e di cose! E da per tutto, intorno, sopra, sotto di voi, l'ansare invisibile delle caldaie e degli stantuffi a vapore, il fischio delle vaporiere, e getti di fumo bianco, rosso, nero e violaceo, che vi mozza il respiro e vi fa tossire per mezz'ora; e tonfi sordi di magli poderosi, e cigolar di segherie a vapore, e batter di martelli, e rotolar di carri, di carrette, di tramvai, di omnibus....
Una vita varia, mossa, agitata e indiavolata da darvi il capogiro e spingervi a rifugiarvi per la disperazione nella prima gargotta nera e ombrosa che vi vedete dinanzi per sottrarvi un momento, davanti ad un bicchiere puzzolente di gin o di absinthe, o ad uno chop di birraccia pseudo-tedesca, a tutta quella baraonda di ferramenta e di uomini-macchine che compongono la vita lavoratrice di certi piccoli e grandi centri manifatturieri nord-americani!
Passato il mezzogiorno, mi trovai avviato verso la solitaria strada percorsa con tanta trepidazione il giorno avanti, ove si trovava la modesta villetta di mistress.
Giunto davanti al noto cancelletto sostai un momento.
Fra poco l'avrei veduta, dunque, finalmente questa strana figura di donna, eroina del passionale romanzo che s'era imposto alla mia coscienza!
Tirai la solita catenella.
E la stessa donna del giorno avanti, che evidentemente mi aspettava, corse ad aprire il cancelletto.
– Entrate, signore, – ella disse.
E mi avvidi che era di nuovo tutta commossa.
– Mistress vi attende, – soggiunse.
– Come sta?
– Un poco meglio.... sembra sollevata alquanto, oggi.
– Le avete detto?...
– Sì, ma con molta cautela....
– Ebbene
– Vi attende.
– Come debbo regolarmi?
La donna rimase pensosa alquanto.
– Ma.... il vostro giudizio vi suggerirà, signore. Oggi è molto sollevata. E poi....
– Continuate.
– L'aver saputo da parte di chi voi venite, le ha dato un'energia, una vitalità straordinaria. Non sembra più la stessa de' giorni passati. L'ansietà di vedervi, la curiosità, l'attesa l'ha fatta guarire.... Proprio così, signore, com'io vi dico! Vi ha atteso finora con impazienza. Ancora poco fa ha chiesto se si vedeva nessuno.... Ora è di sopra che freme di vedervi.
– Allora andiamo, – feci io.
– Compiacetevi seguirmi, signore.
Mi fe' attraversare un breve corridoio, poi una saletta oscura e quindi m'introdusse in un salottino molto modesto in verità.
Ebbi appena il tempo di volgere intorno un'occhiata per fare tale osservazione che un uscio davanti a me si aperse e l'attesa entrò.
M'inchinai, poi, rialzandomi, i miei occhi rimasero incantati su di lei.
Dio mio, quale rovina!
Quella vecchia floscia, grinzosa, gialla e cadente.... era dunque lei mistress Mildred Charnwood, la bizzarra ma affascinante figura che due volte mi aveva fatto pensoso, nella piccola miniatura dello scrignetto e nel grande quadro nel palazzo Charnwood, che miss Ethel aveva voluto scoperto dal nero velo che per tanti anni l'aveva nascosto alla luce?....
Era quella miserabile rovina di donna, dunque, la bella mistress?
La signora intanto s'era appressata a me, m'aveva stesa l'ossuta e gelida mano, e accennandomi una poltroncina aveva esclamato:
– Accomodatevi, signore.
Continuai a guardarla, in silenzio, e a scrutarla.
– Il vostro biglietto, signore, – continuò ella, – mi ha gettata in un vero turbamento.... mille pensieri, mille ricordi, mille sentimenti, voi potete ben pensare! mi hanno ieri assalita leggendo quel nome....
Ella parlava lentamente e stancamente.
– Comprendo, signora, – mormorai.
– Ah, la sorte, il destino com'è stato avverso e crudele verso questa povera creatura che voi vi vedete or dinanzi piangente, o signore!... Voi che siete stato amico di una persona.... di lui, di quella creatura che, cieca nel risentimento del suo animo offeso, ah sì! (e sospirò lungamente) non ha saputo obliare, mai, un solo momento e.... perdonare!
E la già mistress Charnwood si fermò un momento, trasse un piccolo fazzoletto e si asciugò le ciglia asciuttissime.
– Non piango più, lo vedete? – esclamò ella guardandomi; – i miei occhi non dànno più una lagrima.... le ho tutte esaurite, signor mio! e sapete da quando, signore?
Borbottai una frase qualunque.
– Da quando, – e la voce della vecchia signora si fece squillante, quasi metallica; – dal giorno che perdetti ogni speranza di ritrovare le due mie creature....
– Infatti.... – mormorai ricordandomi delle due creature accennate nelle lettere dello scrignetto.
– Egli vi ha detto, dunque?...
A questo punto credetti giunto il momento di entrar risolutamente nella questione.
– Sentite, mistress, – dissi; – io sono venuto da voi per sapere, per sapere sopratutto e completamente, e con tutti i particolari, e senza veruna restrizione ciò che è stato.... questo sciagurato e doloroso passato che ha gettato il mio povero amico Charnwood nella tristezza pel resto di sua vita e ha privato una figlia di sua madre....
– La piccola Doroty, volete dire....
– Sicuramente. E vi dirò che s'io vi parlo così, ora, e sono venuto qua a cercarvi, a turbarvi nella vostra quiete, nel vostro raccoglimento, non è stato già, potete immaginarlo, per una volgare e stupida curiosità, ma perchè io agisco mosso da un interesse superiore che forse potrete più tardi conoscere.... un interesse che tocca, può darsi, qualcuno ora lontano da voi e da me.
La vecchia signora mi guardò a lungo e restò in silenzio.
– Io fui compagno sul Delphin, il bastimento naufragato, a vostro marito....
– Ah sì, me ne ha detto Mary.
– E ho veduto morire vostro marito.
– Ohimè sì! anche questo mi ha detto....
– Egli morendo mi ha incaricato di qualcosa che serbo qua nel cuore.... Ora voi, mistress, parlate pure liberamente: ditemi tutto.
– Chiedete, signore.
– Narratemi il vostro romanzo.
– Ohimè, signore, voi mi chiedete una cosa ben triste e dolorosa! Ma sento una voce misteriosa che mi dice in questo momento, qua nel fondo del cuore, che debbo ubbidirvi. E vi ubbidirò, signore. Ascoltatemi.
– Parlate, mistress.
– Io sposai Charnwood ch'era più giovane di qualche anno di me. E io non l'amavo.
– Continuate, vi prego.
– Non l'amavo. Io amavo un altro. Avvezzata libera e indipendente da mio padre, un americano del Sud, io avevo dato il mio cuore ad un giovano uomo, bello, forte e buono..., e da parecchi anni prima che conoscessi Charnwood, o meglio, che lo conoscesse mio padre.
– Fu lui che v'obbligò a sposarlo?
– Charnwood era molto ricco! E distinto! e mi amava! Ed io....
– E voi, mistress?
La vecchia dama mi si avvicinò sin quasi da parlarmi all'orecchio:
– Io non ero più pura.
– Ah!
– Io.... avevo avuto due figlie dall'altro.... dall'uomo da me scelto liberamente e amato!
– E avete potuto....
– Oh, mio padre mi lasciava così libera! Ed era sempre lontano, sempre in viaggio! E la mia povera madre era sì cieca!
– Avete dunque due figlie?
– Sì, due creaturine che lui volle ritirare e tenere presso di sè.
– E il nome di quest'uomo?
– Wilhelm Hyslop. Era povero, allora.... – continuò mistress.
– E vostro padre?...
– Conobbe mister Charnwood: egli mi vide e s'innamorò di me. Il mio carattere fiero e ardito....
– La vostra bellezza ardente.... – mormorai.
– S'innamorò di me, alla follìa, – continuò la signora. – Mi domandò a mio padre....
– Egli era all'oscuro di....
– Lui sì, ma mia madre, poveretta.... Ella vide nella domanda di Charnwood l'aiuto di Dio, la salvezza. Poichè Hyslop, preso dalle idee individualiste molto in voga nel nostro paese, non voleva saperne di unire la sua povertà alla mia.... Poichè anch'io era povera, o quasi....
– E voi sposaste Charnwood.
– Egli mi dava la ricchezza e la posizione nel mondo. Però prima di diventar mistress Charnwood io mi feci promettere da Wilhelm due cose: ch'egli avrebbe tenuto sempre presso di sè le due bambine, ch'io adoravo, e che io avrei potuto vederle liberamente.
– Eravate almeno buona madre, – notai.
– Così avvenne, pe' primi anni. Egli si era stabilito a New-York, ed io potevo, segretamente, vedere e baciare i miei due angioli.
– E vostro marito non ha mai saputo, nè.... sospettato di nulla?
– Ah, no.
– Povero mister Charnwood! – esclamai.
– Le due bambine crescevano prosperose e bellissime. Hyslop slanciatosi in alcune imprese aveva fatto fortuna, e in pochi anni era divenuto ricco. Le bambine vedevano schiudersi dinanzi un avvenire lieto e tranquillo, quando....
– Ebbene?
– Oh signore, voi mi disprezzerete! Io fui molto colpevole. Ma Dio è stato inesorabile verso di me! E il castigo fu degno della colpa.
– Dite dunque.
– Ebbi un capriccio.... una debolezza. Un uomo indegno, basso, plebeo; un mio servo quasi.... mio Dio!
– Il direttore delle scuderie di vostro marito! – esclamai. (Rividi il ritratto e ricordai le parole di Thompson).
– Come, voi sapete, dunque?... – esclamò la signora stupita.
– Continuate, vi prego, poi vi spiegherò.
– Fui colpevole, bassa, vile.... ma fu un momento di debolezza! Wilhelm lo seppe....
– E vostro marito?
– Attendete. Wilhelm lo seppe. Come, in qual modo, non so. Ma lo seppe. E si vendicò in un modo orribile.
– In qual modo dunque?
– Mi tolse le mie bambine, le mie due creature che adoravo.
– Comincio a comprendere, – esclamai.
– Ah sì, fu cosa tremenda! Egli mi scrisse un biglietto, poche parole fredde, incisive, crudeli. Mi diceva che con la mia vile colpa io mi rendevo indegna di loro. Io non potevo più avvicinarle. "Esse non dovranno mai assomigliarvi!" ricordo sempre questa frase che mi bruciò e mi brucia ancora come un ferro rovente! Capite, signore! Egli me le toglieva perchè aveva paura che io le contaminassi col mio alito impuro, che io attaccassi loro, come una lebbra immonda, il mio vizio, il mio peccato.... E me le tolse.
– E come fece?
– Le mandò lontano, in un collegio, all'estero. Ma io tanto feci, tanto cercai e indagai, che venni a scoprire il rifugio de' miei due angioli.... Ma egli, più rapido di me, mi precedette e le tolse di là.
– E dopo?
– Intanto la sua salute era andata deperendo. Era malato e d'una malattia che non perdona. Egli affidò le due bambine ad un amico suo consegnandogli tutto il suo patrimonio per esse, dopo averlo fatto giurare che mai io avrei potuto avvicinare le due bambine, nè sapere altro della loro esistenza... L'amico si prese le due povere creature e partì. Intanto io corsi da lui, mi gettai ai suoi piedi, piansi, lo implorai, cercai vincerlo con il mio dolore, il mio pentimento, il mio strazio.... Egli era affranto, sfinito dal male, morente. Fu inesorabile. I servi mi trassero fuori da quella camera, fui condotta fuori, posta di forza in una vettura, cacciata via sempre a forza da quella casa. Vagai come una pazza per le vie.... e la sera a tarda ora, dimentica affatto di me, rientrai nel palazzo di mio marito.
– E lui?
– Non era in casa. Sentite che cosa era avvenuto. Durante la mia assenza, mi dissero i servi, un biglietto urgente era stato recapitato a mio marito.... Egli l'aveva letto ed era uscito subito, preoccupato. Rientrò a notte tarda. Io ero in letto. Venne da me e mi disse: – "Alzatevi, vi prego; ho da parlarvi." – Io tremante e vinta mi alzai e lo seguii. Egli era pallidissimo, ma freddo e sicuro. – "Sapete da dove vengo?" – esclamò. – Io attesi rassegnata. – "Da Wilhelm Hyslop." – Io sobbalzai. – "Vengo da Wilhelm Hyslop," – continuò egli. – "Ed è stato lui a mandarmi a chiamare, oggi; lui stesso dopo che voi foste cacciata da intorno al suo letto.... Ebbene, sappiatelo: Hyslop è morto due ore fa. Mi ha rivelato tutto. – "Tanto meglio," – ebbi la forza di mormorare. – "Sì, tanto meglio," – ripetè lui. – "Mi ha detto anche in qual modo ha punito la vostra colpa...." – "Ah voi lo sapete?" – esclamai. – "Sì," – continuò egli, – "sì, e anch'io vi punisco nell'istessa maniera." – "Cosa volete dire?" – "Voi uscirete domani mattina da questa casa ove non siete più degna di stare.... e vi compiacerete di soggiornare nella palazzina di T.... (questa ove siamo ora, signore) che metterò a vostra disposizione. Del resto libera di recarvi altrove, ove vorrete.... Purchè non avviciniate più Doroty, il mio angelo puro, che non dovrà mai assomigliarvi!..." – "Basta, signore," – gridai; – "partirò domani all'alba, e compiacetevi di non aggiungere altro!" – Ed eccomi qui da dieci anni! Seguì un istante di silenzio.
– Sola, lontana dai miei tre angioli che adoravo!... E non ne ho saputo più nulla!...
Mistress chinò la testa e la persona sin quasi a toccare le ginocchia.
– Ah! – ella borbottò con istrana voce perduta, come in sogno; – ah! com'erano belle! e piccoline! e intelligenti le due mie prime creature!... Erano nate dall'amore! e l'amore era in ogni loro atto!... Ah, la mia piccola Ethel, la maggiore!
Diedi un balzo.
– Ethel!... – esclamai.
– Sì, era la più grande!... Era così bella, così vispa, così piena di vita e d'amore.... E Ketty, la piccina....
Io mi passai la mano sulla fronte.
La luce si faceva nel mio spirito.
Ethel !...
Il mistero si squarciava.
Miss Ethel, la figlia!... E quella vecchia dama, prostrata e vinta, la madre!...
E una rapida ridda di domande attraversava intanto la mia mente. Come dunque, e perchè, la figlia dell'altro, presso mister Charnwood, presso il marito offeso? Perchè dunque egli l'aveva voluta sorella della sua vera creatura?
Perchè l'aveva chiamata a dividerne la fortuna?
Per qual serie di avvenimenti sconosciuti mister Charnwood aveva ritrovato e ricuperato la piccina sperduta pel mondo? E come mai la madre era rimasta sino ad ora all'oscuro di tutto?
E l'altra piccina, la sorella di Ethel, la piccola Ketty, come l'aveva chiamata la madre, ov'era dunque? che era avvenuto di lei? Miss Ethel mai me ne aveva parlato!... Io non comprendevo. La mia mente ancora si smarriva.
– Ditemi, – esclamai, – non è mai veramente giunta nessuna notizia al vostro orecchio delle vostre bambine?
– Mai.
– Non avete fatto indagini, tentato qualcosa per conoscere, per sapere....
– Tutto ho tentato.... tutto. Non sono riuscita a nulla.
– È strano.
– Wilhelm aveva disposto le cose, morendo, in modo che tutte le porte per le quali io potessi giungere sino alle mie creature eran inesorabilmente sbarrate per me. E vi è riuscito ad usura!
– E vostro marito?
– Il suo palazzo è stato chiuso per me. Del resto io ero troppo superba e addolorata della perdita delle due mie prime bambine per cercare di avvicinarmi a lui.
– E, secondo voi, dove credete possano trovarsi in questo momento le vostre figliuole?
– In Europa, certamente, se sono ancor vive! Forse maritate, chissà....
– Che età avrebbero?
– La prima, Ethel, sopra i ventitrè anni....
Riflettei: l'età combinava.
– La Ketty sopra i diciotto.
Tacqui. Mille sentimenti diversi si agitavano nel mio cuore e nella mia coscienza. Parlare? rivelare a quella madre l'esistenza della figlia pianta per sempre perduta? E se fino a quel momento ciò non era avvenuto, ne avevo io ora il diritto?
O non ero io forse stato scelto appunto da Qualcuno per riparare, od anche, dar segno di perdono dopo tanto dolore ed espiazione?
Però una voce interiore ed imperiosa mi suggerì di non precipitare, di attendere. Prima dovea squarciare completamente il mistero, sapere tutto e poi avrei fatto quello che la mia coscienza mi avrebbe suggerito, o il destino deciso di compiere. Mi attenni a questo pensiero.
– Sperate, signora, – esclamai, – chissà? nella nostra vita avvengono talvolta tali impreveduti avvenimenti, tali inaspettate soluzioni!... Sperate, vi ripeto, sperate! Noi non sappiamo.
– Ahimè, signore, – mormorò la povera donna, – ahimè! son dieci anni che ho atteso e che ho sperato....
– Sperate ancora, sperate sempre, – conclusi.
E mi alzai.
– Io ritornerò da voi, – mormorai, – chissà che non vi rechi buone nuove....
Ella alzò su di me gli occhi riconoscenti.
– Io pregherò Dio perchè conceda a voi ciò che a me, troppo colpevole forse, non ha voluto, – mormorò.
– Sentite, – dissi, – non potreste voi agevolarmi il cómpito....
– In qual modo?
– Indicandomi ove potrei informarmi, sapere, indagare.... Ove abitò Wilhelm?
– Sono dieci anni che è morto, pochi si ricordan forse di lui! Piuttosto vi potrei indirizzare ad un vecchio suo amico, che tutto conobbe il nostro triste romanzo, che godeva tutta la sua fiducia e che deve sapere molte cose....
– Non tentaste mai di saper nulla da lui?
– Oh, era troppo amico di Wilhelm! Come questi, anche lui fu chiuso, severo, inesorabile per me!
– Datemene il recapito.
Mistress andò ad un tavolino e sopra un biglietto tracciò l'indirizzo del vecchio amico di Wilhelm.
– A K.... – disse, – una silenziosa cittadina a venti miglia da New-York.... Dev'essere vecchissimo, oramai. Ma, se Dio vorrà, lo troverete. Chissà, da lui voi, forse, qualcosa saprete....
– Vi andrò al più presto, – mormorai. E come vi ho detto ritornerò quanto prima da voi.
– Grazie, signore. Qualcosa mi dice, nel cuore, che voi siete il mio buon genio.
– Speriamolo, almeno, – dissi sorridendo.
– Mi sento meglio.... – disse ancora la vecchia dama.
Le strinsi la mano in silenzio e mi allontanai da quella casa, la mente piena di quanto aveva saputo e perplesso su quello che ancora mi restava da sapere.
XVI.
Il segretario Thompson mi attendeva nel suo studio, visibilmente ansioso.
– Ebbene, mister? – esclamò appena mi vide, tenendomi la mano e inchinandosi con quella correttezza britannica ch'egli sapeva non dimenticar mai, anche ne' momenti più gravi e passionali.
– Il destino guida i nostri passi, – esclamai.
E mi feci a narrargli per filo e per segno quanto aveva veduto, saputo e scoperto nella mia gita a T....
Thompson ne fu vivamente commosso.
– Mistress Mildred! – esclamò.
E ripetè, in preda alla più viva sorpresa:
– Viva? mistress Charnwood viva! e così poco lontana da noi! E noi non ne abbiamo mai saputo nulla! Mister Charnwood è stato tanto forte, fiero e tenace da riuscire a non far mai trapelar nulla! Mai!...
Il buon vecchio appariva tutto agitato.
– Povero mister Charnwood, povero padrone! – esclamò ancora.
– Mister Charnwood ha dato prova senza dubbio di un'anima forte! – dissi.
– Ah sì, certamente!
Rimanemmo qualche poco in silenzio, ciascuno immerso nelle proprie idee.
Poi io ripresi la parola. Esposi al buon vecchio segretario i vari dubbi che in que' due giorni – dacchè io aveva scoperta l'esistenza di mistress Mildred – si erano agitati nella mia coscienza. Come doveva io comportarmi? Qual era il mio dovere da compiere? Doveva io rivelare a quella madre infelice che – per quanto a me appariva – doveva aver già scontato abbastanza amaramente le colpe e gli errori passati, e a quella figliuola ignara e dubbiosa del suo passato, della sua origine, l'esistenza reciproca, pianta morta, e perduta? O doveva io rispettare e continuare la fiera volontà e risoluzione di que' due morti che avevan voluto punire così tremendamente la donna colpevole e la figliuola innocente? O non era forse Dio stesso che aveva voluto che quello avvenisse, perchè non impunemente nella vita si calpestano certi doveri intimi e sacri?... Ma perchè allora Dio aveva posto me sulla strada di quelle creature turbate ed inquiete se non forse per farmi strumento di riabilitazione e di perdono?
Io rifletteva. E la mia mente si smarriva. Che cosa doveva io fare?
– Sì, che debbo io dunque fare? – chiesi risolutamente a Thompson.
Egli riflettè alquanto.
– Io direi, – disse egli finalmente, – di cercare di conoscere tutto il bandolo della storia, di saper tutto bene, esattamente, e poi....
– E poi?
– E poi regolarci a seconda delle circostanze e di quanto saremo riusciti a sapere.
E continuò:
– Poichè uno strano punto oscuro rimane ancora a noi. Come mai e perchè miss Ethel, la prima delle figliuole di mistress Mildred, si trova nel palazzo Charnwood, erede della metà della sostanza del mister? Perchè l'ha egli raccolta, tenuta sempre come figliuola sua? E dove è andato egli a trovarla?
Thompson si fermò.
– E ancora, – continuò, – e dell'altra bambina della quale mistress vi ha parlato che n'è avvenuto?...
– Certo, – ripresi io, – qui noi abbiamo ancora del mistero, e non poco.... Noi abbiamo ancora molti punti oscuri da mettere alla luce. E come voi ottimamente dite, signor Thompson, noi non possiamo nulla decidere sul da fare se prima non li abbiamo decifrati e rischiarati completamente.
– Non vi pare?
– Certamente.
– E ditemi, signore, – riprese Thompson, – quali dati avete per continuare le vostre ricerche?
A queste parole del vecchio segretario mi ricordai dell'indirizzo datomi da mistress Mildred.
– Ricordo, e mi pare di avervene diggià accennato, di avere spedito delle lettere per conto di mister a cotesto recapito, – notò Thompson. – Ditemi, signore, – fece ancora egli, – avete osservato se per caso cotesto recapito si trova anche nel taccuino che avete trovato nello scrignetto di mister Charnwood?
– Non vi ho pensato, – dissi, – ma possiamo sempre vederlo.
E trassi il taccuino che portava sopra di me.
– Eccolo, – gridai accennando al secondo dei tre indirizzi, – è identico.
– L'aveva sospettato, – disse il segretario.
– Le varie fila del mistero si vanno raccostando, – mormorai.
– È proprio così, signore, – finì il buon Thompson.
– Concludendo, – dissi, – per ora non facciamo trapelare nulla a miss Ethel nè a Doroty. Poi.... Dio ci guiderà.
– Dio ci guiderà, – ripetè Thompson.
– Oggi le signorine vi attendono a pranzo, – disse ancora il vecchio segretario e tutore.
M'inchinai.
– Se volete raggiungerle, – disse egli ancora, – sono giù nella villa: le incontrerete subito.
Strinsi la mano al buon Thompson e mi diressi verso la villa.
*
Incontrai subito le signorine. Erano sul viale, sotto le dense fronde degl'immensi ippocastani che impedivano al sole di giungere sino alla minutissima sabbia del viale.
Miss Ethel era pallida e sbattuta ancora pel terribile colpo dal quale appena usciva. Doroty, per la spensieratezza propria della fanciullesca sua età, era più calma e tranquilla: e, sebbene pallida e agitata ancora, cominciava a rimettersi.
Appena mi scorsero affrettarono il passo. Doroty mi corse incontro saltellando e miss Ethel mi porse la mano. Una lieve vampa di roseo s'era accesa sul pallore del suo volto intelligente. La trovai molto seducente nel nero abito di lutto che le modellava squisitamente la snella ed aggraziata personcina.
– Siete stato molti giorni senza farvi vedere, – ella disse, sorridendo mestamente.
A lei nulla era trapelato de' miei passi dei giorni scorsi.
– Perdonatemi, miss, – dissi, – sono straniero in questa vostra libera e sì interessantissima per noi terra americana. Cerco e voglio ambientarmi alquanto. Perciò mi muovo, giro, vado intorno, guardo, osservo e sopratutto studio....
– Fate bene, signore, – mormorò ella.
M'avvidi che una vaga domanda era sulle sue labbra.... Ma non la formulò.
Forse ella intuiva che qualcosa di grave, di profondo io stava tentando in quei giorni per lei. Forse, con quella raffinatissima e misteriosa intuizione che è propria di certe nature fini e privilegiate, ella intuiva che qualcosa d'impreveduto e decisivo stava per avvenire nella sua vita. Forse voleva chiedermi, s'era vero ciò ch'ella misteriosamente sentiva, ciò che pensava.
Ma non disse nulla.
Forse non osò, forse temette d'ingannarsi o di saper troppo presto. Poichè fra le rare sue qualità aveva anche quella rarissima di sapere aspettare. Una delle sue massime favorite – e io l'aveva sentita più volte dalle sue labbra – era questa:
"Il segreto della vita, e forse della felicità, è nel saper aspettare.... Quanti hanno distrutto per sempre la felicità ch'era loro promessa per non aver saputo aspettare!...."