Discorso sopra l'origine ed l fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini

Io parlo dell'uomo, e la questione ch'esamino m'insegna che son per parlare ad uomini; poichè non se ne propongono di simili quando si teme di onorar la verità. Difenderò io adunque con sicurezza la causa dell'umanità dinanzi ai saggi che m'invitano, e non sarò mal contento di me medesimo se mi renderò degno del mio soggetto e de' miei giudici.

Io concepisco nella specie umana due sorte d'ineguaglianza; una che chiamo naturale e fisica, perchè essa è stabilita dalla natura, e che consiste nella differenza delle età, della sanità, delle forze del corpo, e delle qualità dello spirito, o dell'anima; l'altra, che si può chiamare ineguaglianza morale o politica, perchè essa dipende da una sorte di convenzione, ed è stabilita, o almeno autorizzata dal consentimento degli uomini. Questa consiste nei differenti privilegi di cui alcuni godono a pregiudizio degli altri, come l'esser più, ricchi, più onorati, più potenti di alcuni altri, oppure nel farsi obbedire.

Non si può chiedere qual sia la sorgente dell'ineguaglianza naturale, poichè la risposta si troverebbe enunziata nella semplice definizione della parola: meno ancora si può cercare se vi fosse qualche legame essenziale fra le due ineguaglianze; avvegnachè ciò sarebbe dimandare in altri termini, se quelli che comandano vagliano necessariamente più di quelli ch'obbediscono, e se la forza del corpo, o dello spirito, la saviezza, o la virtù si trovino sempre nei medesimi individui in proporzione della potenza, o della ricchezza: questione sarebbe questa buona forse da esser trattata da schiavi ascoltati da' loro padroni; ma che non conviene ad uomini liberi e ragionevoli, i quali cercano la verità.

Di che si tratta adunque precisamente in questo discorso? Di marcare, nel progresso delle cose, il momento in cui il dritto succedendo alla violenza, la natura fu sottomessa alla legge: di spiegare per qual concatenamento di prodigi il forte potè risolversi a servir il debole, ed il popolo a comperare un riposo ideale al prezzo di una reale felicità.

I filosofi che hanno esaminato i fondamenti della società, hanno tutti sentita la necessità di rimontare fino allo stato di natura; ma veruno d'essi non vi è giunto. Gli uni non hanno bilanciato di supporre all'uomo, in tale stato, la nozione del giusto e dell'ingiusto, senza curarsi di mostrare s'egli dovesse aver questa nozione, e neppure se utile gli fosse: altri hanno parlato del diritto naturale che ciascuno ha di conservare ciò che gli appartiene, senza spiegare ciò ch'essi intendessero per appartenere: altri dando da principio al più forte l'autorità sopra il più debole, fecero subito nascere il governo, senza pensare al tempo che dovè essere scorso primachè il senso delle parole autorità e governo potesse esistere fra gli uomini: infine tutti parlando sempre di bisogno, d'avidità, d'oppressione, di desiderio, e d'orgoglio, hanne trasportato nello stato di natura delle idee che essi aveano prese nella società; parlavan eglino dell'uom selvaggio, e dipingevano l'uomo civile. Nella maggior parte de nostri non è caduto nemmen in pensiero di sospettare, se lo stato di natura abbia giammai esistito, essendo evidente per la lettura de' sacri libri che avendo il primo uomo ricevuto immediatamente da Dio dei lumi e dei precetti, neppure egli stesso fosse in questo stato: e che prestando agli scritti di Mosè quella fede che gli deve ogni filosofo cristiano, bisogna negare che nemmen pria del diluvio si sieno giammai trovati gli uomini nello stato di natura, quando qualche straordinario avvenimento non li avesse fatti ricadere: paradosso molto imbrogliato a difendersi, ed affatto impossibile a provarsi.

Cominciam dunque dal por a parte tutti i fatti, non avendo essi che fare colla questione. Non convien prender le ricerche nelle quali si può entrare su questo soggetto per verità istoriche, ma soltanto per ipotetici ragionamenti e condizionali, più adattati a chiarire la natura delle cose, che a mostrarne la vera origine, simili appunto a quelli che fanno ogni giorno i nostri fisici sulla formazione del mondo. La religione ci ordina di credere, che Dio egli medesimo avendo tratto gli uomini dallo stato di natura, eglino sono ineguali perchè egli ha voluto che lo fossero; ma essa non ci proibisce di formar delle congetture tratte dalla sola natura dell'uomo e degli enti che lo circondano, su ciò che avrebbe potuto divenire il genere umano se fosse rimasto abbandonato a lui medesimo. Ecco ciò che mi si dimanda, e ciò ch'io mi propongo di esaminare in questo discorso. Interessando il mio soggetto l'uomo in generale, procurerò di prendere un linguaggio che convenga a tutte le nazioni; o piuttosto scordando i tempi e i luoghi per non pensare che agli uomini a' quali parlo, io mi supporrò nel Liceo d'Atene, ripetendo le lezioni de' miei maestri, avendo i Platoni ed i Xenocrati per giudici, ed il genere umano per uditore.

O uomo, di qualunque contrada che tu ti sia, qualunque sieno le tue opinioni, ascolta; ecco la tua storia, tal quale ho creduto leggerla , non già ne' libri de' tuoi simili, i quali son mentitori; ma nella, natura che mai mentisce. Tutto ciò che vi sarà d' essa, sarà vero; nè vi sarà di falso che ciò ch'io vi avrò mescolato di mio senza volerlo. I tempi di cui io son per parlare, sono ben lontani: quanto tu hai cambiato da quello che eri! Ella è, per così dire, la vita della tua specie che son per descriverti dietro alle qualità che tu hai ricevute, che la tua educazione e le tue abitudini hanno potuto bensì corrompere, ma non già distruggere. C'è, lo sento, un'età in cui l'uomo individuale vorrebbe fermarsi: tu cercherai l'età in cui bramèresti che la tua specie si fosse fermata. Malcontento dello stato tuo presente, per ragioni ch'annunziano alla tua infelice posterità maggiori disgusti ancora, forse tu vorresti poter ritrocedere: e questo tuo sentimento deve far l'elogio de' tuoi primi avoli, la critica de' tuoi contemporanei, e lo spavento di quelli ch'avranno la sventura di viver dopo di te.

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