La leggenda della mafia

A Luigi Galleani

Tu mi chiedi, carissimo Gigi, dopo l’assassinio di Nicola Alongi a Frizzi, che cosa c’è di vero in tutta questa paurosa tragedia della mafia siciliana, più specialmente in quanto tocca l’assassinio politico.

Io ho avuto occasione di trattare questo argomento parecchie volte sui nostri giornali, non esclusi gli ultimi numeri unici pubblicati a Palermo .

Lasciamo intanto da parte la vexata quaestio del significato, dell’origine, dello spirito, dell’ordinamento della mafia, che nel caso nostro sarebbe una questione di lana caprina, e parliamo soltanto dell’assassinio politico.

Comincio col riprodurre ciò che scrissi nel Vespro Anarchico alcuni mesi addietro:

Dopo l'assassinio del povero Giuseppe Rumore, il valoroso socialista di Prizzi, l’Avanti! e qualche altro giornale hanno ricantato la storiella della mafia che spadroneggia la Sicilia, dell'assassianio politico (?) elevato a metodo di lotta ecc. ecc.

Anche i giornali anarchici ripeterono le medesime fandonie in occasione della morte di Lorenzo Panepinto e di Bernardino Verro .

Innanzi tutto è bene sapere che in almeno due terzi della Sicilia la mafia non esiste più, è scomparsa di sana pianta., L'assassinio, chiamiamolo pur così politico (?), tranne che in due o tre paesi della provincia di Palermo (Corleone e Prizzi), e in altrettanti della provincia di Girgenti, è assolutamente ignoto in tutto il resto della Sicilia, che anzi non è stata mai funestata da quelle furibonde competizioni che hanno di frequente insanguinato la Romagna, la Lunigiana e altre regioni d'Italia. Spesso anzi non si tratta di veri e propri assassinii politici; ma di vendette private, come nel caso di Verro, o di astii economici, più che politici, dei gabelloti e dei latifondisti, come nei casi del Panepinto e del Rumore.

Se i socialisti di quei luoghi avessero seguito i miei ripetuti consigli, son sicuro che non avrebbero lamentato tante perdite. Certo è che nessun propagandista anarchico è stato mai toccato, perché con certezza ad un vile assassinio seguirebbe immediatamente la più spietata, la più esemplare vendetta.

Ma i socialisti le vendette le fanno colle schede. Oh, potenza della sudicia e putrida secchia rapita!”

Infatti le province di Siracusa e di Messina ignorano in modo assoluto, e da molti anni, che cosa sia la mafia, eccettuato qualche paesucolo del circondario di Mistretta, confinante colla provincia di Palermo. Le province di Catania e di Palermo per metà e forse più ne sono immuni anch’esse.

Qui dove scrivo, per esempio, non se ne ha più la minima nozione. A Cefalù è scomparsa totalmente almeno da un secolo; a Collesano fu distrutta nel 1860 e nel 1866, specialmente per opera di mio padre; Isnello e Cerda se ne sono anch’esse liberate; Termini Imerese e Campofelice di Roccella, un tempo terribili covi di mafiosi, oggi non ne hanno che scarsissimi e insignificanti residui, e così non pochi altri luoghi. L’altra metà della provincia, compresa quella gran fogna che è Palermo, può dirsi che sia alla mercè della mafia.

Le province però maggiormente infette, sono quelle di Trapani, Girgenti e Caltanissetta. Trapani e Girgenti da cima a fondo con qualche rarissima eccezione, fra cui, pare incredibile, la città di Girgenti e la bella e civile Castelvetrano, la patria dei Saporito. Della provincia di Caltanissetta solo un quarto ne va esente.

La mafia poi non è uniforme, né la sua attività criminosa è unica e concorde. Le sue manifestazioni invece sono di parecchie specie e variano da provincia a provincia, da paese a paese. Ma una cosa si può affermare con certezza matematica e senza timore della minima smentita: che l’assassinio politico in Sicilia nel movimento sociale non è mai esistito; molto meno poi tra la mafia rurale. Negli assassinii di Lorenzo Panepinto, di Giuseppe Rumore, di Nicola Alongi, e di pochi altri, lo ripeto, la politica c’entra come i cavoli a merenda. Si tratta di pure e semplici competizioni economiche locali.

Gli affittaiuoli (gabelloti) dei latifondi (feudi) e i loro guardiani, fattori, ecc. (campieri, curatoli, soprastanti, ecc. ), che vanno compresi nella parola impiegati e che coi loro padroni son quasi tutti mafiosi, nelle affittanze (sic) collettive e nelle cooperative agricole, veggono delle formidabili concorrenti, che minacciano le loro camorre e i loro accordellati. Inde irae.

Sennonché anche sotto questo aspetto l’assassinio dei capilega è un fatto sporadico, ristretto a cinque o sei paesi il massimo. Quello che io scrissi ne Il Contadino è la pura e sacrosanta verità, e sfido chicchessia a smentirmi:

''In questa partita i nostri villici hanno da dar lezioni, non solo alle stesse popolazioni urbane della Sicilia, ma anche ai loro compagni di contrade che si vantano di stare all’avanguardia del progresso....

"Qui fra i contadini siciliani, qualsiasi propagandista di qualsivoglia idea, dal clericale all’anarchico, diventa sacro e inviolabile. Egli può parlare a suo piacimento, può esporre la propria opinione come meglio gli aggrada, sicuro di essere ascoltato con rispetto e ascoltato con attenzione, senza l’ombra di ostilità»

Quello ch’io scrissi dei contadini può riferirsi anche alla più avversa e sudicia borghesia rurale.

Come campo della mia propaganda da lungo tempo io ho scelto appunto i luoghi funestati dagli assassinii cosiddetti politici, che sono peraltro fortezze inespugnate della mafia: Frizzi, Lucca Sicula, Villafranca Sicula, Burgio, Palazzo Adriano, ecc. L’anno scorso parlai due volte a Prizzi in due grandiosi comizi. Tutta la borghesia, compresi i gabelloti, i latifondisti e il loro seguito mafioso, mi ascoltò colla massima garbatezza e correttezza, e alcuni alla fine vennero a congratularsi con me "non per le idee, ma per il bel discorso". Son parole testuali.

Un’altra volta a Lucca Sicula, vero covo d’assassini, vennero ad ascoltarmi, tutta la borghesia e tutta la mafia. Nello stesso tempo, a Burgio, attaccai violentemente la mafia, sotto gli occhi stessi dell’on. De Michele generalissimo della delinquenza locale. Spesso in pubblico ho sfidato i mafiosi nel modo più sprezzante, e posso dire di non essere stato mai offeso o semplicemente interrotto una sola volta.

Nessuno più di me, caro Gigi, conosce da un capo all’altro la Sicilia e la mafia siciliana, sotto tutti gli aspetti e in tutte le manifestazioni; figurati perciò come e quanto rido allorché sento i demagoghi medagliettati, i gazzettieri immondi, gli scribi viaggianti e simili, sballare panzane, più grosse delle Madonie e del Mongibello, quando parlano di mafia e di mafiosi. La tregenda mafiosa c'è, nessuno lo nega, ed è il cancro d’una buona parte dell’isola; ma la mafia come istituzione siciliana, l’assassinio politico ecc. sono una grottesca leggenda. Tu stesso te n’avvedrai, quando verrai qui, se ci verrai.

Per finire ti dico che molti componenti delle leghe socialiste sono ex mafiosi convertiti; di cui ne contiamo parecchi anche fra gli anarchici.

E non sono certo i peggiori compagni. Presentemente ne abbiamo alcuni che per lo meno valgono quanto te e me.

Anche Nicola Alongi, nella sua giovinezza fu un mafioso, com’ebbe a confessarmi egli stesso.

Si ravvedranno in tempo i suoi assassini e gli altri bravi dei latifondisti e dei gabelloti, che disgraziatamente vengono tutti dal proletariato rurale? Pensino bene questi sciagurati che, se nel giorno del redde rationem li troveremo al loro posto d’abbrutimento e d’infamia, li fucileremo tutti quanti alla schiena, come i peggiori traditori e nemici del genere umano.

Paolo Schicchi

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