Spartaco passa il Faro

Il glorioso condottiero dei gladiatori ribelli, ognun lo sa, voleva passare in Sicilia, dove, unendosi ai numerosissimi schiavi dell’isola, avrebbe potuto forse trionfare, ma il tradimento dei pirati lo costrinse a ritornare indietro e a dar di cozzo nell’inespugnabile trincea di Crasso. Oggi lo spirito dell’eroe con miglior fortuna ha varcato il Faro ed aleggia luminoso e turbinoso in mezzo ai nostri lavoratori.

Il proletariato siciliano, specialmente l’agricolo, ha senza dubbio molti e gravi difetti, ma nello stesso tempo possiede in così alto grado certe virtù da non trovare riscontro in alcun'altra gente. In qualche regione d'Italia e fuori d'Italia, per esempio, ad ogni minima ribellione, ad ogni sciopericciuolo, ad ogni squisquilia si suona la grancassa, si dà fiato alle trombe e si annunzia ai quattro venti l’importante avvenimento. Qui invece molto di frequente passano inosservati magnifiche ribellioni e sacrificii eroici, perché nessuno, massime fra gli anarchici, si prende la briga di suonarvi attorno il tamburo e di riempirne i giornali.

Nessuno qui da noi s’è mai sognato di porre sugli altari qualche compagno fucilato per l’idea, del quale non ci siamo dato neanche il pensiero di strombazzarne per urbem et orbem il nome. Qui nessuno ha avuto mai l’infelicissima idea di beatificare giganti come Vito Grignani , Eliodoro Lombardi e Mario Rapisardi, morti quasi poveri e dimenticati, mentre in qualche parte del continente si sta santificando il beato Errico Malatesta (come bene osservano i compagni dell'Iconoclasta di Pistoia), con un crescendo così disgustoso e grottesco da non trovare l’eguale se non nella chiesa cattolica apostolica romana.

Questa sobrietà, questo disprezzo delle stamburate, questa noncuranza della popolarità e delle gazzarre, che alcuni di foravia chiamano cretinescamente fatalismo, si riscontrano nel genio sdegnoso ed austero dei nostri due grandi poeti sociali, Eliodoro Lombardi e Mario Rapisardi,e in quasi tutti i nostri più valorosi propagandisti, da Vito Grignani ad Alberto Giannitrapani .

Pochissimi compagni del continente forse sanno che in molti luoghi del nostro contado l’avversione alla guerra assunse forme violentissime di vera ribellione sociale, per vincere la quale occorse un vero esercito. Nessuno poi avrebbe saputo ciò che è successo in questi ultimi mesi, se non fosse stato per i sanguinosissimi episodii di Riesi, di Terranova, di Prizzi.

Qui, fra i nostri contadini, da qualche tempo in qua si sta svolgendo una lotta turbinosissima contro i latifondisti e la mafia, non sempre in senso egoista e puramente economico. In ogni angolo le falangi anarchiche e bolsceviche si moltiplicano talmente, da dare sicuro affidamento che in caso di rivoluzione sociale sarà impossibile il sorgere d’una qualsiasi Vandea come in Russia, in Ungheria e altrove, anche senza l’intervento delle popolazioni cittadine.

A Cefalù, che un tempo non lontano era la più tetra sagrestia della Sicilia e dove giovinetto a quattordici anni io colsi il rischio d’essere linciato come un messo del diavolo dalla plebaglia sobillata dai preti, il dominio di Cristo è finito e sta per cominciare quello dell’anarchismo. E non è la sola.

Certo molto, moltissimo resta ancora da fare, ed io esorto i compagni a non stancarsi mai della propaganda locale e diuturna, che è la sola che fa miracoli. Non stiano ad aspettar la manna dall’oratore o dal propagandista di cartello, che passa una volta come il turbine e chi sa poi quando ritornerà. Il propagandista può tutt'al più gettare il seme; ma il campo dopo devono coltivarlo i lavoratori del luogo. Li esorto soprattutto ad essere coerenti colle proprie idee, rifuggendo in modo speciale dai carnevaloni elettorali e dalle fiere religiose.

Massar

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