§ 4.

Chi ha conosciuto quella forma del principio di ragione che apparisce nel tempo puro in quanto è tale, e su cui poggia ogni numerazione e calcolo, ha con ciò appunto conosciuto anche l'intera essenza del tempo. Esso non è se non proprio della forma del principio di ragione, e non ha alcun'altra proprietà. Successione è la forma del principio di ragione nel tempo, successione è tutta l'essenza del tempo. Chi poi ha conosciuto il principio di ragione quale esso domina nell'intuizione pura dello spazio, ha con ciò stesso dato fondo all'intera essenza dello spazio; perché questo in tutto e per tutto niente altro è se non la possibilità delle vicendevoli determinazioni delle sue parti, la quale si chiama posizione. Lo studio ampio di questa, e la fissazione in concetti astratti, per più comodo uso, dei risultati che ne seguono, è il contenuto di tutta la geometria. Ora appunto così, chi ha conosciuto il modo del principio di ragione che regge il contenuto di quelle forme (il tempo e lo spazio) e la loro percettibilità, cioè la materia, e ha quindi conosciuto la legge della causalità; quegli ha pur conosciuto proprio con ciò l'intera essenza della materia come tale: perché questa è in tutto e per tutto nient'altro che causalità: ciò che ognuno immediatamente vede, appena vi rifletta. Poiché il suo essere è la sua attività: nessun altro suo essere si può anche solamente pensare. Solo come agente riempie essa lo spazio, riempie il tempo: la sua azione sull'oggetto immediato (che pur esso è materia) determina l’intuizione, senza la quale non esiste materia: il risultato dell’azione di ogni oggetto materiale sopra un altro è solo conosciuto in quanto quest'ultimo agisce alla sua volta diversamente che innanzi sull'oggetto immediato; e in ciò solo consiste. Causa ed effetto è dunque tutta la essenza della materia: il suo essere è la sua attività. (Su ciò più minutamente nella dissertazione intorno al principio di ragione, § 21, p. 77). Giustissimamente perciò in tedesco il concetto di tutto ciò che è materiale vien chiamato Wirklichkeit , da wirken , agire, la qual parola è molto più precisa che non realtà . Ciò su cui la materia agisce, è ancora e sempre materia: tutta la sua sostanza consiste adunque nella regolare modificazione che una parte di essa produce nell'altra, e perciò del tutto relativa, relazione vigente solo dentro i suoi confini; adunque proprio come il tempo, proprio come lo spazio.

Ma tempo e spazio, ognuno per sé, sono anche senza la materia intuitivamente rappresentabili; invece non la materia senza quelli. Già la forma, che da lei è inseparabile, presuppone lo spazio; e la sua attività, in cui sta tutto il suo essere, concerne sempre un cambiamento – e perciò una determinazione – del tempo. Ma tempo e spazio non vengono isolatamente, ciascuno per sé, presupposti dalla materia; bensì l'unione d'entrambi costituisce l'essenza di questa; appunto perché tale essenza, com'è dimostrato, consiste nell'attività, nella causalità. Tutti gli immaginabili, innumerevoli fenomeni e stati potrebbero invero nello spazio infinito, senza darsi impaccio, l'un presso l'altro coesistere, o anche nel tempo infinito, senza disturbarsi, l'un l'altro seguire; perciò dunque una necessaria relazione fra loro ed una regola che li determinasse in conformità di questa relazione non sarebbe in niun modo indispensabile, e nemmeno applicabile: non si avrebbe dunque allora, malgrado ogni giustapposizione nello spazio e ogni mutamento nel tempo, ancora nessuna causalità, fin che ciascuna di quelle due forme avesse la sua esistenza e il suo corso di per sé, senza connessione con l'altra. E poiché la causalità costituisce propriamente l'essenza della materia, non si avrebbe nemmeno materia. Ora invece la legge di causalità trae la sua significazione e necessità solo da ciò, che l'essenza del cambiamento non sta nel puro mutar degli stati in sé, bensì piuttosto nel fatto che nello stesso punto dello spazio è ora uno stato e successivamente un altro, e in uno stesso momento determinato è qui questo stato, là un altro: solo questa reciproca limitazione del tempo e dello spazio da significato e insieme necessità ad una regola, secondo la quale deve svolgersi il cambiamento. Ciò che viene determinato mediante la legge di causalità non è adunque la successione degli stati nel tempo puro, ma codesta successione riguardo a uno spazio determinato, e non la presenza degli stati in un luogo determinato, ma in questo luogo in un tempo determinato. La modificazione, ossia il cambiamento sopravveniente secondo la legge causale, concerne perciò ogni volta una determinata parte dello spazio e una determinata parte del tempo, simultaneamente e insieme. Quindi la causalità congiunge lo spazio col tempo. Ma noi abbiamo trovato che nell'attività, e perciò nella causalità, consiste l'intera essenza della materia: di conseguenza devono anche in questa spazio e tempo esser congiunti, ossia essa deve avere simultaneamente in sé le proprietà del tempo e dello spazio, per quanto queste si contrastino; e ciò che in ciascuno di quelli è da solo impossibile, deve essa in sé riunire, ossia l'inconsistente fuga del tempo con la rigida, immutabile persistenza dello spazio: la divisibilità infinita essa l'ha da entrambi. In tal modo noi troviamo primamente per suo mezzo prodotta la simultaneità, che non poteva essere né nel tempo puro, il quale non conosce alcuna giustapposizione, né nel puro spazio, il quale non conosce alcun innanzi , dopo , e ora. Ma è appunto la simultaneità di molti stati che costituisce l'essenza della realtà [ Wirklichkeit ]: perché dalla simultaneità in primissimo luogo è resa possibile la durata, essendo questa conoscibile solo al variar di ciò che è insieme presente e durevole: com'anche solo mediante il durevole nella variazione prende questa il carattere della modificazione, ossia del mutamento di qualità e forma nel perdere della sostanza, cioè della materia . Nello spazio puro il mondo sarebbe rigido ed immobile: nessuna successione, nessuna modificazione, nessuna attività: ma appunto con l'attività è anche tolta via la rappresentazione della materia. D’altra parte, nel tempo puro tutto sarebbe fuggitivo: nessun persistere, nessun coesistere, e perciò nulla di simultaneo, quindi nessuna durata: ossia anche in questo caso niente materia. Solo dall'unione di tempo e spazio risulta la materia, vale a dire la possibilità della esistenza simultanea e quindi della durata; mediante questa poi, la possibilità del permanere della sostanza nel mutar degli stati . Avendo la sua essenza nell'unione di tempo e spazio, la materia reca sempre l'impronta d'entrambi. Ella attesta la sua origine dallo spazio, in parte con la forma, che da lei è inseparabile, ma soprattutto (perché il cambiamento appartiene solo al tempo, ed in questo, considerato in sé e per sé, non è nulla di stabile) col suo permanere (sostanza); la cui certezza a priori va perciò derivata in tutto e per tutto da quella dello spazio : invece la sua origine dal tempo manifesta ella con la qualità (accidente) senza la quale mai non appare, e che non è altro se non causalità (azione sopr'altra materia, ossia cambiamento, che è un concetto di tempo). Ma la legittima possibilità di questa azione si riferisce sempre simultaneamente a spazio e tempo, e appunto da ciò soltanto acquista un senso. Quale stato debba aversi in un dato tempo e luogo è la sola determinazione su cui s'estende la giurisdizione della causalità. Su questa provenienza delle determinazioni fondamentali della materia dalle forme a priori della nostra conoscenza, poggia il riconoscimento a priori che noi facciamo in lei di talune proprietà, come quella di riempir lo spazio, ossia impenetrabilità, ossia attività; inoltre estensione, infinita divisibilità, permanenza, ossia indistruttibilità, e infine mobilità: la gravità invece, malgrado ammetta eccezioni, sarà da attribuire alla conoscenza a posteriori , sebbene Kant nei Principi metafisici della scienza della natura , p. 71 (ed. Rosenkranz, p. 372) la ponga come conoscibile a priori .

Ma come l’oggetto esiste solo per il soggetto, quale sua rappresentazione, così ogni speciale classe di rappresentazione esiste nel soggetto soltanto per un'altrettanta speciale determinazione, che si chiama facoltà conoscitiva. Il correlato subiettivo di tempo e spazio in sé, come forme vuote, fu da Kant chiamato sensibilità pura, e questa espressione, poiché qui Kant aperse la via, può esser mantenuta; sebbene non convenga perfettamente, per ciò che sensibilità presuppone già materia. Il correlato subiettivo della materia o causalità, le quali sono tutt'uno, è l'intelletto, che non altro è fuori di questo. Sua esclusiva funzione, sua unica forza è conoscere la causalità – ed è una forza grande, che molto abbraccia, di svariata applicazione, ma di non disconoscibile identità in tutte le sue manifestazioni. Viceversa ogni causalità, perciò ogni materia, e quindi l'intera realtà esiste soltanto per l'intelletto, mediante l'intelletto, nell'intelletto. La prima, più semplice, sempre presente manifestazione dell'intelletto è l'intuizione del mondo reale: questa non è altro se non conoscenza della causa dall'effetto: perciò ogni intuizione è intellettuale. Non vi si potrebbe tuttavia pervenire mai, se un effetto qualsiasi non fosse conosciuto immediatamente, servendo con ciò da punto di partenza. E questo è l'effetto sui corpi animali. In tale senso sono questi gli oggetti immediati del soggetto: l'intuizione di tutti gli altri oggetti si ha per loro mezzo. Le modificazioni che ogni corpo animato subisce sono immediatamente conosciute, ossia provate; e in quanto codesto effetto viene tosto riferito alla sua causa, nasce l'intuizione di quest'ultima come di un oggetto. Questo riferimento non è una conclusione di concetti astratti, non accade per mezzo di riflessione né con arbitrio, ma immediatamente, necessariamente e sicuramente. Esso è il modo di conoscere del puro intelletto, senza il quale non si verrebbe mai all’intuizione; ma s'avrebbe una coscienza ottusa, vegetativa, delle modificazioni dell'oggetto immediato, che si succederebbero prive in tutto di senso, se non avessero forse un senso di dolore o di piacere per la volontà. Ma come, con l'apparir del sole, il mondo visibile si scopre, così l'intelletto con la sua unica, semplice funzione trasforma d'un tratto in intuizione la confusa e bruta sensazione. Ciò che sente l'occhio, l'orecchio, la mano, non è l'intuizione, ma sono appena i dati dell'intuizione. Solo allor che l'intelletto risale dall'effetto alla causa, apparisce il mondo, esteso nello spazio come intuizione, mutevole nella forma, eterno in quanto materia: perché l'intelletto congiunge spazio e tempo nella rappresentazione di materia, ossia di attività. Questo mondo come rappresentazione esiste solo mediante l'intelletto, e solo per l'intelletto. Nel primo capitolo della mia dissertazione «sulla vista ed i colori», ho già spiegato come sui dati, che i sensi forniscono, l'intelletto foggi l'intuizione; come dal confronto delle impressioni che i vari sensi ricevono dal medesimo oggetto il bambino apprenda l'intuizione; come soltanto ciò fornisca la spiegazione di tanti fenomeni dei sensi: la visione unica con due occhi; la doppia visione nello strabismo, o nella ineguale distanza di oggetti posti l'uno dietro l'altro, che l'occhio veda simultaneamente; e tutte le illusioni prodotte da un'improvvisa modificazione negli organi sensorii. Molto più estesamente e più a fondo ho tuttavia studiato questo importante argomento nella seconda edizione dello scritto sul principio di ragione (§ 21). Tutto ciò che là vien detto avrebbe qui di necessità il suo luogo, dovrebbe quindi in verità esser qui ripetuto: ma poi che io ho quasi altrettanta ripugnanza a copiare me stesso che gli altri, né sono in grado di esporre le mie idee meglio di quanto abbia fatto colà, vi rinunzio; e invece di ripeterle qui, le do per già conosciute.

L'apprendimento della visione da parte dei bambini e dei ciechi nati che siano stati operati, la visione unica di ciò che vien percepito doppio con due occhi, il doppio vedere o la doppia sensibilità tattile nello spostamento degli organi sensorii dalla loro posizione ordinaria, il veder l’oggetto diritto mentre l’immagine sta capovolta nell’occhio, l’attribuzione del colore – che è solo una funzione interna, una divisione polare dell'attività dell'occhio – agli oggetti esterni e infine anche lo stereoscopio – tutte queste sono salde e indiscutibili prove del fatto che ogni intuizione non è puramente sensibile, bensì intellettuale, ossia pura conoscenza intellettiva della causa dall'effetto, e quindi presuppone la legge di causalità. Dal conoscimento di quella dipende ogni intuizione, e perciò ogni esperienza, nella sua prima e intera possibilità; e non viceversa il conoscimento della legge causale dall'esperienza, secondo voleva lo scetticismo di Hume, che per la prima volta viene confutato con questa dimostrazione. Poiché l'indipendenza della cognizione della causalità da ogni esperienza, ossia la sua apriorità, non può venir dimostrata se non col dipendere di tutta l'esperienza da lei e questo alla sua volta può solamente accadere quando si provi nel modo qui indicato, e ampiamente svolto nei luoghi più sopra citati, che la nozione di causalità è già universalmente implicita nell'intuizione, nel cui dominio sta tutta l'esperienza; sì che quella nozione sussiste pienamente a priori in rapporto all'esperienza, e viene da questa presupposta, non la presuppone. Ciò non si può invece dimostrare nel modo tentato da Kant e da me criticato nella dissertazione sul principio della ragione (§ 23).

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