Poiché noi adunque come individui non abbiamo conoscenza se non sottomessa al principio di ragione, e questa forma esclude la conoscenza delle idee, certo è che quando sia a noi possibile sollevarci dalla conoscenza delle singole cose a quella delle idee, ciò può aversi solo accadendo nel soggetto una mutazione corrispondente ed analoga a quel gran cambiamento nel modo d'essere dell'oggetto; per la quale il soggetto, in quanto conosce un'idea, non è più individuo.
Ci sovviene dal precedente libro, che il conoscere in genere appartiene esso medesimo alla oggettivazione della volontà nel suo grado più alto; e la sensibilità, i nervi, il cervello non sono appunto, come altre parti dell'essere organico, se non espressione della volontà in questo grado della sua oggettità. Quindi la rappresentazione sorta per loro mezzo è anch'essa parimenti destinata al servizio di quella, come un mezzo (μηκανη) pel conseguimento dei suoi fini fattisi complicati (πολυτελεστερα), per la conservazione di un essere avente molteplici bisogni. In origine adunque e per natura è la conoscenza in tutto al servizio della volontà; e come l'oggetto immediato, che diviene suo punto di partenza mediante l'applicazione della legge di causalità, non è se non volontà oggettivata, così rimane anche ogni conoscenza informata al principio di ragione in un più stretto o più largo rapporto con la volontà. Imperocché l'individuo trova che il suo corpo è un oggetto fra oggetti, coi quali tutti il corpo stesso ha svariate relazioni e riferimenti, secondo il principio di ragione; sì che la considerazione di quegli oggetti riconduce pur sempre, in via diretta o indiretta, al proprio corpo, ossia alla propria volontà. Essendo il principio di ragione quello che pone gli oggetti in codesto rapporto con il corpo e quindi con la volontà, deve la conoscenza che alla volontà è serva essere perciò rivolta unicamente a conoscer degli oggetti appunto i rapporti stabiliti secondo il principio di ragione, ossia a tener dietro alle loro svariate relazioni nello spazio, nel tempo e nella causalità. Poiché solo in virtù di queste è l'oggetto interessante per l'individuo, ossia ha un rapporto con la volontà. Per conseguenza non altro conosce veramente degli oggetti la conoscenza che sta al servizio della volontà, se non le relazioni loro; e gli oggetti solo in tanto conosce, in quanto essi esistono in un tempo, in un luogo, in date circostanze, in virtù di date cause, con dati effetti – esistono, in una parola, come singoli oggetti. E se fossero tolte via tutte codeste relazioni, svanirebbero insieme per la conoscenza anche gli oggetti, appunto perché questa non conosceva in quelli null'altro. Neppure dobbiamo dissimularci, che quanto considerano le scienze negli oggetti non è sostanzialmente altro se non quel che sopra è detto: cioè le loro relazioni, i rapporti del tempo, dello spazio, le cause dei mutamenti naturali, il confronto delle forme, i motivi dei fatti – ossia semplici relazioni. Ciò che le scienze distingue dalla comune conoscenza è soltanto la lor forma, il carattere sistematico, l'alleviamento del conoscere raggiunto col ridurre ogni caso singolo all'universale, mediante la subordinazione dei concetti, e ottenendo così la piena compiutezza. Ogni relazione ha pur essa un'esistenza solamente relativa: per esempio ogni essere nel tempo è anche un non-essere, perché il tempo per l'appunto non è se non ciò, per cui mezzo possono a un medesimo oggetto toccare determinazioni opposte. Quindi ogni fenomeno nel tempo è e non è: poiché ciò che separa il suo principio dalla sua fine non è se non tempo, ossia alcunché di evanescente, inconsistente e relativo, chiamato in questo caso durata. Eppure il tempo è la più general forma di tutti gli oggetti della conoscenza posta al servizio della volontà, ed il prototipo delle rimanenti forme di quella.
Ora, di regola al servizio della volontà rimane la conoscenza sottomessa ognora, come già per tal servizio ebbe principio; anzi è dalla volontà germinata, come la testa si svolge dal tronco. Presso gli animali codesta sommissione della conoscenza alla volontà non può mai venir meno. Negli uomini può mancare solo in via d'eccezione, come tosto vedremo. Tale differenza tra uomo e bruto viene manifestata esteriormente con la differenza della relazione che in loro passa tra il capo ed il tronco. Negli animali inferiori sono capo e tronco ancora del tutto confusi; in ognuno è il capo rivolto a terra, dove stanno gli oggetti della sua volontà: ed ancor negli animali superiori sono capo e tronco assai più riuniti che nell'uomo, il cui capo appare libero al sommo del tronco, solo da esso portato, non ad esso servendo. Questo umano privilegio presenta nel massimo grado l'Apollo del Belvedere: il lungiattornomirante capo del Dio delle Muse poggia così libero sulle spalle, da apparire in tutto disciolto dal corpo, non più soggetto alle cure corporali.