Il corso del nostro studio ha reso necessario introdur l'illustrazione del sublime a questo punto, quando quella del bello non era compiuta che a mezzo, sotto un solo dei suoi aspetti – il soggettivo. Imperocché era appunto una particolare modificazione di codesto aspetto soggettivo, che distingueva il sublime dal bello. Invero, se lo stato del puro conoscere scevro di volontà, presupposto e voluto da ogni contemplazione estetica, sia sorto come spontaneamente, senza resistenza, per un semplice dileguarsi della volontà dalla conscienza, quando un oggetto l'ha a ciò invitato ed attratto; oppur se il medesimo stato sia raggiunto attraverso un libero, conscio elevarsi sulla volontà, con la quale l'oggetto contemplato aveva una relazione sfavorevole ed ostile; – questa è la differenza tra il bello e il sublime. Nell'oggetto non sono l'uno e l'altro sostanzialmente distinti: poiché in ciascun caso è oggetto della contemplazione estetica non già la singola cosa, bensì l'idea, che in questa tende a palesarsi, ossia l'adeguata oggettità della volontà in un dato grado: il suo correlato necessario – sottratto, come lei medesima, al principio di ragione, è il puro soggetto del conoscere; come il correlato della cosa singola è l'individuo conoscente, e questo e quella stanno entrambi in potere del principio di ragione.
Chiamando bella una cosa, veniamo con ciò a dire che ella è oggetto della nostra contemplazione estetica; la qual cosa implica due fatti: da un lato, che la vista di quella ci renda obiettivi, ossia che noi nel contemplarla non siamo più consapevoli di noi stessi in quanto individui, bensì in quanto puro, libero da volontà soggetto del conoscere; e dall'altro lato, che nell'oggetto non la singola cosa, bensì conosciamo un'idea – il che può solo accadere fin quando la nostra contemplazione dell'oggetto non sia asservita al principio di ragione, non vada dietro al suo rapporto con qualcosa fuori di esso (rapporto ch'è sempre collegato a rapporti con la nostra volontà), bensì posi nell'oggetto medesimo. Imperocché l'idea e il puro soggetto del conoscere si presentano sempre insieme alla conscienza, come necessari correlati, e col loro presentarsi svanisce anche ogni differenza temporale, essendo entrambi affatto estranei al principio di ragione in tutte le sue forme, e stando fuori delle relazioni da esso determinate: paragonabili all'arcobaleno ed al sole, che nessuna parte hanno nel continuo moto e nella successione delle cadenti gocce. Quindi, se io a mo' d'esempio guardo un albero esteticamente, ossia con occhio artistico, e quindi non esso conosco, bensì la sua idea; perde subito ogni valore il saper se l'albero è questo o se è un suo florido antenato di mille anni innanzi, e così se chi l'osserva è questo o quell'individuo, quando che sia e dove che sia vissuto. Tolto il principio di ragione, son tolti anche l'oggetto singolo e il conoscente individuo; nulla rimane se non l'idea e il puro soggetto del conoscere, che insieme costituiscono l'adeguata oggettità della volontà in questo grado. E non solo al tempo, ma anche allo spazio è sottratta l'idea: poiché non la forma spaziale, che mi sta davanti, ma la sua espressione, il suo significato puro, la sua più intima essenza, che a me si apre e mi parla, è propriamente l'idea; e rimane identica pur se vi sia gran differenza nelle relazioni spaziali della forma.
Ora, poiché da un verso ogni cosa che esista può esser considerata in modo puramente obiettivo e fuor d'ogni relazione; poiché inoltre dall'altro verso, in ogni cosa la volontà – qualunque sia il grado della sua oggettità – si rileva, e la cosa stessa è quindi espressione di un'idea; ne viene che ogni cosa è bella. Che anche le cose più insignificanti possano essere oggetto d'una considerazione puramente obiettiva e scevra di volontà, e come tali mostrarsi belle, attesta l'esempio, già citato a questo riguardo (§ 38), delle nature morte olandesi. Ma una cosa è più bella d'un'altra pel fatto che ella agevola quella considerazione puramente oggettiva, le muove incontro, quasi la costringe: e allora noi diciamo ch'è molto bella. Questo in parte accade perché, come cosa singola, mediante la chiarissima, nettamente determinata, in tutto significativa relazione delle sue parti, ella esprime nettamente l'idea della propria specie; e mediante la compiutezza, in lei raccolta, di tutte le possibili manifestazioni della specie stessa, quell'idea palesa in modo compiuto; sì che allo spettatore è reso facilissimo il passar dalla singola cosa all'idea, e facilissimo appunto perciò anche lo stato della pura contemplazione. Per un'altra parte, il privilegio della maggior bellezza d'un oggetto consiste nell'esser l'idea medesima, che da quello ci parla, un alto grado nell'oggettità della volontà, e quindi significantissima e molto espressiva. Perciò è l'uomo più bello d'ogni altra cosa, e la rivelazione della sua essenza è il più alto fine dell'arte. Figura umana ed umana espressione sono il più importante oggetto dell'arte figurativa, come l'azione umana è oggetto più importante della poesia. Ma tuttavia ogni cosa ha la sua speciale bellezza: non soltanto ogni essere organico presentantesi nell'unità del suo individuo, bensì anche ogni cosa inorganica, priva di forma, e perfino ogni cosa fatta dalla mano dell'uomo. Imperocché tutte palesano le idee, per mezzo delle quali la volontà s'oggettiva nei gradi più bassi, e formano come le più profonde, estinguentisi note di basso della natura. Gravità, solidità, fluidità, luce, etc., sono le idee che si esprimono in rocce, edilizi, acque. La bella architettura dei giardini e delle costruzioni non altro può se non aiutar tali idee a spiegare in modo limpido, vario e compiuto quelle lor qualità, e dar loro modo di esprimersi nettamente; sì che possano richiamare e rendere agevole la contemplazione estetica. A ciò poco o punto riescono invece brutti edifizi e paesi; ma nemmeno da questi posson dileguarsi del tutto quelle generali idee elementari della natura. Quivi anche parlano codeste idee al contemplatore che le cerca, anche edifizi brutti e simili cose sono atti ad una considerazione estetica: ancora sono quivi riconoscibili le più generali qualità della loro materia, e soltanto la forma loro data artificialmente, lungi dall'agevolare, è un impedimento, che fa difficile la contemplazione estetica. Dunque, anche cose artefatte servono alla espressione di idee: ma non è l'idea della cosa artefatta, che in loro parla, bensì l'idea del materiale a cui s'è data quella forma artificialmente. Questo si può esprimere, in modo assai comodo, nel linguaggio degli scolastici, con due parole: ossia nell'artefatto si esprime l'idea della sua forma substantialis, non quella della sua forma accidentalis; la quale ultima non fa capo a un'idea, bensì semplicemente ad un concetto umano, dal quale ella è nata. S'intende, che qui con la parola artefatto non si vuole indicare nessun'opera dell'arte figurativa. D'altronde in realtà gli scolastici intesero per forma substantialis quel ch'io chiamo grado dell'oggettivazione della volontà in un oggetto. Nel trattar della bella architettura, ritorneremo fra poco sull'espressione dell'idea del materiale. Or dunque, dato questo nostro giudizio, non possiamo convenir con Platone, quando afferma (De Rep., X, pp. 284-285, e Parmen., p. 79, ed. Bip.), che tavola e sedia esprimono le idee tavola e sedia; noi diciamo invece, che esprimono le idee già rilevantisi nella semplice materia loro, in quanto tale. Secondo Aristotele (Metaph., XI, cap. 3) avrebbe tuttavia Platone statuito solamente idee degli enti naturali: Πλατον εφη, ότι ειδη εστιν όποσα φυσει. (Plato dixit, quod ideae eorum sunt, quae natura sunt); e nel cap. 5 si dice non esister secondo i platonici idea alcuna di casa o d'anello. In ogni modo già i discepoli più prossimi di Platone, secondo c'informa Alcinoo (introducilo in platonicam philosophiam, cap. 9), negarono potersi dare idee di cose artificiali. Dice Alcinoo: Ὁριζονται δε την ιδεαν, παραδειγμα των κατα φυσιν αιωνιον. Ουτε γαρ τοις πλειστοις των απο Πλατωνος αρεσκει, των τεχνικων ειναι ιδεας, οίον ασπιδος η λυρας, ουτε μην των παρα φυσιν, οίον πυρετου και χολερας, ουτε των κατα μερος, οίον Σωκρατους καὶ Πλατωνος, αλλ’ουτε των ευτελων τινος, οίον μειζονος και ύπερεχοντος ειυαι γαρ τας ιδεας νοησεις θεου αιωνιους τε και αυτοτελεις (Definiunt autem ideam exemplar aeternum éorum, quae secundum naturam existunt. Nam plurimis ex iis, qui Platonem secuti sunt, minime placuit, arte factorum ideas esse, ut clypei atque lyrae; neque rursus eorum, quae praeter naturam, ut febris et cholerae; neque particularium, ceu Socratis et Platonis; neque etiam rerum vilium, veluti sordium et festucae; neque relationum, ut majoris et excedentis: esse namque ideas intellectiones dei aeternas, ac seipsis perfectas). In quest'occasione può essere toccato un altro punto, nel quale la nostra dottrina delle idee molto s'allontana da quella di Platone. Egli insegna (De Rep., X, p. 288), l'oggetto che l'arte bella vuol rappresentare, il modello della pittura e della poesia, non esser l'idea, bensì la cosa singola. Proprio il contrario sostiene tutta la dimostrazione da noi fin qui fatta; e l'avviso di Platone tanto meno ci svierà su questo punto, essendo la causa d'un dei più grossi e riconosciuti errori commessi da quell'uomo grande, ossia del suo disdegno e abominio per l'arte, specialmente la poesia. Il suo falso giudizio su di questo ei lo collega direttamente col luogo citato.