I.

Il '48 considerato in uno dei suoi tanti aspetti, forse il più attraente, si presenta a noi come una sonante e fulgida pagina di poesia. Aspettando che i miei illustri colleghi, rivolgendosi alla vostra ragione, di mano in mano illustrino gli altri aspetti di quell'epoca memorabile, lasciate che io v'intrattenga un poco di questa poesia del '48, la quale, più che nelle carte dei poeti, fu scritta nei fatti e nei cuori. Poeta ispirato e fecondo fu allora il popolo italiano; e tutti, in alto e in basso, furono poeti per un momento, poichè una corrente irresistibile trasse e confuse gli italiani di tutte le classi a vivere e ad agitarsi negli stessi entusiasmi.

Era il tempo in cui un frate benedettino nella solitudine del suo cenobio, nel silenzio della sua [8] cella, dopo avere scritto una storia della Lega lombarda, la dedicava al Papa con queste parole: - Affacciatevi, Beatissimo Padre, alla ròcca dei secoli, ed ascoltate la voce dei tempi nuovi. Scrutate i nostri cuori, e vedrete che noi siamo sempre degni nepoti di quei Lombardi, che così eroicamente congiunsero la fede e l'amor di patria. - Poi continuava: - Togliete, o Padre Santo, la bandiera che Alessandro III appese al sepolcro del beato Pietro, dopo aver debellato Barbarossa; e fatela sventolare al sole d'Italia! -

Strano frate ed insolito linguaggio! Era questa la voce isolata di un asceta sognatore?... No. Se il Padre Tosti dall'altezza di Montecassino avesse teso l'orecchio, avrebbe sentito voci somiglianti alla sua, in quei giorni benedetti, sonare per tutta l'Italia e passare le Alpi e invadere tutta l'Europa e volare at di là dell'Atlantico. Cessavano i tristi esilii. Uomini che per amor di patria avevano dovuto riparare in America ritornavano sopra una nave che s'intitolava «La Speranza», ed entrati nel Mediterraneo e visto nell'orizzonte gli umili confini della Patria si sentivano gonfiare gli occhi di lacrime, si abbracciavano, e gridavano: - Viva Pio Nono! Viva l'Italia libera! Dio lo vuole! - Che cosa era successo? Era sogno di menti esaltate? [9] No. Un semplice sogno non produce movimenti così forti, così universali e così perduranti. Il sogno vero e grande lo aveva fatto prima un altro tonsurato, Vincenzo Gioberti, il quale, là, tra il '40 e il '42, esule a Bruxelles, anch'esso per peccato di patriottismo, aveva accolto nella sua mente la più audace chimera che potesse mai attraversare il cervello d'un poeta. Egli, a quei lumi di luna, aveva immaginato «una Italia prospera, devota a Dio e concorde in sè.» Aveva immaginato e di prossimo evento, «i principi italiani e i popoli non più ringhiosi e sospettosi fra loro, ma affratellati in un'ammirabile concordia per costruire insieme l'edifizio di una patria grande e meravigliosa, che superasse in grandezza e in meraviglia tutte le altre nazioni.» E questo audacissimo Abate arrivava, nella grandezza del suo sogno, fino a vedere in tempo non lontano le altre nazioni civili, dapprima attonite, poi ligie e devote, inchinarsi a questa grande Italia «e prendere da lei le norme del bene e le forme del bello.»

Ebbene, tutto questo era passato rapidamente in pochi anni, non già alla sua realtà, ma ad inizii così fausti e felici, che quasi facevano credere prossimo il pieno adempimento. Tutto questo perchè, o Signore? Perchè da qualche tempo un uomo vestito di bianco di tanto in tanto si affacciava alla loggia [10] del Vaticano o del Quirinale, e dinanzi a gran folla di popolo inginocchiato invocava la benedizione di Dio sopra l'Italia. Ma quell'uomo vestito di bianco era «il Signor dei credenti,» come con frase un po' mussulmana lo chiama Giovanni Prati. E in quel suo augusto e semplice atto, era la spiegazione di tante e così stupefacenti novità.

Miracolo di Papa! aveva esclamato Pietro Giordani. Dal canto suo, il grande Cancelliere dell'Austria, Metternich, sconcertato in tutti i suoi disegni, aveva detto che nella sua prudenza politica egli tutto aveva potuto prevedere, tranne il caso inverosimile di un Papa liberale!

E gli avvenimenti si succedettero con una rapidità vertiginosa. In diciotto mesi, dice Cesare Balbo, avvenne per opera di Pio IX, soltanto riguardando all'interno dello Stato Pontificio, una serie di riforme alle quali pareva non dovesse bastare mezzo secolo: l'amnistia che ridonava alle famiglie gli esuli e i carcerati per colpe di patriottismo, poi la Consulta di Stato, la guardia civica, la secolarizzazione parziale del governo, la lega doganale dei principi, anticipante la desiderata confederazione politica, poi la Costituzione. Finalmente la guerra allo straniero, bandita dal «Signor dei credenti,» che era anche il padre comune di tutti i fedeli! [11] I principi dovettero seguire, chi di buon grado chi a mal in cuore, l'esempio trascinante di Pio IX. A Napoli il Re volle essere il primo a largire la Costituzione; e diede tutto con la facilità di chi è poi disposto a tutto ripigliarsi e tutto sconfessare.

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