II.

In tali imagini il sentimento e l'arte, che da questo s'informa, effigiavano, mentre infieriva l'umanismo mediceo, la donna. Alla quale, nelle realtà della vita e dell'esser suo, sola, io credo, di tali omaggi era accessibile e gustata e compresa quella parte che prendeva consistenza in figure consacrate dalla religione, sotto le vôlte maestose delle chiese d'Arnolfo e di Brunellesco, piovente la luce misteriosa, per le grandi bifore da' vetri colorati in istorie, sugli affreschi e le tavole di Masaccio di Benozzo, de' Lippi e de' Ghirlandai, d'Alessio Baldovinetti e di Piero di Cosimo, sui marmi e sui bronzi di Mino, di Donatello, del Ghiberti, del Verrocchio, del Pollaiuolo. Da quelle figure genuflesse alla preghiera, o nel sonno della morte distese, o atteggiate vive all'azione delle leggende evangeliche, sollevavansi le pie e gagliarde anime femminili a ciò che nel tempo è di qua e di là dal momento che si vive; congiungevansi i ricordi, gli affetti, le glorie umane della famiglia, con le speranze immortali. E questa poesia, sentita nel cuore, sapeva anche trovar forma nella parola, la forma paesana e casalinga della Lauda e della sacra Rappresentazione, per opera di Antonia Pulci e di Lucrezia Tornabuoni ne' Medici. L'Antonia nata dei Tanini, moglie e cognata di poeti, in famiglia che tutti erano cosa de' Medici, [110] potè con madonna Lucrezia madre del magnifico Lorenzo conferire le sue ascetiche ispirazioni nell'atto di fermarle in quello stampo fra drammatico ed epico, pel quale la Rappresentazione ha corrisposto con tanta pienezza all'istinto plastico della fantasia popolare; e madonna Lucrezia, fra un canto e l'altro che Luigi Pulci le recitasse del suo Morgante, e altresì fra l'una e l'altra delle provvide cure per le quali casa Medici le dovè tanto, scriveva senza pretensione di letterata le religiose canzonette pe' Laudesi, o riduceva in ottave o in ternari le istorie bibliche, delle quali poi facevan delizia negli ozi fiesolani e di Careggi i suoi nipotini.

Gentili donne non letterate, nello stretto senso, professionale e (con vostra buona grazia, e senza che troppo debba rincrescervene) non femminile, della parola; le quali serbando nette d'erudizione le mani delicate, coglievano dall'arte il fior dell'affetto, e pur conversando coi dotti umanisti e coi barbassori che la caduta di Costantinopoli aveva addotto fra noi, si stavano col popolo nel vestire delle forme, che egli intende e crea, il pensiero e l'affetto; dalla realtà, quale il popolo per linea diritta la vede, cavar fuori e animare il fantasma. Le giovinette istruite nel latino e nel greco, non difficile trovarle nelle case principesche di Lombardia e di Romagna: era una, fra le altre, delle splendidezze cortigiane di quelle regioni. Ma i grandi cittadini della nostra Firenze, anche della oligarchia più elevata, e molto più i Medici che a combattere quell'oligarchia, e sulle ambizioni di lei insediare la propria, usavano artifizi democratici, rimasero (dico gli Albizzi, i Ricci, gli Strozzi, i Rucellai, ed essi i Medici), anche attraverso agli splendori dell'umanismo, principalmente e visibilmente mercanti: e la donna, nelle loro case, fu sempre e soprattutto la donna di grandi mercanti, donna massaia, avvisata, e più che della libreria e del medagliere curatrice dell'azienda domestica, [111] o, se volete anco, della credenza, del celliere (com'allora dicevasi), della colombaia, del pollaio.

Una letterata, anzi letteratissima (che però non ha lasciato libri), ebbe Firenze in quel secolo, ma non da alcune delle grandi famiglie, sibbene nella figliuola d'un Cancelliere della Repubblica, venuto, come tanti altri, dal contado alla città, e qui arricchitosi e fatta fortuna. Ella fu la bella Alessandra di messer Bartolommeo Scala: alla quale due di quei barbassori greci, il Lascari e il Calcondila, furon maestri; un altro, venuto in Italia umanista e soldato, Michele Tarcaniota Marullo, fu suo marito; e spasimato di lei il Poliziano (nonostante tutti i canonicati e priorati e pievanie di cui poco degnamente lo rincalzavano i Medici; e nonostante, altresì, il suo collo torto e l'occhio losco, e il naso sformato e gli anni ormai quasi quaranta), spasimato di lei, e per cagion di lei nemico feroce e con terribili giambi laceratore del marito e del padre. Non vi meraviglierete che una passione amorosa fra persone di questo calibro si sfoghi in greco. Si rappresenta nientemeno che una tragedia di Sofocle, l'Elettra: protagonista, Alessandra Scala; cronista teatrale, con tutti addosso gli entusiasmi d'una passione, ahimè, non corrisposta, il povero Poliziano in sei distici di squisita fattura, che vi traduco liberamente: “Una mirabile Elettra, la giovinetta Alessandra: mirabile nel pronunziare, essa italiana, la lingua d'Atene, nella intonazione vera della voce, nel curare l'artificio della scena, nel ritrarre fedelmente il carattere, regolare lo sguardo, il gesto, il movimento; nel conservare al linguaggio della passione il decoro, nel suscitare col volto in lacrime la pietà degli spettatori. Tutti ne fummo percossi; ma oh che invidia sentii io nel cuore, quand'ella, stringendo al seno Oreste, gli dice: - T'ho io fra le braccia? - ed egli: - Oh [112] così tu m'abbia sempre!„ Un passo ancora, ossia un altro epigramma greco, e il critico drammatico, l'ammiratore entusiasta, si scuopre amante. “Ho trovata, ho trovata, quella che volevo, che sempre cercavo; l'amor mio sospirato, quella che vedevo ne' sogni: una fanciulla d'integra bellezza, di adornezza non accattata ma naturale; una fanciulla, culta di greco e di latino, eccellente nella danza, eccellente nella musica; de' cui pregi, velati dalla modestia, contendono a gara le Grazie. L'ho trovata; ma a che pro, se appena una volta l'anno posso io, che di lei ardo, vederla?„ Ma l'Alessandra era in grado, non solamente di ricevere omaggi in greco, sì anco in greco rispondere, e risponder a così: “Nulla di più bello, che la lode d'un valentuomo; ed oh qual gloria a me dalla lode tua! Quanto ai tuoi sogni, bada, interpretali bene: tu non puoi aver trovato in me quanto dici. È sentenza del divino Omero: - Avvicina un Dio i consimili. - Or troppa è fra te e me la dissomiglianza. Imperocchè tu sei come il Danubio, che da occidente a mezzodì, e poi di nuovo verse oriente, diffonde largo corso di acque. Glorioso filologo, tu discacci le tenebre dai monumenti di più lingue: greca, romana, ebraica, etrusca. Ercole dell'erudizione sei a gara chiamato, per le tue fatiche intorno a testi di astronomia, di fisica, di aritmetica, di poesia, di leggi, di medicina. I miei scritti di fanciulla son cosette leggiere, come i fiori e la rugiada. Io accanto a te, perchè so un poco di lettere! Ma sarebbe com'a dire, secondo il proverbio, la zanzara accanto all'elefante, perchè han la proboscide tutt'e due; la gatta accanto a Minerva, per via degli occhi cerulei.„ Che ve ne pare? Fu mai con maggior dottrina, o con più squisita crudeltà, rimesso al suo posto un adoratore stagionato? Non credete voi che messer Angelo abbia questa volta dovuto imprecare alle similitudini, alle perifrasi, [113] alle antonomasie, e a tutto il resto dell'arsenale retorico? mandare al diavolo i proverbi greci, e magari anche le sentenze del divino Omero? Persiste tuttavia, come pur troppo avviene, le più volte in simili casi; e persiste, il che è assai meno frequente, in greco: “Tu mi mandi, o Sandra, le pallide violammamole: e io nell'amore di te impallidisco e mi struggo. Fiori e foglie, imagine gentile della tua primavera; ma il dolce frutto io vorrei.„ Al che Alessandra non risponde; anzi: “Nè vederti, o Alessandra, mi è permesso più, nè ascoltarti: ma almeno, due versi di risposta.„ E finalmente (del buon gusto poi di questa pensata lascio a Voi, Signore e Signorine, il giudizio): “O giovinetta, gradisci per la tua chioma questo pettine d'osso; così potessi io avere i capelli del tuo bel capo.„ I capelli d'Alessandra Scala come già quelli dell'Albiera sul feretro che la portava in San Pier Maggiore, furono (questa credo non ve l'aspettereste) recisi più tardi sulle soglie di quello stesso convento, dove, rimasta vedova del suo greco, ella si fece monaca benedettina, e vi morì giovanissima nel 1506.

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