AVVERTENZA

Della Cronica attribuita a Brunetto Latini, e di coloro che recentemente se ne occuparono, noi abbiamo già parlato piú sopra (Vol. I, pag. 42 e seg.); ora dobbiamo aggiunger poche parole a spiegare le ragioni e il modo della pubblicazione che ne facciamo. Questa Cronica degli ultimi del secolo xiii era nota da lungo tempo, e la sua importanza fu subito riconosciuta, perché vi si trova il piú antico e compiuto elenco di Consoli e Podestà fiorentini che si conosca. Esso infatti comincia coll'anno 1180, mentre l'altro, che fu pubblicato dal Fineschi (Memorie storiche ecc.: Firenze, 1790) incomincia solo col 1196. E senza la Cronica non sarebbe possibile colmar la lacuna neppure coi documenti, perché questi dal 1180 al 1196 sono ora scarsissimi. Il nostro autore ne vide certamente alcuni che poi andarono perduti.

Per tutto ciò questa Cronica doveva richiamare l'attenzione degli storici e degli eruditi. Del suo elenco di Consoli e Podestà si valsero, infatti, l'Ammirato (Storie fiorentine) ed il Padre Ildefonso (Delizie, VII, 137); l'infaticabile senatore Carlo Strozzi lo copiò insieme con alcuni brani della narrazione. Piú tardi, nel 1832, L. M. Rezzi, bibliotecario della Barberiniana di Roma, pubblicò da un codice del sec. xvii, ivi esistente, lo stesso elenco, con alcune notizie degli anni 1210, 1213, e specialmente una narrazione del notissimo fatto del Buondelmonti (1215), assai diversa da quella lasciataci dal Villani. E a tutto ciò, seguendo l'indicazione del codice Barberiniano, dette il titolo di Storietta antica: credesi di S. Brunetto Latini. Anche nel manoscritto ora smarrito, di cui s'era servito il Padre Ildefonso, si leggeva: cuius auctor dicitur S. Brunettus Latini. Per qual ragione poi, e da chi la prima volta s'attribuisse a colui che fu tenuto maestro di Dante una cronica, la quale narra fatti posteriori alla morte del presunto autore di essa, noi non sappiam dire. L'averla però a lui attribuita dimostra che se ne riconosceva l'importanza e l'antichità.

Ma allora si potrebbe qui domandare: perché mai nessuno pensò finora a pubblicarla, come s'è pur fatto di tante altre croniche meno antiche e piú voluminose? La risposta può darsi solo esaminando la Cronica stessa nei codici che la contengono. Essi, come abbiam detto altrove, sono due: l'Autografo, che è mutilo ed incomincia con la carta 39, dove prima registra i Consoli del 1180, poi accenna al pontificato di Alessandro III, che fu eletto nel 1159; ed il Gaddiano, che è una copia del secolo xv, la quale ci dà tutta la Cronica, incominciando da Gesú Cristo primo e sommo pontefice, e da Ottaviano imperatore. In questo secondo codice, noi vediamo che essa procede, narrando le vite dei Papi ed Imperatori fino al 1249, dove fa un salto di 35 anni circa, per ripigliare il racconto al 1285, e continuarlo fino al 1303, o piú veramente al 1297, con una sola notizia (di mano posteriore) del 1303, cui s'aggiunge l'indicazione dell'anno 1316, con le parole «Giovanni XXII...». E qui resta in tronco.

Si tratta evidentemente d'un lavoro abbozzato e non finito, con diverse lacune, una delle quali, come s'è detto, dal 1249 al 1285, un'altra dal 1220 al 1226, dove sono, nell'Autografo, tre carte bianche. Esso lavoro può dividersi in tre parti, ciascuna con un carattere suo proprio. La prima, che è piú lunga delle altre due insieme riunite, arriva fino al 1180 circa. Questa parte, che manca affatto nell'Autografo mutilo, non è altro che un sunto italiano del testo latino delle vite dei Papi ed Imperatori di Martin Polono, senza nessuna notizia su Firenze, salvo alcuni pochi paragrafi, privi affatto d'ogni valore storico, che riproduciamo in nota qui sotto. La seconda parte, che va dal 1180 al 1249, continua il sunto di Martin Polono, aggiungendovi però molte notizie fiorentine. Se la esaminiamo nell'Autografo, dove si trova quasi tutta, a cominciare cioè dal 1181, vediamo chiaramente come essa fu dall'autore compilata. Nella colonna di mezzo egli continuò il sunto cominciato nella prima parte; ma nei due larghi margini, a destra ed a sinistra, andò, via via che poté raccoglierle, registrando notizie su Firenze. E si direbbe che, per aiuto della memoria, avesse voluto usare una diversa scrittura, secondo le fonti diverse cui attingeva. Nel codice Gaddiano, invece, tutto ciò venne riunito, fuso insieme, probabilmente per opera di chi in esso copiò l'Autografo. Ciò si può dedurre anche dal modo incerto e mal sicuro con cui furono qualche volta connessi fra loro i vari brani.

Per qual ragione poi il cronista, arrivato al 1249, saltasse all'anno 1285, noi non sappiam dirlo. È possibile che, vivendo nel 1293, come dice egli stesso, cominciasse dapprima la sua narrazione dall'anno 1285, con l'intendimento di scrivere solo una cronica di fatti contemporanei, sui quali era a lui agevole avere maggiori e piú esatte notizie. Arrivato però ai giorni in cui scriveva, si può credere, seguendo la nostra ipotesi, che gli venisse l'idea di rifarsi da capo, e cominciasse quindi dai tempi di Gesú Cristo, con l'intendimento di compilare un piú vasto lavoro. Ma non riuscendogli fino all'anno 1180 di trovare notizie su Firenze, si dove contentar di fare un sunto della storia generale di Martin Polono, aggiungendovi dal 1181 in poi quelle notizie fiorentine che gli riuscí di raccogliere. Arrivato al 1249, non poté forse, per morte o per altra ragione, continuare questa seconda parte del suo lavoro, la quale rimase perciò interrotta al pari della terza ed ultima, che era stata scritta prima, sebbene narrasse fatti posteriori. Ma in ogni modo, sia che s'accetti o no la nostra ipotesi, certo quest'ultima parte è di un genere affatto diverso da tutto ciò che la precede. Non solamente le notizie su Firenze in essa abbondano, e si vede, esaminando l'Autografo, che furono sin dal principio fuse col sunto di Martin Polono; ma il sunto è qui divenuto qualche cosa d'affatto secondario, ed in sostanza abbiamo una vera e propria cronica fiorentina. Chi piú tardi raccolse tutti questi fogli, li riuní con una numerazione sola, non interrotta neppure là dove si ha la lacuna di 35 anni.

Da tutto quello che abbiam detto apparisce chiaro, che nessuno poteva sentirsi invogliato a pubblicare una cronica fiorentina, la quale per piú d'una metà non è che il sunto dell'opera di Martin Polono, notissima fra di noi, e già sin d'allora stata assai spesso copiata, tradotta, compendiata; una cronica che in tutto il resto appariva compilata in maniera da doversi ritenere piú che altro un abbozzo incompiuto, quasi una raccolta d'appunti. È ben vero che anche il Villani ed il pseudo Malespini cominciarono col copiare e compendiare Martin Polono; ma essi si valsero pure d'altre fonti storiche medioevali, e dettero al Polono una parte molto minore nell'opere loro, le quali perciò divennero ben presto vere e proprie croniche fiorentine, assai piú corrette e limate nella forma. Bisogna inoltre notare che, sin dalle prime pagine, essi aggiunsero tradizioni, leggende, favole sulle origini di Firenze, ed il Villani anche notizie cavate da antichi scrittori latini, specialmente da Sallustio.

Comunque sia di ciò, certo è che non solo la Cronica attribuita a Brunetto Latini non fu mai pubblicata, ma si finí ancora col perdere poco a poco ogni traccia dei codici che la contenevano. Restaron sempre noti l'elenco dei Consoli e Podestà, con quei brani di narrazione già dati alla luce dal Rezzi.] Piú tardi, col ricominciare delle indagini sulle origini di Firenze, si ricercarono di nuovo i manoscritti della Cronica. Noi abbiam detto altrove (Vol. I, pag. 42 e segg.) quale fu la parte che ebbero in queste ricerche l'Hartwig, il Santini e l'Alvisi. Il primo di essi, che ne fu il vero iniziatore, pubblicò nelle sue Quellen und Forschungen tutte le notizie fiorentine, che poté cavare da quella parte della Cronica, che si trova nell'Autografo da lui nuovamente scoperto. Il prof. Santini ed il bibliotecario Alvisi, unitisi al dott. Rödiger, fecero poi tutti gli studi necessari ad una compiuta pubblicazione della Cronica stessa, che trascrissero dai due codici, e andarono stampando con note, illustrazioni e confronti. È certo da deplorare che un tale lavoro, già da molti anni condotto quasi a termine, non abbia finora visto la luce. Né se ne è mai saputo altro.

Quindi è che, dopo aver lungamente invano aspettato ed anche sollecitato questa pubblicazione, pensai che, fino a quando non sarà compiuta un'edizione diplomatica ed illustrata della Cronica, poteva essere opportuno farla in qualche modo conoscere agli studiosi; e mi decisi perciò a stamparla in una forma assai piú modesta, come appendice ad un lavoro su Firenze. Essa va fino al 1297, e quindi abbraccia quasi tutto il medesimo periodo di storia fiorentina, di cui mi sono occupato in queste Ricerche, nelle quali ho dovuto spesso citarla. Di essa si è in questi ultimi anni molto e da molti continuamente parlato, e qualunque opinione si abbia del suo valore storico, certo è l'opera d'un precursore del Villani, a cui secondo alcuni serví anche di modello. Ci dà poi varie notizie che in lui non troviamo, e spesso narra i medesimi fatti con particolari nuovi o diversi. Anche la forma incompiuta ed imperfetta, in cui ci è rimasta, ha il vantaggio di farci meglio conoscere, quasi direi di metterci sotto gli occhi il modo preciso che tennero, il metodo che seguirono gli antichi cronisti fiorentini nel compilare le loro narrazioni. Certo una edizione diplomatica o una fototipia dell'Autografo renderebbero tutto ciò assai piú evidente; ma questo non poteva ora essere il nostro scopo. Noi abbiam voluto solo pubblicare un documento che ci pare importante, che illustra, spesso conferma la nostra narrazione. E perciò credemmo opportuno di sopprimere tutta quella prima e piú lunga parte della Cronica, che, dando solo un magro sunto di Martin Polono, poco diverso da quelli che si trovano in molti codici, o anche a stampa, nulla assolutamente dice di Firenze. Cominciammo di là dove si legge la prima notizia di storia fiorentina.

Ci siamo nella stampa attenuti fedelmente ai manoscritti. Ed essendoci necessariamente dovuti valere non solo dell'Autografo, ma ancora, per quella parte che in esso manca affatto, della copia Gaddiana, che è assai posteriore, trovammo due ortografie assai diverse, delle quali riproducemmo non solo le singolarità, ma anche gli errori, quando erano facilmente riconoscibili e non generavano equivoco. Dove sembrò veramente necessario, li correggemmo, segnalandoli in nota. Le parole che mancano nell'originale per rottura della carta, supplimmo in parentesi quadre, col riscontro di Martin Polono (edizione d'Anversa del 1574); qualche volta ricorremmo ancora ad altri testi, dichiarandolo però sempre esplicitamente nelle note. Tutti gli spazi vuoti, che non ci fu possibile riempire, furono rappresentati da puntini.

Del merito che negli studi fatti sulla Cronica ebbero i signori Hartwig, Santini, Alvisi e Rödiger abbiamo piú volte discorso. Ora dobbiamo ringraziare il nostro amico A. Gherardi dell'Archivio fiorentino, pel valido aiuto che ci ha dato in questa pubblicazione. Colla sua grande perizia paleografica, col suo raro e ben noto acume, egli ha collazionato le stampe coi due codici della Cronica: aiutandoci non poco anche nelle note dichiarative ed illustrative del testo. Ci è quindi grato rendergli pubblica testimonianza della nostra riconoscenza.

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