L'APPLICAZIONE DEL CALCOLO AI FENOMENI DI EREDITÀ

La sostanza di questa conferenza fu la lezione di chiusura del corso fatto alla Sorbona nel 1912 sulle Funzioni di linee. Venne pubblicata nella Revue du Mois del 10 maggio 1912 e riprodotta nelle mie Leçons sur les fonctions de lignes Paris, 1913.

La storia della Meccanica ha notevole importanza non solo per sè stessa, ma anche come studio della evoluzione del pensiero umano. Infatti i diversi rami delle scienze si valsero bene spesso della Meccanica come guida nel loro sviluppo ed in essa trovarono la fonte di cospicui progressi e di notevoli resultati. Perciò lo studiare lo svolgimento storico dei principî fondamentali di questa disciplina e dei mezzi impiegati per risolverne i maggiori problemi è utile anche dal punto di vista generale e filosofico.

Sarei tentato di seguire lo sviluppo della Meccanica classica, dai primi passi fatti già in età antica fino agli ultimi resultati, ma poichè parecchi autori hanno di recente trattato ampiamente questo argomento, mi limiterò a rimandare agli scritti di Picard, Painlevé, Vailati, Duhem, Vacca, Mach, ricordando soltanto che i maggiori progressi si dovettero all'opera di Lagrange. Questi riuscì a sintetizzare tutti i principî della Meccanica in una formula sola, la quale riconduce i varî problemi alla risoluzione di certe equazioni. Da allora in poi ad ogni progresso compiuto nel loro studio ha corrisposto un progresso nei diversi rami della Meccanica.

Coloro che dopo Lagrange hanno portato più larghi contributi alla Meccanica analitica, come Hamilton, Iacobi ed i loro continuatori, non han fatto che spiegare, perfezionare, allargare i suoi concetti, sviluppare i suoi metodi e trarne nuove applicazioni.

Più tardi però, a fianco della Meccanica analitica di Lagrange, altri modi di concepire la meccanica sono sorti e si sono sviluppati, per l'influenza delle nuove scoperte della Fisica. Hertz ha costruito una Meccanica in relazione con le idee di Maxwell e di Helmholtz, in cui le forze sono sostituite da vincoli e masse nascoste. Oggi si va costituendo una nuova Meccanica, quella del principio di relatività, in cui i concetti fondamentali di massa, tempo, spazio e le loro mutue relazioni sono profondamente modificati e in cui si cerca di costruire a poco a poco sulle nuove basi un insieme logico, che possa spiegare i nuovi fatti scoperti dall'esperienza, eliminando le contraddizioni, e che permetta di prevedere altri fatti, da sottoporsi poi alla conferma sperimentale.

Infine ricorderò le mutue relazioni esistenti fra la Meccanica e l'energetica, per le quali si è cercato di ricondurre l'energetica alla Meccanica, ed anche, con tendenza inversa, di considerare quest'ultima come un capitolo della prima. Da tali ricerche è derivato tutto un nuovo insieme di idee filosofiche.

Lasciando da parte, perchè estranea al nostro scopo, la Meccanica di Hertz, quella della relatività e l'energetica, torniamo alla Meccanica classica ed in modo particolare consideriamo la dinamica, il cui principio fondamentale è stato stabilito ed enunciato da d'Alembert. I concetti di accelerazione, di forza, di massa e di vincolo ne dominano tutto lo svolgimento; i tre primi sono sufficienti per stabilire la dinamica dei sistemi liberi, mentre è necessario ricorrere ai principî che regolano l'azione dei vincoli, per trovare le leggi del movimento dei sistemi non liberi.

Per fissare le idee, prendiamo, come problema tipico sui sistemi liberi, quello della Meccanica celeste. Poichè per la legge di Newton si conosce la forza che sollecita qualsiasi punto, se ne può dedurre in ogni istante l'accelerazione in funzione della posizione che occupa rispetto al resto del sistema.

Come problema tipico sui sistemi vincolati, prendiamo quello del moto di un corpo rigido; in questo caso alle forze applicate occorre aggiungere forze a due a due eguali e contrarie, che obblighino i punti del sistema a soddisfare alle condizioni dei vincoli, cioè a conservare distanze costanti fra loro, di modo che in qualunque istante l'accelerazione d'ogni punto viene a dipendere dalla forza che è ad esso applicata e dalle forze dovute ai vincoli. Queste sono incognite e non sono, in generale, determinabili in modo completo, ma possono essere eliminate tenendo conto delle condizioni indipendenti, che esprimono l'invariabilità delle distanze.

Parleremo ora dei mezzi analitici che bisogna impiegare per trattare i problemi che così si presentano. Newton è stato condotto per la prima volta all'integrazione di equazioni differenziali, allorquando ha cercato di dedurre il movimento dei pianeti dalla legge da lui stabilita; le equazioni differenziali da lui considerate furono equazioni differenziali ordinarie.

La determinazione del movimento e l'integrazione di queste equazioni non formano che un solo problema; e dai tempi di Newton fino ad oggi i progressi della Meccanica e della teoria delle equazioni differenziali sono stati simultanei.

Ma fermiamoci un istante a notare, come in ciò che abbiamo detto, sia contenuto un principio del maggiore interesse: perchè il movimento sia completamente determinato in tutti i tempi futuri, basta conoscere la posizione attuale del sistema e le velocità attuali dei suoi punti, vale a dire il movimento può essere predetto nell'avvenire, quando è noto il suo stato attuale.

Per esempio, in Astronomia si può calcolare la posizione futura degli astri, se se ne conoscono la configurazione e il movimento presenti.

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Abbiamo parlato fin qui della Meccanica; passiamo ora alla Fisica matematica. Per trovare ricerche veramente utili e feconde in questo ramo di scienza bisogna arrivare a tempi relativamente recenti; infatti si possono considerare come fondatori della Fisica matematica Laplace, Fourier, Ampère, Poisson, Gauss, Green, Cauchy, Maxwell. Le teorie della propagazione del calore, dell'elasticità, dell'ottica e dell'elettrodinamica furono costruite, prendendo come modello e come guida la Meccanica, ma le equazioni differenziali ordinarie divennero insufficienti per queste nuove dottrine nelle quali convenne ricorrere alle equazioni alle derivate parziali.

Vediamo di renderci conto delle cause di questo fatto.

Per trattare i problemi di Fisica matematica si suppone che la sede dei fenomeni sia un mezzo continuo; ma questa ipotesi deve essere considerata più come un artificio analitico che come una realtà: in altri termini bisogna immaginare che i fenomeni si verifichino, almeno in modo approssimativo, come se il mezzo che si considera riempisse lo spazio.

Tale è lo spirito dell'ipotesi.

Per stabilire le relazioni fondamentali si può procedere in due modi diversi: o partire dalla costituzione molecolare della materia ed arrivare poi al continuo, con un metodo di tipo statistico, oppure partire direttamente dal continuo. In quest'ultimo caso conviene immaginare che gli elementi infinitamente piccoli, che lo formano e che sono contigui, esercitino gli uni sugli altri azioni reciproche secondo leggi note, ovvero che certi scambi abbiano luogo fra di loro. Allo stesso modo, se il fenomeno non è statico, ma variabile col tempo, bisogna considerare quello che succede, non solo fra gli elementi contigui nello spazio, ma ancora fra elementi contigui nel tempo.

Si arriva così ad equazioni alle derivate parziali, poichè gli elementi che individuano i punti dello spazio e il tempo (e che costituiscono quindi le variabili indipendenti) sono quattro, riducibili a tre nei casi statici o stazionari.

L'ultimo metodo è stato preferito ed usato da molti autori moderni. Come esempio, vediamo in che modo esso possa condurre alle equazioni generali della elasticità. Ricordiamo che ogni mezzo può essere decomposto in elementi infinitamente piccoli, la deformazione dei quali dipende da sei quantità; ricordiamo anche che la legge di Cauchy sulla trasmissione delle tensioni fra elementi contigui, fa vedere come lo stato di tensione in ogni punto dipenda da sei altre quantità. Basta allora stabilire, mediante la legge di Hooke, un legame fra le sei deformazioni e le sei tensioni, per avere le equazioni dell'equilibrio elastico; per passare poi da queste alle equazioni del movimento del mezzo, è sufficiente applicare il principio di d'Alembert.

In modo analogo si procede nella elettrodinamica classica. La legge di Maxwell conduce alle equazioni del campo elettromagnetico legando, da un lato le variazioni della polarizzazione elettrica nel tempo alle variazioni della forza magnetica nello spazio e alle correnti elettriche, e dall'altro riallacciando le variazioni della polarizzazione magnetica nel tempo alle variazioni della forza elettrica nello spazio. Per arrivare ad equazioni differenziali analoghe a quelle delle vibrazioni dei corpi elastici basta stabilire che, in ogni istante, fra la polarizzazione elettrica e la forza elettrica, la polarizzazione magnetica e la forza magnetica, passano delle relazioni lineari.

Nel caso della elasticità, come in quello dell'elettrodinamica, se si conosce in un istante dato lo stato del sistema, resta determinato completamente tutto il suo stato futuro.

Ad analoghe conclusioni si arriva anche nella teoria del calore e nello studio dei fenomeni in cui si deve tener conto, contemporaneamente, delle leggi della elasticità, di quelle della propagazione del calore e della termodinamica.

È così che Bjerknes ha potuto provare che la questione generale dei movimenti dell'atmosfera si può formulare in un modo determinato. Infatti se si conoscessero in un dato istante lo stato di tutta l'atmosfera e le azioni esterne, si potrebbe determinarne lo stato futuro. La previsione del tempo diverrebbe perciò un problema perfettamente risolubile.

Abbiamo così intravisto la estesa classe dei fenomeni, che rientrano nella Meccanica e nella Fisica matematica classiche. Dall'esame fatto scaturiscono due conseguenze d'ordine generale. L'una che un solo strumento analitico è necessario per trattarli: le equazioni differenziali, sia ordinarie, sia alle derivate parziali. L'altra che i fenomeni stessi obbediscono alla legge: lo stato presente determina gli stati che verranno. Questi due fatti, rispettivamente d'ordine matematico e fisico, sono fra loro intimamente legati.

Lascerò da parte le questioni particolari, relative all'estensione del campo in cui il futuro è determinato, quando è noto lo stato presente in una certa regione, questioni che si possono risolvere mediante la teoria delle caratteristiche e dei loro inviluppi; ho voluto solo insistere sul principio che regola i fenomeni considerati. Esso è una conseguenza della concezione, secondo la quale ogni azione si manifesta solo nell'istante in cui agisce, senza lasciare eredità nel futuro, ossia della ipotesi che il sistema non conservi memoria delle azioni, che lo hanno precedentemente sollecitato.

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A questo punto viene fatto di domandarsi se i fenomeni naturali si esplichino realmente così, o se non sia invece da supporre che esista effettivamente una eredità dei fatti passati, in modo che il trascurarla rappresenti una approssimazione introdotta solo per comodità di studio. Per dare una risposta bisogna esaminare attentamente e discutere i risultati dell'osservazione e dell'esperienza.

Si trova subito una gran quantità di fatti, che sembrano non rientrare nelle teorie di cui ci siamo occupati: essi si sono manifestati prima nella pratica, indipendentemente dalle esperienze dei laboratori, e solo più tardi sono divenuti oggetto di ricerche scientifiche sistematiche.

Tutti gli ingegneri sanno, per esempio, che un ponte costruito da molto tempo non si deforma oggi, sotto l'azione di un carico, come si deformava subito dopo la sua costruzione.

Se si assoggetta l'estremità di una sbarra elastica orizzontale, fissata all'altro estremo, a pesi che vanno dapprima crescendo e poi diminuiscono a poco a poco, il corpo, mentre si va alleggerendo, non riprende le stesse deformazioni per cui è passato mentre lo caricavamo, e non presenta la stessa flessione, in corrispondenza allo stesso peso flettore.

Dunque la deformazione attuale non dipende solamente dal carico attuale, ma da tutti i carichi precedenti: sembra perciò che si possa enunciare il principio che ogni azione che si è esercitata lasci un ricordo nel corpo, il quale conserva perciò la memoria di tutti i carichi che ha sopportato.

Anche nel Magnetismo si possono citare fenomeni di isteresi e di traînage: essi sono stati sottoposti a studio accurato, dato l'interesse che presentano nella elettrotecnica.

I fenomeni nei quali non si considera l'azione ereditaria, si possono raggruppare, secondo la denominazione di Picard, nella Meccanica e nella Fisica non ereditaria, mentre gli altri si possono comprendere nella Meccanica e nella Fisica ereditarie.

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Prima di proseguire, è necessario esaminare una obiezione fondamentale che potrebbe a prima vista distogliere da queste ricerche. In un articolo pubblicato nel volume: Les Méthodes dans les sciences, comparso nella bella raccolta Nouvelle collection scientifique del Borel, il Painlevé si è occupato dei metodi della Meccanica, ed ha detto qualche parola anche intorno all'influenza del passato sull'avvenire dei sistemi materiali. Egli nota che lo stato di un corpo materiale in un dato istante dipende, evidentemente, dalle circostanze anteriormente attraversate, ma che, per prevedere gli stati futuri, basta conoscere le condizioni nell'istante considerato, senza sapere come il sistema vi sia stato condotto.

«Toutefois, dans beaucoup d'applications, et notamment quand l'état moléculaire des corps du système intervient d'une façon appréciable dans les phénomènes, il peut être très difficile, il peut même être impossible encore à notre technique expérimentale de déterminer directement avec une précision suffisante les conditions initiales d'un système.

» Considérons, par exemple, deux clous sortis identiques de la même fabrique, mais dont l'un a été martelé à plusieurs reprises, tandis que l'autre restait dans un tiroir. Le premier clou n'est pas dans le même état moléculaire que le second, il a subi des déformations permanentes; une étude microscopique suffisamment précise nous le montrerait. Mais si nous ne possédons pas de microscope assez puissant, les deux clous nous sembleront identiques; nous serons incapables de discerner les différences de leur état moléculaire actuel. Qu'on nous dise alors que le premier clou a été martelé et comment il l'a été: nous serons avertis du genre de déformation qu'il a subi; la connaissance du passé du clou supplée provisoirement à l'absence du microscope.

» L'histoire d'un corps vient en aide à l'impuissance actuelle de notre technique, ou supprime les complications que cette technique entraînerait. C'est là un stade nécessaire de l'étude moléculaire des corps, mais ce n'est qu'un stade, et il faut se garder de tirer d'une méthode transitoire des conclusions aussi aventureuses qu'injustifieés, et notamment de l'opposer à la doctrine copernicienne».

Esiste dunque una corrente di idee, secondo la quale la Meccanica e la Fisica ereditarie non avrebbero ragione di esistere, potendosi porre come postulato, che lo stato futuro di un sistema qualsiasi dipende solo dal suo stato attuale. Painlevé e molti altri hanno una vera ripugnanza ad ammettere che un'azione possa avere effetto ereditario, vale a dire un effetto che si manifesti dopo che essa si è esercitata. Ma possiamo dedurre da questo, che si debba abbandonare ogni concetto ereditario e tutta l'analisi che vi si riferisce? O si deve cercare un'altra strada, per lo studio dei problemi di cui ho parlato? Io credo di no, e penso che il trarre simili conseguenze sarebbe un fraintendere il pensiero di Painlevé. Secondo me, è ragionevole ammettere che i procedimenti della eredità siano i soli possibili, per lo meno allo stato attuale della scienza, per abbracciare i fenomeni di cui abbiamo parlato. Possono esservi delle divergenze di principio, ma credo che tutti debbano essere d'accordo sulla questione pratica e sui metodi da seguire.

È utile a questo proposito richiamare il ricordo di Newton, il matematico e filosofo, che per primo ha trattato in modo sistematico ed analitico le azioni a distanza. Egli ha affermato che sentiva una viva contrarietà ad ammettere che un corpo può agire dove non è; trovava dunque dal punto di vista filosofico una difficoltà fondamentale ad accogliere la concezione delle forze a distanza, che è nondimeno la base dei suoi lavori. Tuttavia egli l'ha introdotta nella filosofia naturale e dopo di lui essa è stata universalmente impiegata; i resultati che se ne sono dedotti sono stati in generale verificati dalla osservazione e dall'esperienza.

Sostituiamo ora all'idea di spazio quella di tempo, e potremo ripetere presso a poco, per le forze che si esercitano a distanza nel tempo, quello che si dice per le forze che si esercitano a distanza nello spazio. Si può provare per le une e per le altre una eguale ripugnanza, ma io credo che le une e le altre siano egualmente utili.

Oggi che le concezioni di spazio e di tempo vanno sempre più allacciandosi, il confronto che ho stabilito, mi pare meritevole della più profonda attenzione. Esso mostra il legame che, secondo me, si potrebbe stabilire, anche partendo da concetti recenti, fra le azioni ereditarie e le forze a distanza, che sembrano, a prima vista, non presentare nessun rapporto.

Debbo aggiungere che in tutti i tempi si è cercato di sostituire alle forze a distanza le azioni fra elementi contigui nello spazio. Sono ben note le ricerche classiche del Maxwell, che ha cercato di spiegare le forze newtoniane, mediante le tensioni e le pressioni in un mezzo, come sono anche note le difficoltà, che si sono incontrate, quando si è voluto andare in fondo alla spiegazione. Non ho bisogno di richiamare, a questo proposito, i begli studi di Beltrami e di Brillouin, ma noterò che, sebbene la questione sia stata studiata sotto vari rapporti, conviene anche oggidì trattare con il metodo newtoniano la maggior parte dei problemi ordinarii dell'astronomia e della meccanica celeste.

Io credo che, allo stato attuale delle cose, i fenomeni, dei quali abbiamo sopra parlato, non possano considerarsi dal punto di vista matematico, se non facendo uso dell'analisi creata per approfondire lo studio delle azioni ereditarie. Se si cerca infatti di abbandonare i metodi ereditari, si incontrano molte difficoltà. Prendiamo la particella M di un corpo: nell'ipotesi ereditaria, tutte le azioni che essa ha subito, determinano lo stato presente; quindi anche il futuro dipende da tutto il passato. Sarà possibile sostituire alla conoscenza di tutte le azioni a cui è stata assoggettata la particella, la conoscenza dei valori di un numero finito di parametri? Sarà, in altre parole, sufficiente un numero finito di elementi, per individuare lo stato presente della particella? Non sarà necessario, invece, determinare un numero infinito di parametri per conoscere il suo stato attuale, come lo conosciamo, quando sono date tutte le azioni passate?

Nella teoria del calore, per esempio, si possono dare i valori al contorno di tutte le temperature passate, oppure quelli della temperatura attuale nei diversi punti interni; ma si passa così da una infinità di elementi, che individuano un certo stato, ad un'altra infinità di elementi, che pure lo definiscono.

Se qualche cosa di analogo si presentasse per ogni particella M del corpo, che sopra abbiamo considerato, si arriverebbe tanto col metodo ereditario, quanto senza questo, a quantità dipendenti da un numero infinito di variabili, e allora quale vantaggio avremmo, abbandonando il metodo ereditario? E sarà in ogni caso possibile di rinunciare ai procedimenti analitici proprii di questo metodo?

Le considerazioni esposte conducono a questioni che sono ben lungi dall'essere risolute, nè qui vogliamo approfondirle. Forse un giorno sarà possibile fare a meno di considerare le azioni ereditarie, come sarà possibile che si rinunzi alle forze newtoniane, ma possiamo aspettare prima di pronunciarci su questo, anche se ci sentiamo guidati da una spontanea intuizione.

Ricorderò a tale proposito un celebre fatto storico: Galileo e molti studiosi del suo tempo combattevano le forze a distanza, che allora chiamavano in modo vago influenze occulte. Fra l'altro, non si voleva ammettere l'influenza della luna sulle maree, che pure dal tempo di Eratostene al medio evo era stata varie volte riconosciuta; per por fine alla questione, Galileo cadde in un errore ben noto sulla teoria delle maree, e solo più tardi Keplero e Newton han rimessa la questione sulla vera via.

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Come può applicarsi l'analisi allo studio dei fenomeni ereditari? Per semplicità, non porremo qui la questione generale, ma tratteremo un caso speciale assai facile, che richiede soltanto considerazioni di matematica elementare.

Consideriamo la torsione di un filo: sia ω l'angolo di torsione e M il momento di torsione. Nell'ordinaria teoria della elasticità si parte dall'ipotesi che ω sia proporzionale ad M e si scrive

(I)                ω =kM

dove k è un coefficiente costante; si stabilisce così in ogni istante una relazione fra la torsione e l'azione esterna.

Se si scrivesse in generale

ω = F(M)

dove F è simbolo di una funzione, si potrebbe cercare di determinare F, in modo da studiare il fenomeno con maggiore approssimazione.

Supponendo, per esempio, che la funzione sia sviluppabile in serie di potenze, avremo

ω = kM + k 1 M 2 + k 2 M 3 +....

In tal modo si trascura sempre il fenomeno ereditario, cioè non si tiene alcun conto delle azioni precedenti, poichè qualunque sia F, essa stabilisce sempre una dipendenza fra la torsione attuale ω e l'azione attuale M.

Se si vuole che ω dipenda da tutta la precedente storia del momento di torsione, bisogna correggere l'equazione (I) scrivendo

ω = kM + φ

dove φ dipende da tutti i valori presi da M, dai tempi più lontani fino all'istante attuale t.

Denotiamo con f (τ) la funzione M del tempo τ; secondo il concetto fondamentale di fenomeno ereditario consistente nel riguardare lo stato attuale di un sistema come dipendente da tutta la sua storia anteriore, avremo che φ sarà una quantità che dipende da tutti i valori della funzione f (τ) dal tempo t = – ∞ fino a: τ = t, se con t denotiamo l'istante attuale. Ciò si scrive, adottanto una notazione che ho introdotto fino dal 1887, con la formula

φ = φ ([ f t (τ) ])
– ∞

Se si chiama C la curva che ha per equazione M = f (τ) nell'intervallo – ∞t, noi potremo anche porre

φ = φ([C])

e potremo dire che φ è una funzione della linea C.

Ammetteremo il postulato fondamentale della dissipazione dell'azione ereditaria che si enuncia nei termini seguenti:

Ogni azione ereditaria svanisce indefinitamente col tempo, il che significa che la eredità dovuta ad una azione esercitata in un dato istante va continuamente ed indefinitamente decrescendo coll'andar del tempo.

È evidente che se noi cambiamo la estrema ascissa t della curva C, o la forma della curva C stessa ossia f (τ), o contemporaneamente i due elementi, φ in generale cambierà. Diamo a t e a φ (τ) una modificazione simultanea consistente in una traslazione della curva C di una lunghezza h parallelamente all'asse τ; in altri termini sostituiamo alla curva punteggiata C della figura 4, la curva C' a tratto continuo. Se φ non cambia qualunque sia h e qualunque sia f, avremo che φ sarà un invariante per tutte le traslazioni di C nella direzione dell'asse τ, e quindi φ dipenderà soltanto dai valori di f (τ) non dal punto t estremità della curva.

Ne segue che φ sarà una pura funzione della linea, e dal punto di vista ereditario ciò sarà caratterizzato dal fatto che lo stato in un certo istante non dipenderà dall'istante stesso, ma sarà completamente determinato dal modo con cui si è svolta la storia anteriormente a questo istante, cioè la legge ereditaria sarà invariabile col tempo. Noi esprimeremo questo dicendo che in tal caso vi è invariabilità dell'eredità e potremo rappresentare il verificarsi di questo caso con la formula

φ ([ ft+hh) ]) = φ ([ f t (τ) ])
– ∞ – ∞

Supponiamo ora che ogni qualvolta M = f(τ) è periodica, anche φ considerato come funzione di t sia periodica collo stesso periodo di f. Evidentemente la stessa periodicità sussisterà anche per ω.

Prendiamo un punto A avente per ascissa M = f(t) e per ordinata ω = ω(t). Col cambiare di t, A descriverà una curva e tornerà al punto di partenza dopo decorso il periodo che denoteremo con T. Ne segue che A percorrerà un ciclo chiuso col periodo T.

Quando questo caso si verifica diremo che è soddisfatta la condizione del ciclo chiuso col periodo T.

L'importanza di questa condizione è notevole, giacchè nei fenomeni di isteresi magnetica ed elastica i quali costituiscono i fenomeni tipici ereditarii, si verifica appunto la condizione del ciclo chiuso per un periodo arbitrario.

È quindi naturale porsi la domanda: a quale conseguenza questo fatto potrà condurre riguardo alla legge dell'eredità? La risposta è fornita da un teorema generale che ho dimostrato ed è il seguente: Se la condizione del ciclo chiuso è soddisfatta per tutti i periodi possibili, vi è invariabilità dell'eredità, e reciprocamente, se vi è invariabilità dell'eredità, la condizione del ciclo chiuso è verificata per tutti i periodi.

Ho chiamata questa proposizione, il principio del ciclo chiuso e questa denominazione è giustificata da quanto fu detto precedentemente. Analiticamente essa sarà espressa dalla formula già scritta sopra

φ ([ ft+hh) ]) = φ ([ φt (τ) ])
– ∞ – ∞

e quando una funzione di linea soddisfa a questa condizione diremo che essa appartiene al ciclo chiuso.

Premesse queste considerazioni generali ritorniamo all'equazione già ottenuta.

ω = kM + φ

Se si possono trascurare le azioni che han preceduto un certo istante t o (per esempio in virtù del postulato della dissipazione dell'azione ereditaria), φ dipenderà da tutti i valori presi da M dall'istante t o fino a quello t.

Si può ora in prima approssimazione ammettere che φ dipenda da M mediante una relazione lineare, introducendo una ipotesi analoga a quella che abbiamo posta, quando si è ammessa F funzione di primo grado di M. Dal punto di vista fisico, questo equivale a supporre che gli effetti della sovrapposizione dei momenti di torsione, nei tempi passati, si sommino: l'eredità si dice allora lineare.

Immaginiamo ora che un momento di torsione unitario sia stato applicato al filo, nell'intervallo infinitamente piccolo dt, compreso fra due istanti infinitamente vicini τ e τ+dτ; esso avrà prodotto una certa torsione e, poichè l'azione è ereditaria, al tempo t resterà un'azione residua. Designamola con φ (t, τ)dτ, allora al tempo t, la torsione ω(t) sarà data da kM(t) più la somma di tutti i residui

φ (t τ)M(τ) dτ

dovuti alle azioni precedenti, vale a dire all'eredità. La relazione che ne risulta, è quindi l'equazione integrale

ω(t) = kM(t) + ∫t φ (t, τ)M(τ) dτ,

in cui la funzione φ(t, τ) è il nucleo coefficiente di eredità.

Posti i principi precedenti, si presentano molte questioni. Possiamo domandarci: noto il coefficiente di eredità e note le successive torsioni, si possono determinare i momenti di torsione che sono stati applicati? Come si può determinare il coefficiente di eredità quando è incognito?

La prima questione si riconduce alla risoluzione di una equazione integrale lineare; infatti quando è trascurabile l'eredità anteriore ad un certo istante, che assumiamo come origine dei tempi, tutto è ridotto alla risoluzione rispetto a M(t), dell'equazione integrale

ω(t) = kM(t) + ∫t0 φ (t, τ)M(τ) dτ

Per risolvere la seconda questione, vale a dire per determinare il coefficiente di eredità, supponiamo che sia soddisfatta la condizione del ciclo chiuso per tutti i periodi. In tale ipotesi il principio del ciclo chiuso ci dice che dovrà verificarsi la condizione dell'invariabilità delle eredità e perciò il coefficiente di eredità non dovrà dipendere che dal tempo trascorso da quando l'azione s'è esercitata, fino all'istante in cui si misura l'eredità che ha lasciata, quindi dovrà essere funzione della sola differenza t – τ o, come suol dirsi, è un nucleo appartenente al gruppo del ciclo chiuso. Ne segue che il coefficiente di eredità si potrà ottenere conoscendo le leggi di variazione dell'angolo e del momento di torsione, mediante la risoluzione di un'equazione integrale dello stesso tipo di quella che abbiamo considerata. Infatti l'equazione:

ω(t) = kM(t) + ∫t0 φ (t – τ)M(τ) dτ

quando si ponga t – τ = σ, viene scritta così,

ω(t) = kM(t) + ∫t0 φ (σ)M(t – σ) dσ

da cui, se supponiamo che

M(t), dM(t) d 2 M(t) d n–1 M(t)
———, ———,.... ———
dt dt 2 dt n–1

siano nulle, mentre

d n M(t)
———
dt n

è diversa da zero, avremo

(II)        ω(n)(t) = kM (n)(t) + ∫t0 φ (σ)M (n)(t – σ) dσ

da cui

ω(n)(o)
k = ———
M (n)(o)

Derivando l'equazione (II) si trova l'equazione integrale

ω(n+1)(t) + kM (n+1)(t) = M (n)(o) φ(t) + ∫t0 φ(σ)M (n+1)(t – σ)dσ

che determina φ(t) in funzione di ω(t) e di M(t).

Il problema finora considerato è un problema statico, ma per passare al problema dinamico corrispondente, quello delle oscillazioni del filo, basta applicare il principio di D'Alembert, sostituendo al momento di torsione la differenza fra questo momento e l'accelerazione di torsione moltiplicata per una costante. L'equazione che così si trova, non è più integrale, ma integro-differenziale ed è della forma

ω(t)=k[M(t) – μ d 2 ω ] + ∫t0[M(τ) – μ d 2ω ] φ(t,τ)dτ
—— ——
dt 2 dτ2

Tale equazione, che può integrarsi, riconducendola ad una equazione integrale, dà anche un nuovo mezzo per calcolare il coefficiente di eredità quando si sia determinata, mediante l'osservazione diretta, la legge di oscillazione. Siamo dunque in possesso di due metodi per calcolarlo: il metodo statico e il dinamico; dal punto di vista pratico, l'ultimo è il più interessante.

Ripetendo per la flessione e la vibrazione di una sbarra quanto si è detto per la torsione di un filo, si arriva ad una equazione integro-differenziale del quarto ordine invece che del secondo: questo caso è stato recentemente sottoposto a ricerche sperimentali dirette, di cui parleremo tra poco.

Nel caso più generale di un corpo elastico qualunque, si presentano maggiori complicazioni analitiche, poichè dallo stesso caso statico si è condotti ad equazioni non integrali, ma integro-differenziali. Per esempio, il problema generale della sfera elastica si risolve facilmente nel caso ereditario e la soluzione si presterà certo alle applicazioni dei problemi della rotazione terrestre.

Il principio del ciclo chiuso ha in tutte queste considerazioni una grande importanza, poichè permette di dimostrare che i coefficienti di eredità sono funzioni sulla differenza di due variabili e quindi formano un gruppo di funzioni permutabili al quale si dà per questa ragione il nome di gruppo del ciclo chiuso. Si può quindi impiegare la teoria della permutabilità per risolvere tutti i problemi corrispondenti; si semplificano così notevolmente le soluzioni e si può riuscire ad esprimerle mediante serie rapidamente convergenti e di facile uso nella pratica.

Una analisi analoga si può sviluppare nello studio dell'elettro-magnetismo; si trovano così equazioni integro-differenziali del medesimo tipo delle precedenti, che si trattano con gli stessi procedimenti.

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Non voglio terminare senza far parola delle applicazioni sperimentali della teoria ereditaria; ricorderò le applicazioni all'acustica, fatte dall'insigne fisico americano Webster; desidero anzi parlare della parte più pratica delle sue ricerche. Egli si è proposto questa interessante questione: Quale è la materia migliore per la costruzione dei diapason? Il Webster crede che la scienza non abbia ancora dato una risposta soddisfacente a questa domanda. Una parte della energia di vibrazione del diapason, più grande di quel che ordinariamente si pensi, va dissipata nella sostanza stessa del corpo vibrante, senza essere impiegata per l'emissione del suono.

Il Webster ed il Porter han cercato dapprima le leggi di questa dissipazione. Si presentavano loro due teorie: quella della viscosità, che è stata esposta dal Voigt, nel suo trattato sulla fisica dei cristalli, e la teoria ereditaria.

Il metodo sperimentale adottato dai due fisici consiste nello studio dello smorzamento delle vibrazioni trasversali di una sbarra, che vibra normalmente; ogni vibrazione normale ha un decremento diverso, che può misurarsi con processi fotografici; le vibrazioni sono prodotte mediante elettromagneti; la sbarra è sostenuta nel vuoto da sostegni che non danno luogo a dissipazione, situati con tutta l'esattezza possibile ai nodi del corpo vibrante.

Si è fatto uso di una sbarra di acciaio, di una di bronzo e di una lamina di vetro, ognuno dei quali corpi vibrava in tre modi diversi con due, tre o quattro nodi. Lo smorzamento cresce col numero delle vibrazioni, ma non proporzionalmente; sembra anzi che si avvicini ad un limite.

Se si applica la teoria della viscosità, si trova che i decrementi debbono essere proporzionali al quadrato della frequenza; ora, siccome una tal legge non è verificata dalle esperienze del Webster e del Porter, si è dovuta abbandonare la teoria della viscosità ed impiegare quella dell'eredità. Il Webster ed il Porter hanno trovato una corrispondenza fra i risultati sperimentali e la teoria, partendo dall'equazione integro-differenziale del quarto ordine, a cui si arriva, tenendo conto dell'eredità nello studio delle vibrazioni trasversali di una sbarra elastica.

Essi hanno determinato ciò che può chiamarsi la «memoria delle sostanze» che hanno sperimentate: sembra, per esempio, che l'acciaio abbia una memoria debolissima.

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Credo di aver dimostrato che le teorie ereditarie, almeno quelle di cui ho parlato, possano essere studiate mediante equazioni integro-differenziali; si può così sviluppare lo studio teorico dell'eredità senza fare alcuna ipotesi speciale sulle funzioni che la caratterizzano, ossia sui coefficienti di eredità. Nelle questioni di Fisica matematica, come in quelle di Meccanica, è utile lasciare, finchè si può, indeterminate le costanti, e fissarle numericamente, solo quando si applichino le formule a problemi concreti.

Questa è la ragione per cui l'applicazione dell'Algebra alla filosofia naturale è cresciuta sempre d'importanza. Anche nelle questioni sull'eredità riesce utile lasciare indeterminate le leggi speciali con le quali l'eredità stessa si manifesta, risolvendo i problemi corrispondenti nel modo più generale possibile.

I coefficienti di eredità possono, quando occorra, determinarsi comparando le formule generali coi risultati dell'osservazione e fissandole così nei varî casi particolari che si presentano.

Spero che le considerazioni precedenti siano riuscite a dare un'idea dei caratteri essenziali, dell'utilità e della portata delle funzioni che dipendono da altre funzioni; esse conducono naturalmente alle equazioni integrali ed integro-differenziali e allo studio delle questioni ereditarie. Senza questi procedimenti, lo sviluppo analitico relativo ai casi di eredità non sarebbe possibile, ovvero si dovrebbe arrestare ai primi passi.

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