SESTO INTERMEZZO

Erano trascorsi due sabati senza che il signor Emilio avesse potuto venire a trovare sua moglie e le sue figlie, al venerdì aveva telefonato avvertendo che non veniva. Sua moglie e le sue figlie sembravano abituate e non troppo deluse. Marta mi aveva subito spiegato «Papà non si diverte qui, non gli piace.»

Il terzo venerdì invece aveva confermato l'arrivo e mi aveva colpito, che non ne fosse affatto scaturita un'atmosfera di festa, al contrario. I preparativi erano febbrili, ma nel segno di «lo sai che se no si arrabbia.»

La signora Emma sempre cosí accomodante con la madre e con tutti, sempre un po' indifferente a quel che si mangiava o si faceva, a chi veniva e a chi non veniva, era diventata imperiosa con le figlie, con le cameriere, con la cognata. Bisognava far da mangiare questo e quello perché piacevano a lui, non bisognava che questi e quelli venissero «perché gli danno ai nervi». Le ragazze dovevano congedare tutti i loro amici, «ci mancherebbe che venissero nei piedi le poche ore che papà starà qui».

«Alle cinque in punto vi voglio lavate e vestite, non vi mettete i pantaloni, che sapete che a papà non piacciono.»

«Ma non arriverà prima delle sette.»

«Non importa a che ora arriverà, alle cinque in punto vi voglio perfettamente pronte, non voglio che ci sia più nessuno fra i piedi, sapete che a papà non va di avere estranei intorno.»

Alla terza volta che la signora Emma aveva ripetuto davanti a me quanto desse noia a suo marito «aver gente per i piedi», io avevo detto che dovevo andare in città per fare degli acquisti e che sarei tornata martedì o mercoledì.

La signora Anna non parlava, guardava la figlia dare ordini con aria un po' assente e un po' perplessa, ma lasciando fare. Quando avevo detto che me ne volevo andare, la signora Albanese aveva rotto il silenzio e in tono pacato, leggermente più basso del solito, il tono di quando dava un ordine indiscutibile, aveva detto a me, ma il messaggio era diretto alla figlia: «Qualunque cosa le serva dirò a mio genero di portargliela. Non le consento certo di andare a T. con questo caldo a fare delle compere con una domenica di mezzo.» Poco dopo, mentre salivo le scale, avevo sentito la signora Emma dire alla madre: «Se poi la tratta a pesci in faccia è peggio che se fosse andata via due giorni.»

«Figlia mia tu esageri con questo marito, gliele dai tutte vinte. Lui tanto è fatto cosí, se non lo abitui, sarà sempre cosí.»

«Tu parli, ma sono io che vivo con lui, non sei tu che te lo godi con il muso!»

L'ingegner Emilio era arrivato dopo cena quando tutti erano ormai a dormire, solo la signora Emma era rimasta sveglia ad aspettarlo. Anna e Marta erano vestite di tutto punto dalle cinque e avevano aspettato invano fino alle undici.

«Papà se vi trova ancora sveglie vi sgrida.»

«E tu che ci hai fatto preparare per le cinque!»

«Silenzio, a dormire...»

La mattina seguente, contrariamente al solito, c'era una tavola imbandita sulla terrazza, con ogni sorta di marmellate, biscotti e panini, il latte appena munto della stalla lungo il fiume.

L'ingegner Emilio se ne stava a capotavola davanti a una grande tazza di latte fumante, circondato dalle figlie, dalla moglie e dai nipoti. Appena ero comparsa sulla terrazza la signora Emma mi aveva presentato suo marito, che mi aveva fatto un cenno gelidissimo, io mi ero seduta e lui si era comportato come se io non ci fossi stata, tutto preso dai ragazzi. Marta, che di solito mi festeggiava e mi veniva incontro, non si era mossa da accanto a suo padre, si era limitata a farmi un mezzo sorriso, insieme fiera di essere vicina a lui e preoccupata delle buone relazioni con me. Il sorriso voleva dire: «sarei più affettuosa, ma oggi proprio non posso, non è il suo stile.»

Anna invece era assolutamente identica a se stessa, cioè silenziosa, intenta a scrutare intorno a sé e mi aveva salutata come ogni giorno.

«Allora che cosa mi raccontate di bello?»

«... niente.»

«Siete andate a fare delle passeggiate?»

«Siamo andate al fiume.»

«Al fiume? Ma sono quattro passi! Una gita, partendo dal mattino, fino al monte P., su in cima, mangiando e dormendo fuori.»

«... no.»

«E allora che cosa fate tutto il giorno?»

«Giochiamo a tennis.»

«Sempre qua dentro insomma! Ah che pappemolli!»

«Non è vero, giochiamo benissimo.»

«Allora se giocate benissimo, vi sfido, vediamo chi vince. Forza, finite la colazione che andiamo a vedere...»

Si era alzato e con tutti i ragazzi, se ne era andato al campo da tennis.

La signora Emma non era in tenuta per giocare, anzi aveva un elegante vestito di seta ed era subito andata in cucina a dare disposizioni per il pranzò.

Verso mezzogiorno tutto era già pronto, la tavola preparata con particolare attenzione come ogni domenica, ma con una tovaglia tutta bianca, «perché le tovaglie colorate a mio marito non piacciono».

La signora Anna era scesa e stava facendo il giro del giardino con me. Sabato e domenica il giardiniere non veniva, ma l'abitudine di esplorare il giardino la signora Anna la manteneva, «cosí se qualcosa non va glielo dico subito al lunedì quando torna».

Un quarto d'ora prima di andare a tavola era ricomparso l'ingegner Emilio con tutti i ragazzi e aveva annunciato che loro andavano al passo del B. a pranzo in una baita dove c'era polenta burro e formaggio fresco. «Ma come?! E tutto pronto.»

«No, mamma lasciaci andare...»

«Con tutto il ben di Dio che abbiamo preparato, voi andate a prendervi il mal di pancia in quella baita sporca.»

«Ma che sporca, è magnifica. Si muovono un po' questi ragazzi. Il ben di Dio lo mangiamo a cena.»

Tutti i ragazzi si erano messi a implorare e l'ingegner Emilio aveva tagliato corto: «Allora noi andiamo, niente adulti, Anna al massimo.»

Erano saliti tutti quanti eccitati e vocianti sulla macchina ed erano partiti.

Le signore rimaste a casa si erano sedute intorno al tavolo del banchetto. «Mangiare tranquille una volta tanto, non è male» aveva commentato Anna Albanese.

Alle sei erano tornati, «tutti sporchi e sudati» secondo la signora Emma, ma indubbiamente divertiti.

L'ingegner Emilio era carico di una quantità di burro e di salami. La moglie aveva detto «le solite esagerazioni» e la signora Anna l'aveva guardata con rimprovero, si era avvicinata al genero e non senza una punta di sufficienza nella voce, aveva osservato: «Sono i migliori salami di P. Questo è da cuocere, questi invece sono da far stagionare..» e fra suocera e genero era cominciata una fitta discussione sui salumi, quando e come fosse meglio mangiarli, quando e come fosse meglio conservarli, nel grasso oppure in cantina e cosí via. A cena erano arrivati gli avanzi del pranzo, sontuosamente aggiustati e serviti come nuovi.

La signora Albanese non mi aveva mossa dal mio posto d'onore, cioè dal posto di Filippo e aveva detto al genero: «Tu Emilio, siediti fra le tue figlie» al che Marta mi aveva strizzato l'occhio: come avevo potuto vedere Anna non perdeva mai il suo posto, potevo ben fidarmi delle sue informazioni.

L'ingegner Emilio era scontroso, ma non era affatto antipatico. Ostentava un certo disinteresse nei miei confronti, non privo di ostilità, ma l'impressione era che la cosa non avesse nulla di personale. Sembrava in generale irrequieto rispetto all'ambiente familiare e non a suo agio in vacanza. Tuttavia non sembrava affatto disinteressato della moglie e delle figlie, al contrario, i suoi modi facevano pensare a un affetto rude e possessivo, dissimulato dietro innumerevoli battute provocatorie e scherzi.

Dopo cena i ragazzi erano andati a dormire e allora lui rivolto alla suocera aveva detto: «Se a lei va bene Emma verrebbe due giorni a T. con me.»

«A me va benissimo, le ragazze sono grandi e non hanno nemmeno bisogno di essere guardate e poi la signora – e si rivolgeva a me con un sorriso – è cosí gentile che se ci fosse bisogno mi aiuterebbe certo, non è vero?»

«Sarò felicissima di rendermi utile.»

Per la prima volta l'ingegner Emilio mi aveva guardata con un'ombra di tolleranza, quasi benevolo.

Suo fratello Piero era giunto pochi giorni dopo. I due fratelli, a dispetto di modi molto diversi mi erano parsi identici, identici di animo voglio dire.

Tanto Emilio appariva dichiaratamente scostante quanto Piero di una disponibilità estrema. Aveva subito mostrato grande interesse per me, mi aveva fatto una quantità di domande, ma tutte domande di cui aveva già la risposta, nessuna aveva veramente l'intenzione di apprendere qualcosa su di me. La diffidenza di Emilio era in un certo modo un segno di interessamento, mentre la cortesia di Piero, dava la sensazione di uno strumento per meglio garantire il suo distacco.

Di media statura, un po' più piccolo di suo fratello, dai lineamenti regolari, più regolari di suo fratello, un sorriso appena accennato sul viso, sorriso estraneo alla faccia sempre corrucciata del fratello, Piero suo malgrado ricordava Emilio marcatamente.

Tutti e due mi erano apparsi interessanti, ma poco conoscibili, non solo per me, che ero di passaggio, ma anche per gli altri, inconoscibili per le loro mogli per esempio, per i loro figli. Il tempo che dovevano aver speso a rendersi incomprensibili non era certo stato poco e la discrezione, che sembrava la sola richiesta da loro rivolta agli altri, era in realtà un avvertimento, una siepe, poco vistosa, che celava all'incauto visitatore, parecchi cerchi di spesse mura, valli e fortificazioni d'ogni sorta, del tutto impenetrabili al comune mortale.

Piero festeggiato dai ragazzi si era prestato di buon grado a suonare per loro delle canzoni e a cantare. Anna lo aveva accolto con inconsueta gioia e lui le si era rivolto con attenzione diversa da quella per gli altri ragazzi, come a un'adulta, anzi, come alla sola persona adulta fra tutte. Le aveva chiesto i suoi programmi, quanto sarebbe rimasta ancora in villeggiatura e quando sarebbe tornata alle «sue attività», quasi non sapesse che la ragazza era ancora tenuta a rispettare le scelte dei suoi genitori.

Era arrivato nel primo pomeriggio, «per fare un salutino», non aveva preso il caffè, non aveva preso il tè più tardi, né era stato possibile persuaderlo a chiedere se sua madre e sua moglie volessero raggiungerlo e cenare con noi. Se ne era andato, era tornato a casa sua perché lo aspettavano.

Avevo atteso invano l'arrivo di Raffaele Albanese, un lavoro impellente lo tratteneva: «Sempre lavori impellenti» mi diceva la signora Anna sorridendo. La signora Anna non celava il sospetto e non celava nemmeno la speranza che suo figlio avesse qualche buon motivo per non venire, visto la piattezza della moglie, «ottima ragazza. Ma ci vuol altro!»

Alla fine era arrivato, giusto in tempo per completare la mia galleria di uomini appena abbozzati.

Un seduttore da togliere il fiato, copia smagliante di sua madre, ancora e per sempre legato a lei da una somiglianza costruita in ogni minimo dettaglio.

Non era alto eppure stava benissimo con un vestito intero di lino bianco, una camicia di piquet a pois bianco su bianco, un panciotto di seta operata a righe opache e lucide bianche, l'orologio a catena nel taschino, un cappello di paglia con il gros nero, un breve pizzo bruno, ben curato, capelli leggermente mossi, leggermente lunghi e leggermente bianchi, naso aquilino, identico a quello della madre, gli occhi con la stessa espressione di lei, ma azzurri chiarissimi, scuro di carnagione e lievemente abbronzato. Studiato dalla testa ai piedi, con estetismo sapientissimo, non era certo alla moda, benché a tutta prima risultasse tale. In realtà sembrava dipinto più che vestito: un signore fra il Proudhon di Courbet e Courbet stesso, nell'autoritratto con il cane. Il suo abbigliamento era in parte un'espressione professionale, in parte una sorta di interpretazione intellettuale del proprio corpo, tanto che i «pezzi» più a la page sembravano la testa e le mani.

Entrando si era tolto il cappello con un breve gesto di saluto per tutti, aveva abbracciato la moglie, i figli, quindi la sorella e le nipoti, tutti gli si erano fatti incontro molto festosi. La signora Anna era rimasta nella sua poltrona, io ero accanto a lei. Quando lui, da ultimo, si era infine avvicinato per salutarla, lei aveva un'aria severa e sorniona. Mentre si piegava per baciarle la mano («mamma, come stai?»), lei non aveva mancato di squadrarlo con l'attenzione meticolosa che il regista dedica agli attori su cui conta. Eseguita la scena dei saluti, lui, per parte sua, si era chinato su di lei e, quasi cadendole addosso, l'aveva abbracciata e baciata con chiassosi baci schioccanti, sfacciatamente infantili.

Quando la signora Anna mi aveva raccontato la storia del matrimonio di suo figlio Raffaele io avevo pensato che, stando agli eventi quest'uomo avrebbe dovuto essere quello che mio padre soleva definire «un emerito cretino», un uomo cioè succube dei suoi sentimenti, piagnucoloso e senza nemmeno la capacità di reagire alle ingerenze di sua madre, un inetto, debole e sciocco. In realtà non lo avevo creduto affatto né mentre la signora Anna raccontava, né lo pensavo ora vedendolo. E una leggenda superficiale che i figli dominati dalla madre siano degli inetti, tutto dipende da com'è la madre. C'era una vittima della situazione, ce n'era forse anche più di una, ma la vittima non era Raffaele Albanese.

La simpatia fra me e la signora Anna era andata crescendo.

Non senza aver lasciato passare qualche tempo dal mio arrivo, era tornata anche sui miei rapporti personali, soprattutto con mio marito e, discretamente, ma inesorabilmente si era ben accertata che lo amassi, dopo di che si era messa ad ascoltare con estremo interesse le mie opinioni sulla possibilità, per una donna sposata e con figli, di svolgere un'attività.

Dapprima era diffidente, poi un po' alla volta, aveva concluso che sí, «se una ha i numeri, può giovare alla famiglia che abbia un lavoro, anche se economicamente non ne ha bisogno».

Poco tempo era trascorso e aveva cominciato a dichiarare: «Mio figlio avrebbe avuto bisogno di una donna viva, intelligente; non sa come sarebbe piaciuto a mio figlio avere accanto una persona come lei; l'avrebbe seguita con lo stesso interesse che mostra suo marito. Mia nuora, carissima ragazza, per carità, non sarebbe mai all'altezza. Peccato! Ho torto di lamentarmi, perché è un tesoro con me e con mio figlio, ma cosa vuole, io sognavo una donna più interessante per lui. La vede? È lí, senza infamia e senza lode, non esiste!»

«Che coraggio! – pensavo – quando è lei, proprio lei che l'ha scelta e voluta.»

Tuttavia, lungi dall'essere indignata come avrei dovuto, trovavo affascinante ancorché perverso il cinismo totale della signora Anna. In fondo lei non se lo ricordava più che aveva scelto la «povera Antonella»:

Non c'era dubbio che anch'io mi ero assuefatta al giudizio della signora Anna, non avevo opinioni su Antonella: «Si alza, va al tennis,... vestita cosí e cosí (niente di originale), non mangia né tanto né poco...»

Mi rendevo conto di questo soltanto adesso che vedevo il figlio seduto accanto alla madre, intento a raccontare a lei, più che a tutti gli altri, quel che stava facendo. Raccontava come lei, con gli stessi gesti, la stessa autorevolezza e la stessa disponibilità ad ascoltare, a rispondere, a ironizzare senza astio. L'atmosfera intorno a lui era allegra ben più che per gli altri ospiti; sebbene godesse di un'evidente stima da parte di tutti, non aveva suscitato nessuna preoccupazione il suo arrivo, nessun preparativo particolare. «Lo zio Raffaele è simpaticissimo – mi aveva avvisato Marta – Vedrà, dice delle parolacce e la nonna si arrabbia tantissimo.»

Dal racconto della signora Anna non era emersa l'intensa complicità fra madre e figlio che ora vedevo. Forse la complicità era maturata negli anni. Raffaele Albanese si era reso conto che sua madre non era facile da abbandonare e del resto forse non aveva desiderato di abbandonarla, cosí aveva accettato le sue condizioni.

La signora Anna aveva procurato alla nuora un marito bello come lei non si sarebbe mai trovata da sola, le aveva garantito un ottimo trattamento perché «un signore con la moglie si deve comportare da signore» e infatti Raffaele era impeccabile con sua moglie; lei aveva «tutto ciò che si può desiderare: una vita comoda, due figli, una casa splendida, vestiti... tutto». Tutto meno un innamorato, ma la signora Antonella, onestamente, non aveva l'aria di dare molta importanza a questo aspetto. Fra le ovvietà che diceva (e parlava per ovvietà) l'avevo sentita dire che «gli uomini hanno solo quello in testa». «Quello» non la entusiasmava troppo e cedeva senza problemi il passo a chi avesse voluto occuparsene. Faceva la sua vita lui e lei lo lasciava in pace, in cambio lui non metteva mai in discussione la posizione di moglie e di madre dei suoi figli, che la signora Anna aveva affidato ad Antonella.

Una volta un'allieva mi aveva detto che nutriva grande ammirazione per una sua nonna che, in modo abbastanza indolore per gli altri, «comandava di fatto su tutta la sua famiglia e faceva soltanto quel che le pareva, imperversando e mentendo spudoratamente. Io penso spesso a lei con invidia. Qualche volta vorrei essere cosí ma so che non siamo più capaci. Mi vergogno a dirlo, vorrei sapere perché mi vergogno oppure vorrei sapere perché ammiro una persona, che va contro tutto quello che penso sia giusto.»

«Non ho risposta – le avevo detto – e condivido appieno la sua domanda e i suoi incerti sentimenti.»

Spesso ci ho ripensato e spesso ho pensato alla signora Albanese e che cosa me la rendesse simpatica contro ogni mio principio. Forse il fatto che nella sua prepotenza c'era della generosità e dell'attenzione verso gli altri, per dominarli doveva ben conoscerli, e poi (questo era il motivo principale) perché non aveva altro modo di esprimere la sua indubbia intelligenza e la sua ricca personalità.

Certo, la sua imperiosità non era senza conseguenze negative, ma ancora una volta la vittima non era la nuora, come mi era parso misurando con il mio metro di giudizio la situazione della nuora. L'intesa esclusiva fra madre e figlio non ledeva gli interessi della nuora o almeno di quella nuora. La signora Albanese aveva scelto con cura, la nuora non soffriva, non dava il minimo segno di voler dar battaglia per ricavarsi uno spazio diverso da quello che aveva; più o meno consapevolmente lasciava curare i suoi interessi alla signora Anna, i suoi interessi del resto non riguardavano tanto la persona di Raffaele quanto la sua posizione in famiglia, quale miglior procuratrice della signora Anna?

I veri esclusi erano come m'aveva suggerito con arguzia Marta, Filippo e Antonio. La signora Anna non li teneva nella benché minima considerazione, il suo disinteresse, non privo di disprezzo, non per loro, quanto per la loro madre, votava i due ragazzi a una opaca mediocrità. Il padre non era in grado di trasmettere loro il suo fascino, perché brillava di luce riflessa, ne disponeva dunque imperfettamente e poi non si curava a sufficienza di loro che, fatalmente, prendevano l'impronta della loro scialba madre. I due ragazzi del resto, non assomigliavano affatto al padre nemmeno fisicamente, i lineamenti lo ricordavano in modo vago, ma erano cosí chiari e nordici da renderli lontanissimi da lui. Il padre non era particolarmente bello, quello che lo rendeva affascinante era la ricercatezza del suo modo di muoversi e di rivolgersi agli altri, la reale curiosità che aveva per tutto ciò che lo circondava. Conosceva le persone che frequentavano la casa, gli amici di sua madre, di sua sorella e dei ragazzi Nei pochi giorni che era rimasto era stato festeggiato da tutti, si era incaricato della veranda pericolante dei vicini delle grondaie del dottor W. e cosí via.

Non aveva mancato di farsi spiegare da me che cosa facevo e mi aveva raccontato di quando era in Inghilterra dove aveva conosciuto degli antropologi che facevano una indagine sulle famiglie di ebrei ortodossi di Golders Green. Era sorprendente quante analogie avessero Marta e Anna con lo zio e anche lui sembrava tutto sommato più a suo agio con le nipoti che con i figli. Mi era saltata agli occhi la continuità fra la signora Anna e le nipoti una continuità che non mancava di tagliar fuori, almeno in parte, la stessa Emma.

Anna junior taceva e non somigliava affatto né alla madre né alla nonna, ma il legame fra lei e la signora Anna senior era tanto più solido quanto più invisibile e dato per certo dalla signora Anna stessa. Il silenzio della giovane Anna rispetto alla Anna anziana era il silenzio di cui un'attrice ha bisogno per imparare bene la parte e farne un suo uso proprio; Marta poteva parlare invece, perché a lei era concessa una certa maggior libertà, si trattava infatti di una seconda attrice, sia pure accreditata.

Piero Rinaldi era tornato con l'intenzione di trattenersi una settimana; poi sarebbero rientrati tutti, lui, sua moglie e sua madre.

«Come? Già finite le vacanze!» aveva esclamato Anna Albanese. «A sua madre farebbe bene rimanere ancora un po'.»

«Io devo lavorare e mia moglie anche, mamma non può stare sola.»

«Siamo qui noi. Basta dire alla donna di servizio di fermarsi a dormire e di giorno quando lo desidera viene qui, quando non ne ha voglia andremo noi da lei.» «Non credo sia possibile.»

«Lo dirò io a sua madre, vedrà che la persuaderò.»

«Ne dubito.»

«Perché tornare in città mentre fa ancora troppo caldo, senza un motivo.»

«Mamma, non perderai mai il vizio di voler organizzare la vita degli altri» aveva interrotto la signora Emma a ci non era sfuggito quanto Piero fosse urtato dalla proposta. Anch'io l'avevo notato, mentre la signora Anna sembrava non essersene minimamente accorta e, spietata, proseguiva nei progetti di una lunga e divertente permanenza per la signora Maria.

Mi ero convinta che Piero Rinaldi non gliel'avrebbe perdonata e non si sarebbe più fatto vedere per il resto della settimana. Piero invece era ritornato in visita ogni giorno, anche se non si era mai voluto trattenere né a pranzo, né a cena, né per la musica. Veniva sempre fuori ora, ma rimaneva abbastanza a lungo e la signora Anna, rivelando una magnanimità di cui non aveva dato prova il primo giorno, non aveva mai insistito negli inviti e nemmeno nelle indagini per sapere come mai non si volesse fermare.

Arrivava con una macchina fotografica complicatissima e scattava qua e là, cercando di fissare persone e cose in attimi espressivi irripetibili. I ragazzi colti all'improvviso mentre correvano, mentre litigavano, mentre mangiavano, erano delusi di non potersi preparare al meglio, mettersi in posa e «venire bene». Cosí erano giunti a una specie di compromesso, lo zio Piero scattava le fotografie che voleva come voleva lui, poi faceva delle foto in posa, un vero e proprio teatrino.

Le foto non solo erano in posa, ma a soggetto, come in un ipotetico fotoromanzo. La preparazione delle scene aveva entusiasmato i ragazzi, che dedicavano l'intera giornata alle prove, quando lo zio compariva li trovava intenti a discutere, circondati d'indumenti altrui, stracci e oggetti con cui si vestivano e si svestivano alla ricerca di effetti fotogenici. Provavano e riprovavano le pose, aggiustando travestimenti e trucchi. Preparavano sia pose collettive, che ritratti singoli, avevano fatto la bisca, il ballo, la banda di gangsters, ma anche Marta nei panni di sua madre, un'esilarante parodia della signora Emma, Filippo come gigolò e cosí via. Il signor Piero era molto attento e professionale e criticava le varie proposte nel dettaglio, sicché i ragazzi mettevano i sette sentimenti a pensare e inventare. Piero Rinaldi evitava gli altri adulti, anche se nei pochi momenti in cui, casualmente, si era incontrato con gli abituali ospiti degli Albanese era stato molto simpatico. «Ci vediamo» era il suo ritornello e se ne andava: spariva proprio al momento di vederle le persone, rimandando all'infinito il giorno e l'ora in cui il suo sguardo si potesse fermare con calma su qualcuno o su qualcosa. La domenica era partito, come previsto, con sua madre e sua moglie: «Adesso che avevamo tutto pronto per fare delle super-fotografie» aveva commentato Marta desolata.

Avevo deciso anch'io di rientrare. I miei figli sarebbero tornati dal mare di lì a una settimana, ma preferivo precederli, non solo, non me la sentivo più di stare in casa Albanese. Era annunciato l'arrivo dell'ingegner Emilio, che aveva preso, su insistenza di sua moglie, dieci giorni di ferie. La signora Emma aveva avuto cura di dirlo e ripeterlo davanti a me, subito tesa davanti a un avvenimento che apparentemente desiderava molto. Non so se Emilio Rinaldi avrebbe gradito la mia presenza, so di certo che l'eventualità di una settimana di vicinanza fra Emilio Rinaldi e un'ospite, quale io ero, atterriva la signora Emma e tutto quel gran timore di Emma faceva stizzire straordinariamente la signora Anna. Cosí avevo subito dichiarato che dovevo raggiungere mio marito e i miei figli, la signora Emma, rassicurata, era stata gentilissima con me negli ultimi giorni che avevo trascorso alla villa. Ero partita fra baci, abbracci e una certa commozione, accompagnata dalla promessa di tornare.

In realtà mio marito era stato trasferito temporaneamente a L. il che complicava ulteriormente la nostra già difficile organizzazione familiare, e io, per riuscire a vederlo di tanto in tanto, avevo ridotto tutti gli spostamenti che non fossero indispensabili. Ero andata, con gran fatica, un paio di volte a trovare la signora Albanese a T., poi non c'eravamo più viste. In breve avevo perso del tutto i contatti con gli Albanese e i Rinaldi, avevo di fatto sospeso quel lavoro, anche se continuavo a illudermi di riprenderlo il giorno dopo.

Share on Twitter Share on Facebook