QUINTO INTERMEZZO

Era appena passata una settimana da quando erano arrivate le signore Rinaldi, le ragazze erano state a salutare la nonna. Prima Anna: taciturna e riservata com'era suscitava evidentemente minori diffidenze di Marta; ma alla fine anche Marta era andata a salutare la nonna.

Dopo circa un altro paio di giorni la signora Maria aveva accettato l'invito per un tè. Quel pomeriggio alle cinque, era arrivata con la nuora.

Quando una persona mi viene descritta, sono sempre ansiosa di verificare se corrisponde all'immagine che me ne sono fatta. Sia per la signora Rinaldi che per sua nuora, immaginavo in modo clamorosamente sbagliato. Pensavo che la signora Rinaldi fosse una donna se non grassa, pesante, triste, e spenta e pensavo che sua nuora fosse una donna ossuta, nervosa e scialba. La signora Rinaldi invece era piccola e magra, aveva un vestito nero con una gorgiera alta di pizzo écru, a metà del collo un cammeo; sebbene l'abito fosse elegante di taglio, ad osservar meglio, era assai vecchio, ma soprattutto sformato. Forse per questa mancanza di foggia poteva dare l'illusione di una persona grassa. Lungi dall'avere un aspetto dimesso, come mi figuravo quasi con assoluta certezza, la trascuratezza della signora Rinaldi era sprezzante: c'era una vistosa e precisa volontà di apparire incurante.

La nuora invece era impeccabile, ma cosí anonima che non ero ben sicura se la sua gonna fosse blu o grigia, la camicetta azzurra o lillà. Era bella, niente affatto ossuta, fine di lineamenti e di modi, garbata con la suocera e con le sue ospiti. Un sorriso espressivo le illuminava la faccia.

Mi aspettavo ugualmente che la signora Maria si mostrasse scontrosa e ostile, specialmente verso di me, che ero una sconosciuta. Al contrario era stata gentilissima, mi aveva fatto molte domande, quasi volesse precisare che non le piaceva la mondanità, ma non aveva nei miei riguardi preconcetto alcuno.

«Le piace il posto? Questa è una delle ville più belle del paese. Anche casa mia non è male, ma questa casa, sebbene sia stata costruita meno di due anni dopo la mia, è più armoniosa, più adatta alle esigenze di oggi. La mia è vecchio stile, poco disimpegnata, pochi corridoi, pochi ripostigli. Per me va benissimo, intendiamoci...

È stata al fiume?»

«Sí, mi ha accompagnata Marta.»

«Ah, se l'ha accompagnata Marta è a posto. Certamente le avrà mostrato tutto quello che c'è da vedere! L'imbarcadero tutto dipinto?...»

«Sí, molto carino!»

«La vasca delle trote?»

«Sí, sí...»

«Non ne dubitavo. Marta è una ragazza informatissima e precisa!» – aveva aggiunto sorridendo alla nipote, di cui andava fierissima.

Marta, per parte sua, era subito corsa a salutarla, non appena l'aveva sentita arrivare: a differenza degli altri, non mostrava la minima soggezione nei confronti della nonna Maria. Tutti gli altri, invece, erano vagamente tesi; lei sola aveva l'aria di essere perfettamente a suo agio.

«Meno male che sei venuta nonna. Ti aspettavamo tanto!» aveva esclamato buttandole le braccia al collo.

Anna, la signora Emma, la signora Albanese l'avevano salutata senza abbracci, in modo abbastanza impacciato.

La conversazione si era avviata facilmente tra la signora Anna e la signora Maria. Tutte e due conoscevano il paese, gli abitanti e i villeggianti da anni e cosí c'era stato uno scambio di informazioni e dei commenti sulle novità. Il suo parroco, brava persona, ma tanto ignorante, faceva delle prediche da far cadere le braccia.

«Io non vado a messa la domenica perché non mi piace la confusione. Vado al sabato sera o al mattino presto.»

«Hanno rimesso a nuovo il caffè della piazza. Guadagnano quello che vogliono, si capisce che poi comprano la macchina. Gente ammodo, salvo il figlio maggiore, che beve!»

«Ha già visto il signor W.? È qui?»

«Si, certo, è venuto spesso, è qui da quindici giorni e resterà ancora altre tre settimane con la moglie e ci sono anche i figli.»

«Come sta?»

«Bene, se sapevo che desiderava vederlo gli avrei detto di venire.»

«Se Alda ne avrà voglia, anch'io voglio vedere un po' di persone. Lo cercherò io e ci vedremo tutti da noi. È da tempo che desidero fare qualche invito e prima di andare via spero bene che saremo riuscite a mettere un po' di ordine in quella benedetta casa. A star chiuse si rovinano le case, tutto si rompe e tutto è in pessimo stato quando ci torni dopo l'inverno. Noi ci stiamo sempre meno e cosí è sempre peggio.»

«È una casa bellissima, ha dei mobili splendidi! La signora ha dei mobili vecchi meravigliosi, che danno un gran calore alla casa. Dovrebbe vederla!»

«... Mai più messa in ordine dal tempo dei tempi.»

La signora Maria e la signora Anna si erano messe a discutere della loro comune amica Ester, e di quali potevano essere le ragioni di una grave crisi di cui soffriva. Le due signore avevano fatto un paio di allusioni a legami che questa signora non era riuscita a sciogliere con qualcuno, non capivo se della famiglia o estraneo; mi era parso che volessero parlar fra loro e che alludessero a fatti di cui non volevano mettermi a parte, e cosí mi ero allontanata.

La nuora, Alda, parlava con le signore più giovani e con i ragazzi.

Devo dire che Alda non mi era simpatica, cosí molto superficialmente: aveva un bel sorriso, ma sorrideva a sproposito e troppo, in modo che il suo compiacimento risultava del tutto falso e ostentatamente provvisorio. La mia antipatia – mi rendevo conto – non era in alcun modo giustificata, era un motivo di pelle a rendermela antipatica. Senza sua colpa era infatti il tipo di donna alla Virginia Woolf, molto aristocratica, molto colta, molto gelida.

Sí, devo ammetterlo, per Virginia Woolf ho più di una semplice antipatia, mi è furibondamente odiosa. Non sopporto il rifiuto sostanziale del suo sesso, che emana da lei, la mancanza di desideri materiali. Fra tutti i suoi romanzi detesto specialmente Orlando e diciamo che i miei sentimenti nei suoi confronti sono cosí intensi perché rappresenta tutto quello che temo. Quando avevo scelto di fare la studiosa infatti, lo avevo fatto non senza varie paure. La necessità di passare per le barriere disciplinari, le norme che devi affrontare, non sai mai se nello scontro sarai tu ad aver ragione di loro o loro ad aver ragione di te. Tutte queste paure erano emblematicamente raccolte nella figura di Virginia Woolf: lei era tutto quello che non volevo diventare. Una cosa poi mi urtava più di ogni altra, la modestia del suo desiderio di avere una stanza tutta per sé. Nella realtà se non si può far diversamente, ci si può accontentare anche di poco, ma quando uno desidera deve desiderare in grande: una stanza? E che cosa te ne fai di una stanza? Per pensare, per percepire bene te stessa, di stanze ce ne vogliono parecchie; bisogna potersi muovere, camminare di stanza in stanza, passare fra sedie, poltrone, lampade da tavolo, quadri, cambiando gli oggetti della propria attenzione. Ci vuole parecchio spazio tutto per sé. Una stanza? A che cosa serve, se non a isolarti dagli altri?

In definitiva mi dispiaceva anche il fatto che Virginia Woolf s'immaginasse in casa.

«Ci si sente in equilibrio molto meglio all'aperto che al chiuso» mi era capitato di pensare a Ferrara. Desideravo vedere Ferrara da anni e per un verso o per l'altro non mi era mai riuscito di visitarla. Una volta, dovevo andare per lavoro a Bologna e non avevo trovato posto negli alberghi, cosí avevo deciso di partire un po' prima e di andare a dormire a Ferrara proprio per vederla. Ero arrivata alle cinque del pomeriggio di una stupenda giornata di maggio: un'aria appena fresca e leggera, «faceva dolce», come dicono in Francia.

Un palazzo più bello dell'altro, bene in piano a scacchiera, una piazza con le logge del mercato, il Duomo e un castello rosso di proporzioni perfette rispetto alla città immerso m uno specchio d'acqua: magnifica.

Ero sola e veramente soddisfatta passeggiavo, intorno intorno: non si poteva desiderare di meglio. Non c'era una persona che conoscessi e tuttavia i molti ciclisti, che passavano per il centro chiuso al traffico, i ragazzi nella piazza Savonarola, la gente ai bar, erano una presenza rassicurante. Ero sola, come capita talvolta di desiderare di essere. Non so come possa venire in mente che per star sole ci vuole una stanza, io volevo una città almeno, tutta per me, anzi – era deciso, avevo scelto: volevo Ferrara tutta per me.

Alda Rinaldi era infastidita dei discorsi delle due signore anziane, non proponeva altri argomenti ma si vedeva che tutte quelle voci su questo e su quello le sembravano indiscrete e futili. Cosí si era messa a chiedere informazioni per un idraulico che aggiustasse le grondaie e per dei diserbanti. Era fin troppo chiaro che pensava che la signora Emma e la signora Antonella non potevano offrire che qualche informazione pratica. Quanto a me, ostentatamente non mi aveva rivolto la parola e quando Marta che era una mia grande fan, aveva cercato di spiegarle le cose interessanti di cui mi occupavo, aveva sviato abilmente il discorso e poi l'aveva lasciato cadere. Alla fine si era messa a guardare i disegni di Anna, che era l'unica persona che forse le pareva interessante. Commentava con grande attenzione e diceva che anche lei amava gli stessi soggetti che Anna prediligeva. Del resto avevo notato che Anna aveva sempre interesse per le persone difficili e non troppo cordiali e Alda era una di queste.

La conversazione nel suo insieme era carica di tensione. Tutti i presenti si controllavano eccessivamente, e sebbene io avessi desiderato conoscere queste due persone, non vedevo l'ora che il tempo passasse; e del resto avevo la sensazione che non avrei capito di più di quel poco che mi era stato chiaro nella prima mezz'ora.

Cosí, quando dopo circa un'ora, era scesa la signora Carmen, tutte, ma proprio tutte le persone presenti, avevano tirato un respiro di sollievo; l'attenzione si era polarizzata su di lei, a cui veniva affidato il resto del pomeriggio e lei accettava di buon grado.

Quando i preparativi per la visita delle Rinaldi erano già stati fatti, quando cioè era stato detto a tutti gli abituali amici che quel pomeriggio la signora Albanese non poteva ricevere nessuno, quando era ugualmente stato deciso che io invece avrei presenziato, come coabitante e ormai amica della famiglia, era giunta una telefonata da M. La sorella della signora Anna era in arrivo.

Carmen era la sorella minore della signora Albanese, aveva quasi vent'anni meno di lei, era stata bellissima. Lineamenti regolari, «rinascimentali» diceva suo marito; capelli nero-rossicci, occhi scuri e grandi, aveva una pelle senza la più piccola impurità, liscia e trasparente. Non era alta, di corporatura appena in carne, era bastato il primo figlio a renderla un po' troppo grassa e uno dopo l'altro ne aveva avuti quattro. Per ognuno aveva preso qualche chilo e cosí era diventata decisamente pesante: gambe e braccia voluminose, spalle troppo tornite, una vita larghissima, un petto sconfinato e fianchi vasti. Di lei tuttavia non si poteva dire che fosse diventata brutta, era diventata una grande e monumentale matrona. La sua fondamentale bellezza non era svanita, era cambiata e lei lo sapeva. Non faceva nulla per apparire più snella: portava vestiti chiari di seta tutto l'anno, sempre a fiori, grandi fiori, dalie, margherite, ireos su sfondi accesi, verdi, rossi, rosa intenso. Quando entrava da una porta non si poteva certo ignorarla, la macchia di colori attirava inevitabilmente l'attenzione, come fosse entrata una serra.

Il suo arrivo era sempre preceduto da una notevole attesa, perché era una grande raccontatrice e, a sentir lei gli avvenimenti più importanti si svolgevano sempre sotto le sue finestre o poco lontano da casa sua. Sicché o li aveva visti con i suoi occhi o li aveva sentiti raccontare da testimoni diretti. A parte il fatto che era stata compagna di scuola "dell'unico flirt femminile del Papa, prima della vocazione".

Anche quella volta arrivava non senza aver fornito un avant-goût telefonico: aveva un problema spinoso con il marito. «Guai economici?»

«Peggio, peggio.»

«Un tradimento?»

«Peggio, peggio» e non aveva voluto dire altro.

Proprio il giorno del suo arrivo Alda aveva finalmente accettato di venire a prendere il tè dopo innumerevoli dinieghi e l'idea di un incontro fra Carmen e Alda impensieriva un po' la signora Anna.

«Non si somigliano per nulla; ma perché no? Dopo tutto si sono già viste una volta. Alda non è socievole con nessuno, ma chissà, forse con Carmen che è cosí espansiva...»

La volta in cui Carmen e Alda si erano incontrate era stato quando Carmen era tornata a T. dopo molti anni. Era comparsa tra gl'invitati avvolta in drappeggi a rose gialle, una rosa gialla sopra lo chignon, uno scialle mordorée sulle spalle, si era diretta con passo sicuro verso Alda e l'aveva abbracciata e baciata. Pensa e ripensa la signora Anna aveva deciso di non spostare l'invito, se no Alda non sarebbe più venuta.

Carmen era arrivata: fedele al suo personaggio, sembrava una Gloriette di glicini e lillà, scarpe verdi, borsa viola, profumata di gardenia, deliziosa quanto il parc Monceau.

Anita aveva portato il tè sul vassoio grande di legno con tutti i dolci mandati dalle altre zie e consuete spremute di frutta. La conversazione si era rapidamente avviata, Carmen non aveva bisogno di incoraggiamenti, aveva passato in rassegna tutti i familiari, i parenti, gli amici: senza dilungarsi in particolari inutili, poche notizie efficaci che inquadravano le persone e le situazioni.

L'ascoltavamo tuttavia con una certa impazienza, non arrivava mai alla storia preannunciata al telefono. Alla fine la signora Emma aveva chiesto: «Ma zia, non avevi detto che t'era successo un fatto...?»

«Beh...» aveva risposto, guardandosi intorno esitante e cercando un cenno della sorella, come il cantante che aspetta l'attacco dal direttore d'orchestra, per interpretare la romanza, che tutti sono venuti per ascoltare.

«Carmen, mi accennavi a problemi con Salvatore.»

«Sí...» – esitava ancora, chiaramente giudicava che non tutti gli spettatori fossero all'altezza della pièce.

«Ragazzi andate a giocare, vi chiameremo noi quando ci sarà la torta.» Tutti se n'erano andati, anche Anna.

Un'ultima reticenza: «È una storia personale..., è vero che si è conclusa bene... e poi...»

«Ma insomma che cos'è accaduto?» aveva chiesto la signora Anna, dandole con forza il «la».

«Una faccenda che poteva mettersi male veramente, ma proprio male. Salvatore, mio marito, ha avuto un malessere molto preoccupante. Uno di quei malesseri, che ti possono rovinare la vita e non solo la tua...

Salvatore è sempre stato un marito splendido e un padre invidiabile. Si avvicinava a me come sempre. Tutto si svolgeva come di consueto, con reciproca soddisfazione.» Dio solo sa come i loro rapporti, che erano sempre stati una sinfonia, tutt'a un tratto erano diventati una sinfonia incompiuta. Poiché l'episodio si era ripetuto per molte volte, non solo Salvatore era rimasto turbato, ma anche lei stessa. Per quanto le intenzioni di suo marito sembrassero ottime come sempre e l'impossibilità di portarle a buon fine sembrasse una fatale disgrazia, lei aveva cominciato a sospettare che lui fosse distratto da qualche altra donna. Aveva fatto indagini: nulla. Ne aveva parlato alle figlie: lo avevano escluso. Infine l'aveva senza mezzi termini detto a suo marito: quasi si metteva a piangere. Nulla di nulla.

Cosí si erano avviati sulla lunga strada dei medici, delle analisi e delle cure, non solo a N. ma anche a Roma. Nulla, dal punto di vista clinico: sanissimo. «Alla fine su consiglio dell'ennesimo medico amico, avevamo deciso di fare un viaggio a Londra per svagarci e riposarci e nel contempo per consultare uno specialista particolarmente conosciuto, che si occupava di fenomeni psico-fisici.

Partiamo; mi sono portata un guardaroba principesco. Non ho mai fatto la più piccola pressione su Salvatore, non volevo certo angosciarlo, per carità, sono cose tanto delicate. Onestamente, senza parere, facevo del mio meglio. Ne soffriva lui e poi, sono sincera, anche per me..., una donna onesta, ancora giovane. Il Padre eterno cosí ha disposto e cosí deve essere, nel Suo rispetto. Purtroppo fallimento completo dell'Inghilterra.»

La situazione non mutava, il tempo passava e Salvatore era sempre più depresso. Tutto aveva provato, la medicina ufficiale, la medicina omeopatica, delle conversazioni religiose con un teologo gesuita, uomo molto moderno. Lei infine aveva persino fatto ricorso a delle riviste osées. «Si!, sono andata da un giornalaio di mia fiducia e gli ho detto: Sentite, debbo fare uno scherzo, datemi delle riviste audaci, mi raccomando non troppo volgari e lui me ne ha date due o tre. Devo dire finissime, fotografie artistiche praticamente, con ragazze splendide. Le ho portate a casa e le ho messe nella cesta dei giornali. Io sono realista, se a una persona piacciono le fragole è naturale che le apprezzi tutte, non solo le poche che nella sua vita riesce a mangiare. E le fragole, si sa, sono come le ciliegie, una tira l'altra.

Le riviste le ha sfogliate, abbiamo riso e scherzato, ma... niente, il problema non si è sciolto.

Erano ormai più di sei mesi, tutto ciò che si poteva tentare era stato tentato.»

A mali estremi, estremi rimedi. Tutte potevano rendersi conto della delicatezza della sua decisione, ma lei non aveva praticamente altra scelta. Era andata nella chiesa di C. e li aveva chiesto la grazia alla Madonna: «Un magnifico padre come è stato, non può venire mortificato nel suo orgoglio» solo questo Le aveva detto.

Ebbene, non erano ancora passati quindici giorni che già le aveva fatto la grazia. E la grazia era stata di una generosità regale, tanto che ne era seguito un vero e proprio viaggio di nozze.

«Tutto è bene quello che finisce bene – aveva commentato la signora Anna – e ora è definitivamente guarito e sta bene?»

«Benissimo – alzando le corpose braccia al Cielo, in gesto di devota gratitudine aveva aggiunto – un airone.» Quindi era passata a raccontarci le peripezie di una sua amica che, purtroppo, non era stata miracolata.

Di storia in storia, si era fatto tardi, era ora di cena e tutti si erano alzati per congedarsi.

Anche la signora Carmen usciva, era invitata dai signori W., di cui era grande amica. Era in ritardo ed era dunque uscita per prima.

La tensione di poc'anzi si era allentata, l'atmosfera era molto più distesa, cosí mentre le ospiti si stavano accomiatando, nelle attese davanti alla porta, che si era appena richiusa alle spalle della signora Carmen, la signora Albanese aveva azzardato una frase meno controllata verso Alda: «Simpatica mia sorella, non è vero?» «Oh sí, molto. Sembra una mucca!» aveva risposto Alda con un gran sorriso.

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