SCENA I.

Alberto – Tomaso – Remigio – Ippolito – Elena e Adriana

(Alberto è seduto presso la scrivania. Tomaso e Remigio gli sono vicini. Ippolito, sprofondato nella sedia a sdraio, fuma un grosso sigaro, voluttuosamente. Elena, seguita da Adriana, entra dal salotto da pranzo dove i servi s’indugiano a sparecchiare. Poi chiuderanno le cortine).

Elena — (ad Alberto) E dunque? A che punto siamo? Finito?

Alberto — Non finito: esaurito.

Remigio — Non si trova la rima.

Elena — Posso esservi utile?

Alberto — (leggendo un foglio) Vediamo: «La tristezza non alberga – nella casa di Susanna...» – Datemi una rima in «anna» e vi dirò grazie.

Elena — Subito fatto: inganna.

Ippolito — Rima da donne, con tutto il rispetto per le presenti.

Alberto — Ho trovato di meglio.

Tomaso — Io mi domando come si fa, dopo un pranzo come quello di stasera, a lambiccarsi il cervello nella poesia.

Ippolito — Per la solita ragione dei contrasti: il pranzo rappresenta la prosa.

Tomaso — La preferisco.

Ippolito — Siamo d’accordo. Tanto più che questa prosa era dettata da me con quell’abilità e quella raffinatezza che costituiscono due fra le tante mie doti preclare...

Elena — Che lei sia un compositore di menù insuperabile lo ammetto, ma mi lusingo anche che la modesta prosa che posso offrirvi, venga compensata con la spontanea manifestazione di un’anima poetica.

Alberto — (inchinandosi esageratamente) La mia.

Ippolito — Lei rovescia un proverbio: i versi non danno pane, ma un eccellente pranzo può dare dei pessimi versi.

Alberto — (ad Elena) Non gli dia retta. A me basta che lei mi comprenda.

Ippolito — Perderebbe la mia stima che è senza limiti.

Alberto — (alzandosi con comica solennità) Signora: le è più cara la sua stima o la mia poesia?... Non risponda. So che le è più cara la mia poesia, non fosse altro perchè costituirà tutta l’espressione della nostra stima collettiva. Ma dichiaro che per ottenere l’opera degna, il vero «Inno dell’ospite riconoscente» con rime, naturalmente, molto obbligate, abbiamo bisogno di silenzio e di raccoglimento.

Elena — Silenzio e raccoglimento? Ma allora ritiratevi nel mio studio.

Remigio — Un momento: noi ci ritireremo nel suo studio, ma l’avverto, signora, che quello studio è conciato in modo assolutamente riprovevole.

Elena — Come? Ho fatto eseguire puntualmente i suoi ordini...

Remigio — Riconosco che i mobili sono abbastanza fedeli ai miei consigli, ma la disposizione è tutta sbagliata. Ho data un’occhiata prima di pranzo e il mio senso estetico ne è stato schiaffeggiato!

Ippolito — Scendi sul terreno e procura di farlo uccidere. Il tuo senso estetico ci secca.

Elena — (a Remigio) La settimana scorsa lei non si è fatto vivo e ho dovuto rimediare da me.

Remigio — Malissimo. Doveva telegrafarmi.

Alberto — Rimedierai domani, non crucciarti! Per adesso, vieni a lavorare! E anche tu, Tomaso, non addormentarti. Scuotiti.

Tomaso — Chi dorme? Io penso. Quest’affare dei mobili m’impressiona. Era una spesa inutile.

Elena — Cara Eccellenza delle Finanze, il mio bilancio non subirà dei gravi ribassi, stia sicuro.

Tomaso — Che lei spenda per darci dei pranzi, lo ammetto, ma per comprarsi dei mobili, no. Ho ceduto per far piacere a Remigio che odia lo stile liberty, ma ne sono quasi pentito.

Alberto — Finita la discussione? Andiamo? (ad Adriana che è rimasta in disparte) Vuole farci compagnia, signora Adriana? Vuol essere la nostra ispiratrice, la nostra Musa?

Adriana — Preferisco non salire l’Olimpo, e aspettarvi.

Alberto — Sia fatta la sua volontà (entra nello studio, seguito da Remigio e Tomaso).

Elena — (dalla porta) Accendete la luce.

Ippolito — Perchè? I grandi misfatti si sono sempre compiuti nell’oscurità. Li chiuda a chiave.

(Elena eseguisce).

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