SCENA II.

Elena – Adrianae Ippolito

Elena — (a Ippolito) E lei, perchè non va ad aiutarli?

Ippolito — Le dispiace molto che resti qui?

Elena — Per niente.

Ippolito — Neanche a me. Questa poltrona è un poema, questo sigaro squisito, questo riposo dolcissimo.

Elena — Egoista!

Ippolito — Ha detto bene: di questo e di null’altro mi vanto. D’altronde la sua è la casa ideale, appunto perchè rappresenta il nido più completo dell’egoismo.

Elena — Grazie in nome della mia casa.

Ippolito — Non c’è di che. Ne vuole l’esempio? Noi siamo felici di correre qui, almeno due volte alla settimana, fuori del tumulto della vita e degli affari, prima di tutto per il piacere esclusivamente soggettivo di godere le delizie di una ospitalità senza limiti, poi per il piacere riflesso d’essere invidiati dagli esclusi: due brillantissime variazioni dell’egoismo.

Elena — Meno male che non velate la vostra bassezza.

Ippolito — Non creda di esserne esclusa.

Elena — Insolente!

Ippolito — Ma scusi: lei, perchè ha dato un addio al mondo e s’è ritirata a vivere in solitudine? Prima di tutto per il piacere di non aver seccatori fra i piedi; poi, per la impareggiabile gioja di potersi circondare di poche, brave, devote, simpatiche persone... noi stessi, sissignora. Ed eccole altre due brillanti variazioni dell’egoismo... suo, stavolta (voltandosi verso Adriana che è rimasta presso la veranda come assorta) Non ho ragione, signora Adriana?

Adriana — Scusi, non ero attenta.

Ippolito — Facevo l’elogio dell’egoismo.

Adriana — Oh! È abbominevole.

Ippolito — Diavolo! Che risposta secca e feroce! Io sono più generoso. Anche se non divido le idee altrui, quando posso le ammiro.

Adriana — Male! Non bisogna mai ammirare un’idea quando non si può abbracciarla.

Ippolito — Ha torto: esempio: io ammiro lei e non posso abbracciarla.

Adriana — Non se ne dolga: sarebbe una delusione.

Ippolito — Per me, o per lei?

Adriana — (ridendo ancora) Per me! Per me!!

Ippolito — Meno male che sono riuscito a farla sorridere, miracolo che nessuno di noi, stassera, aveva saputo operare.

Elena — È vero: sei di una tristezza desolante.

Adriana — Ne sai bene il motivo.

Elena — Ma t’ho pur suggerito il rimedio: si fa un telegramma e si resta.

Ippolito — «Caro marito, impossibile partire. Elena e compagni mi trattengono a viva forza. Cedo...»

Elena — (completando). «Baci, Adriana».

Ippolito — Ma sì! Ci metta anche i «baci». Con quattro soldi di più si può fare la felicità di un uomo. E c’è chi dice che la felicità costa cara!

Adriana — Non posso! non posso!... Ed è questo che più mi addolora. M’ero così bene abituata alla vostra vita!

Ippolito — Eh! lo capisco! Non si può rinunciare senza strazio all’incanto di questo piccolo paradiso! Qui c’è tutto. Tutto! Una padrona di casa che non qualifico, per non farla arrossire; un cuoco francese di primissimo ordine; un amministratore che ha l’aspetto prettamente inglese e si chiama Vladimiro senz’essere russo; alcuni servi che non parlano, una cameriera che parla anche troppo, e.... noi... Che cosa vuole di più?

Elena — (ad Adriana) Sei della sua opinione?

Adriana — Tanto che comincio ad ammettere quello che, appena arrivata qui, mi pareva assurdo.

Ippolito — Ma a noi tutti pareva assurdo, due anni fa. A tutti. Si diceva: Elena Baldi, la squisita, la elegantissima Baldi prende il velo della solitudine? E per un fatto semplicissimo: perchè le è morto il marito.

Elena — Ippolito!

Ippolito — Riferisco, signora Elena... riferisco. Erano le voci degli amici: lo sa.

Elena — Fossero state solo queste! La maldicenza mi ha irrorata da tutti i suoi rigagnoli: o salvarsi o annegare.

Ippolito — E fece come Noè: partì sull’arca, scomparve! Si diceva: partita?... Mah! Per dove?... Mah!... Qualcuno osava anche aggiungere: con chi?... Mah!...

Elena — Ippolito!...

Ippolito — Riferisco, signora Elena. Era il gracidar dei maligni. Un mah! generale, pieno di preoccupazioni, di cattiverie, di finto interessamento, di false premure! Nemmeno noi si poteva nè affermare, nè smentire. – Quanto tempo è passato? Non ricordo. So che il brusìo della folla, folla di amici, di nemici, di aspiranti, di respinti, o anche di semplici pettegoli, quella folla insomma che noi ci onoriamo di chiamare «il nostro mondo» finalmente si tacque, ed Elena Baldi non rappresentò che un ricordo e un enigma.

Adriana — È interessante.

Ippolito — Aspetti. Ora viene il bello. Immagina lei il nostro stupore quando in un pomeriggio – era di venerdì – ci venne recapitato un telegramma con l’augustissima firma?

Elena — Se lo ricorda?

Ippolito — Come se lo avessi davanti agli occhi: «Vi aspetto domani a Villalta». Lineetta e poi «Voi sì». E un poco più sotto «Elena Baldi». Punto. Il vero punto di partenza verso la felicità. Da quel giorno infatti abbiamo stretto qua dentro il più bel patto che si potesse ideare. La signora Elena, dopo un pranzo meraviglioso, fu creata regina. Noi ci siamo costituiti in Guardia del corpo.

Elena — E che guardia!....

Ippolito — Degna di tanto bel corpo.

Elena — Tirannica!

Ippolito — Per sua volontà.

Elena — Inflessibile!...

Ippolito — Per la nostra allegrezza!

Elena — Ma, in fondo, divertente.

Ippolito — Meno male.

Elena — Ne avete fatte delle pazzie!

Ippolito — Sempre per guarire la pazzia degli altri.

Elena — Ammette dunque che innamorarsi di me sia una pazzia?

Ippolito — È una pazzia innamorarsi, in generale. In particolare poi, cioè nel caso suo, la pazzia è doppia, perchè ci siamo noi pronti a creare l’ostacolo che non si salta.

Adriana — E tu lo permetti?

Elena — Non solo: lo voglio.

Ippolito — Oh! Così va bene! Questa affermazione di volontà è il riconoscimento perfetto della nostra importanza. Ah! perchè noi abbiamo un’importanza, sa, signora Adriana. Non ci creda degli esseri inutili.

Elena — Oramai mi avete troppo viziata, (ad Adriana) Lo credi? Non saprei più organizzare un pranzo senza l’aiuto di Ippolito....

Ippolito — (ad Adriana) Ed ha sentito che fior di pranzo stasera.

Elena — (continuando) Non saprei più scegliere un abito senza il giudizio d’Alberto...

Ippolito — (c. s.) E vede che questo che indossa è innegabilmente di pessimo gusto.

Elena — (c. s.) Non saprei più fare una spesa senza l’approvazione di Tomaso...

Ippolito — (c. s.) Il quale, imponendole la sua tirannica economia sul necessario, sta rovinandola coi minuti piaceri....

Elena — (c. s.) E se hai trovato nella mia casa un arredamento di buon gusto, è proprio perchè...

Ippolito — (interrompendola) ... abbiamo a viva forza impedito a Remigio di occuparsene.

Elena — (a Ippolito) Non faccia il maligno! Lei sa tanto apprezzare il valore dei nostri amici che non potrebbe staccarsene.

Ippolito — Sono loro che non possono staccarsi da me! Mi hanno nominato sfogatoio delle loro gioje e delle loro amarezze!

Adriana — (ridendo) Avrà il suo bel da fare!

Ippolito — La considero una missione, e divento evangelico.

Adriana — Ammetto il Vangelo, ma non ammetto che una donna, e una donna come Elena, possa rinunciare al resto.

Ippolito — Quale resto?

Adriana — L’amore!

Elena — Bisognerebbe che, come me, tu avessi data la tua giovinezza, il tuo entusiasmo, la tua passione ad un uomo che ti avesse fatta sbadigliare una vita insignificante perchè vuota e esteriore... Che rimasta sola, ti fossi guardata attorno non trovando che calcolo, desiderio, finzione, e allora converresti, amica mia, che questa è ancora la vera, la sola felicità. L’amore? Ma l’amore non esiste. O, almeno, io non so ancora che cosa sia. E bada che preferisco ignorarlo, semplicemente per non perdere la mia tranquillità prima, e non intristire nella delusione più tardi.

Ippolito — Bene! Alla porta i falsi innamorati! In due anni a quanti abbiamo fatto prendere il largo, signora Elena?

Elena — M’è mancato il tempo di contarli.

Ippolito — Uno sterminio! La distruzione intensiva delle «anime gemelle».

Adriana — Per sempre?

Ippolito — E lo domanda? Ma se un giorno vedessimo spuntare sul laghetto del parco Lohengrin in persona, lo affogheremmo per ghermire il suo cigno e farcelo servire in tavola con molta abbondanza di tartufi!....

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