Liberalità di Bertramo d’Aquino

La corte di Carlo primo d’Angiò, dopo la strage di Tagliacozzo e dopo che da un colpo di scure fu troncata l’adolescente baldanza di Corradino di Svevia, fioriva di nobili donne e baroni e cavalieri, e splendeva in magnificenza di conviti, danze, tornei e feste mai piú vedute.

A una di tali feste Bertramo d’Aquino, che tra i cavalieri del re aveva lode di singolar valore e cortesia, conobbe la moglie di Corrado Torrella, suo amico di molti anni, la quale era bellissima donna e si chiamava Fiola. E cominciando egli subito a vagheggiarla, in breve se ne innamorò in modo che non poteva pensare ad altro. E poichè madonna Fiola, non per freddezza di natura o per amor del marito o per sincerità di virtú, ma per diffidenza degli uomini e timore di scandalo e troppa stima di sé medesima, gli si mostrava aspra e fiera, messer Bertramo si perdeva ogni dí piú nel desiderio di lei e per lei giostrava, faceva grandezze, vinceva ogni altro cavaliere in gentilezza e liberalità.

Tutto invano: la donna era sorda alle sue ambasciate; gli rinviava lettere e doni; non gli rivolgeva uno sguardo. Ond’egli, che oramai non sperava piú nulla, nulla piú le chiedeva; e non sentendo alcun bene se non in vederla, triste e sconsolato, ma sempre con destrieri nuovi e mirabili, passava tutti i giorni sotto alle finestre di lei, e ogni volta che poteva vederla la salutava umilmente: essa moveva altrove i begli occhi.

Un amico, il quale vantava grande esperienza in conoscer le donne, confortava Bertramo:

— O madonna ha un altro amante, ciò che non sembra da credere, o finirà con innamorarsi di voi.

E Bertramo, con mezzi sottili, ebbe certezza che Fiola non aveva altro amante. Ma ella non cedeva, anzi diveniva piú rigida; sí che quell’amico esperto assai delle femmine avrebbe dovuto ricredersi se la fortuna, impietosita delle angosce del cavaliere, non avesse trovata una strana via per aiutarlo.

Un giorno messer Corrado condusse la moglie e una gaia compagnia di cavalieri e dame alla caccia del falcone, in una villa che aveva poco lungi da Napoli. E dopo esser stato con loro in piú parti senza molto fortuna, giunto a una valletta, che pareva fatta dalla natura per cacciarvi, disse tutto allegro:

— Ora vedrete se il mio sparviero sa spennacchiare!

Presto i cani si misero in traccia delle starne; e levandone un bracco un fitto drappello, egli fe’ il getto e gridò: – Guardate!

Lo sparviero, che era ben destro, scese di furia sulle starne frullanti e le disperse; una ghermí e stracciò e inseguí le altre, come un soldato valoroso che piombi sopra una schiera di nemici e abbattutone uno fughi e insegua i rimanenti.

— Come Bertramo d’Aquino, mio capitano, a Tagliacozzo! – disse messer Corrado.

E per dar ragione del confronto tra il suo caro sparviero e l’amico assai caro, narrò di questo le belle prodezze, quando l’avea veduto irrompere impetuoso nel furor della mischia.

— Certo – aggiungeva – non c’è alla corte e fuori chi uguagli Bertramo. Che modi e generosità! Anche il re gli vuol bene.

E di Bertramo seguitava a narrare piú geste e grandezze.

Madonna Fiola ascoltava attenta il marito; e le lodi al cavaliere, che aveva posto tanto amore in lei, le pungevano l’animo di compiacenza, quasi fossero lodi alla sua bellezza, se la sua bellezza aveva potuto accendere uomo cosí perfetto; e come le lusinghe della vanità nelle donne possono tutto, anche piegare a sensi miti le piú proterve, ella rivolgeva nel pensiero quante pene aveva sostenute Bertramo, quanto acerba noncuranza essa gli aveva dimostrata. E le pareva d’aver fatto male.

Potenza d’Amore! Già sentiva che meglio che una durezza superba e una fredda virtú soddisfaceva il suo orgoglio l’innalzare a sé il piú ammirato dei cavalieri, senza piú timore alcuno d’abbassarsi a lui. Nella esuberante sua giovinezza già serpeva un desiderio vago di consolazioni nuove e di nuove gioie suscitate e acuite, per lo spirito e per i sensi, dalla forza della passione e dalla fatalità della colpa. Sí! Era destino che amasse Bertramo d’Aquino; inutilmente, fino a quel giorno, aveva voluto resistergli. E tutto quel giorno pensò a lui; né sí tosto fu di ritorno a Napoli che si pose al balcone bramosa che egli, come soleva, passasse di là a riguardarla.

Lo vide giungere all’ora usata. Ratteneva il bizzarro puledro, e per quetarlo gli palpava il collo scorso da un tremito: salutò la dama, la quale smorta e palpitante risalutò, e parve sorridere; e a lui s’allargò il cuore e chiarí la faccia per súbita allegrezza.

Cosí Bertramo fu pronto a scrivere una lettera a madonna Fiola scongiurandola di commuoversi a misericordia e di procurargli agio a parlarle.

Rispose. Le era grato l’amore di lui, ma per l’onor suo e del marito non poteva nulla promettere, nulla concedere.

Riscrisse egli assicurandola che voleva solo parlarle, e che in ciò solo poneva la salvezza della sua misera vita. Rispose: venisse, ma a parlare soltanto, una prossima sera (e Fiola diceva quale) in cui Corrado, di ritorno da una caccia lontana e faticosa, sarebbe andato a dormire per tempo.

Ecco finalmente la sera del convegno; limpida sera estiva. Bertramo s’era dilungato assai fuori della città quasi ad affrettare, a incontrar l’ora invocata e troppo lenta a discendere. E quando le ombre confusero le cose e le stelle si specchiarono nel mare pensò: – Fiola m’aspetta –. Ma non tornò indietro, ma sentí vivo il piacere d’essere atteso, egli che dell’attesa aveva patita tutta la pena. Pure il maligno compiacimento fu breve, e se ne dolse. Rivolse il cavallo e gl’infisse gli sproni nei fianchi: via, di aperto galoppo e di piena gioia, come all’assalto!

Intanto Fiola, visto che ebbe il marito addormentato nel profondo sonno della stanchezza, corse a socchiudere la porta dalla quale doveva entrare l’amante. Ascoltò: nessuno. Allora dalle aiuole e dalle macchie si die’ a raccogliere alcuni fiori e li componeva in mazzo, pensando.

E alla mente di lei, che con la fantasia si spingeva da un pezzo a pregustare le voluttà del suo dolce amore, ecco balenar il dubbio di esser precipitata nella vendetta di messer Bertramo. Troppo duramente e troppo lungamente lo aveva fatto soffrire; temeva, se messer Bertramo mancasse per inganno al convegno, esser fatta gioco di lui. E se egli non aveva l’animo che suo marito aveva vantato, non diventerebbe, lei, con acerbo dolore e vergogna, ludibrio non solo di lui, ma de’ suoi amici e di tutta la città, lei, la virtuosa donna di messer Corrado? Ah! si vedeva accomunata dalla colpa e dallo scherno a quante dianzi spregiava, e si doleva d’esser caduta dalla sua casta fierezza, e malediceva il suo destino.

Ma ascoltò: – Eccolo! – Gettò i fiori sul sedile; rapida e lieta fu incontro al cavaliere che entrava e gli aperse le braccia sorridendo e sospirando: – Sono stata in affanno!

Messer Bertramo la strinse forte. – Mercé dunque del suo grande amore; pietà, o madonna Fiola, dei suoi lunghi travagli! – Le parole di lui erano ardenti non meno che gli sguardi di lei; e a lui pareva che ella avesse una luce intorno il capo biondo, e a lei pareva ch’egli fosse ebbro d’amore.

Sedettero. Ella, tremante, strappava le corolle dei fiori che aveva raccolti e deposti, e le lasciava cadere a una a una, senza saper perché. Lo sapeva messer Bertramo, che essa gettava cosí i fiori dell’anima sua, per lui; a terra, per lui! E, palpitante, le rivolgeva i motti piú dolci; a cui ella rispondeva: sí. Ma meravigliandolo tale accondiscendenza in Fiola, il cavaliere ebbe anche voglia di conoscer da lei perché fosse stata tanto rigida un tempo e qual cagione l’avesse indotta da poco a consolarlo.

Essa mormorò: – Io non v’amava. Ma mio marito, un giorno che eravamo alla caccia insieme con molti cavalieri e gentildonne, osservando un nostro bravo falcone precipitare addosso alle starne e scompigliarle tutte, si ricordò di voi, e disse che come il falcone alle starne aveva visto far voi ai nemici, nella battaglia. E ricordò tutto il vostro valore e giurava che nessuno potrebbe mai superarvi in cortesia. Allora io mi pentii d’avervi fuggito quasi mala cosa; e ora son vostra.

Udite le parole della donna, messer Bertramo stette silenzioso e raccolto in sé stesso. A lungo tacque, in una dolorosa concitazione di pensieri e d’affetti. Poi, con uno sforzo che parve e fu supremo, perché egli rifiutava il bene non di quella sera, ma della sua giovinezza, ma della sua vita, si levò in piedi e esclamò

— Non sarà mai ch’io offenda vostro marito, se mi ama cosí e ha tanta fede in me!

E tolte di seno alcune bellissime gioie, le porse alla donna pregandola di serbarle per sua memoria. Indi aggiunse: – Per memoria di voi, voi datemi, madonna, il primo e l’ultimo bacio.

Madonna Fiola Torrella turbata molto, per nuova ammirazione dell’animo del cavaliere o piú tosto per vivo rammarico del perduto amore, gli concesse quel bacio; e messer Bertramo le disse addio e partí.

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