Non ci pensò piú affatto. Aveva tante altre cose piú importanti per il capo! Poi, dopo parecchi mesi, essendosi finalmente fidanzato all’ereditiera e volendo offrirle un primo pegno d’amore, le presentò, una sera, il cofano gentilizio: vi scegliesse il gioiello che piú le piaceva. Certo ella sceglierebbe quel che a’ suoi occhi attesterebbe meglio la nobiltà della famiglia di cui stava per assumere il nome.
Con lo sguardo intelligente e indifferente la fidanzata esaminava a uno a uno anelli e monili, braccialetti e fermagli. Guardava e non sceglieva.
Ma aperta una scatoletta, esclamò curiosa:
— E questo?
Aurelio Contralbi, che non aveva fatto in tempo a sviarle la mano e lo sguardo, arrossí un poco; e si affrettò a rispondere:
— È una moneta veneta del cinquecento...
— MARINGRI? – decifrava la sposa rivoltando lo zecchino e valutandone, dalla effigie, l’antichità.
— Marin Grimani – chiarí, già tranquillo, il conte –: un doge che fu amico d’un nostro antenato.
Per poco non aveva detto a dirittura: amico del conte Prospero Contralbi!
— Oh! questo, questo mi piace! – esclamò l’ereditiera. – Dammelo, Aurelio! Lo voglio!
E lo volle. Perché quello zecchino, piú che la piú preziosa gemma, le pareva attestar la nobiltà della famiglia di cui stava per assumere il nome.