UN’OPERA DI PIETÀ

Anastasio Bonesi, uno dei mercanti piú noti a Bologna e in Romagna, aveva presa in moglie una giovane di nome Valeria; la quale era molto bella, di buoni costumi e cosí prudente e accorta che nelle faccende della mercatura aiutava e consigliava lei stessa il marito. Cristina invece, la sorella di Anastasio, era vana e di mente corta, e credendosi non meno bella che la cognata e sapendosi, al paragone, meno lodata di lei, avrebbe voluta umiliarla, e per coglierla in fallo ne spiava i passi, gli atti, i discorsi. Ma Valeria attendeva ai figlioli e agli interessi della famiglia senz’altro pensiero.

A Bologna viveva in quel tempo messer Anselmo Canetoli, un giovane ricco e di nobiltà antica, a cui non isconveniva una lusinghiera rinomanza nelle cose d’amore.

Questi, mentre, con due amici, una sera dopo i vespri, andava a diporto per una contrada, s’imbattè in Valeria che insieme con la cognata e con un figlioletto per mano tornava dalla chiesa vicina, e si fermò a osservarla dicendo: – Ecco la piú bella donna che si possa vedere a Bologna; e io non l’avevo mai vista!

— Ma è una mercantessa – disse uno degli amici, con tono beffardo. – Ed è onesta – aggiunse un altro con tono a un tempo provocatore e maligno.

Messer Anselmo tacque. Quasi temesse l’accusa d’una voglia troppo bassa per lui, non parlò piú con nessuno di quella borghese che aveva due occhi stellanti e nell’aspetto e nelle forme gli pareva avere la severità gentile di una matrona.

Ma quando la impressione prima della beltà di Valeria gli si fu approfondita nell’animo e nella fantasia cominciò a ricercarne e ad accarezzarne la bella immagine, gli risovvenne del sorriso con cui uno degli amici gli aveva detto – è onesta –, e pensò che tal fama gli scuserebbe l’umiltà dell’impresa.

Si mise dunque a vagheggiare la donna e a seguirla per ogni luogo e a passare sotto le finestre di lei. Ella non lo guardava, o lo guardava senza intenzione. Lieta invece lo vedeva e l’attendeva la cognata Cristina, la quale convinta d’avere acceso della sua bellezza un tal gentiluomo, non capiva piú in sé dalla gioia. Di che messer Anselmo s’infastidiva come di un impedimento al suo fine e tentava altre strade per giungere ad esso.

Gli bisognavano piú cose nel suo palazzo; andò da Anastasio, a comprarle. Anastasio lo condusse a casa sua nel magazzino; ma Valeria non c’era. Quindi messer Anselmo riuscí a dimesticarsi una vecchia in cui, come parente e donna assai religiosa, Valeria riponeva molta fiducia; e l’indusse a chiedere a madonna Valeria perché cosí ripugnasse dal suo amore e perché s’egli per via le rivolgeva qualche parola, ella non gli rispondesse neppure, o, se le mandava qualche lettera, la rifiutasse. La parente, sedotta dall’oro, promise l’opera sua; e con molti preamboli e con lunghi avvolgimenti cercò di persuadere la donna, non già affinché si disponesse a commettere il male, ma affinché non divenisse causa di guai a sé e al marito con quell’aspra freddezza che offendeva un signore quale Anselmo Canetoli. Non poteva essa, pur resistendo, mostrare almeno di compatirne il grande amore?

Furon parole! Madonna Valeria rispose: – Ditegli che io non gli voglio né bene né male: che io ho da attendere alla mia famiglia e a nient’altro. Lasciate che mi cerchi o cerchi di farci del danno: la verità è come l’olio; e, grazie a Dio, non abbiamo bisogno delle sue ricchezze perché io debba perdere il mio buon nome dietro le sue smanie.

L’impresa diventava difficile; piú degna di messer Anselmo. Anzi lo turbarono l’orgoglio ferito e la brama acuita da quel diniego cosí placido e fermo, e lo spinsero, benché esperto e avveduto, all’assalto piú audace.

Col pretesto di cercar di nuovo Anastasio Bonesi s’introdusse nella casa di lui in ora che la moglie era sola. E alle sue preghiere e a’ suoi lamenti e all’esagerazione stessa della sua passione Valeria non contrappose lo sdegno: non contrappose nemmeno l’incredulità: oppose un rifiuto freddo e quieto ma tenace e irremovibile. L’assalto fu ributtato. E la volontà del giovane baldanzoso urtando per la prima volta con una volontà piú salda, non si sostenne e non insisté. Egli si dissimulò la propria debolezza; rise; volle dimenticare nei sollazzi e nelle orgie quello stolido capriccio inesaudito. Ma quando piú la giocondità e i piaceri gli fervevano attorno, gli appariva piú bella la serena e severa imagine di Valeria, e quasi per i sensi disposti ad altre gioie gli penetrasse piú vivace e sottile il desiderio di quel bene perseguito invano, tutte le dolcezze gli tornavano amare, tutti gli svaghi gli recavano un’intollerabile noia.

E piú soffriva essendo per costume un disordinato amante, che solo al piacere sensuale limitava l’intento dell’amore e della vita; e mentre imaginava e meditava la bellezza di Valeria, guardandola nel suo fisso pensiero si diceva con raffinata cupidigia: – Oh! possederla! e, dopo, morire.

Ma per quanto si rimproverasse d’aver corso troppo e si ripetesse che non era stato abbastanza astuto e fermo, non ardiva ritentare l’impresa. Comprendeva che madonna Valeria non avrebbe acconsentito mai, per ostinazione di coscienza o, peggio, per ostinazione di natura. Cosí il pensiero di lei s’impadroní solo e assoluto della sua mente e diventò doloroso. Cosí le dimande e i sorrisi dei compagni, che gli leggevano in faccia la cura segreta, a lui sembravano oltraggi; a lui, che un tempo aveva sin nascoste le proprie fortune d’amore, riusciva ora d’umiliazione e vergogna dover mentire o lasciar travedere un’acerba sconfitta, quasi la sconfitta d’un capitano reputato invincibile.

Si sottrasse agli amici; rinchiuso in casa s’abbandonò del tutto al suo cupo e inconsolabile affanno. L’insonnia cominciò a consumarlo e la febbre, una febbre sorda, a limargli le forze. Quell’idea fissa gli struggeva il cuore, la giovinezza, la vita.

Meglio morire, oramai. Ma quando sentí che l’approssimava la morte, si riscosse, spaventato, in un impeto di desiderio: – Vivendo, chi sa che non conseguisse un giorno, una volta sola, il bene per cui s’era dato alla disperazione?

E sperava. Sperava e s’era ridotto a tal punto per disperazione! Delirava.

Delirando, tra le forme confuse e strambe di persone conosciute intorno a Valeria, una volta sognò anche la vecchia bigotta, la parente del mercante che egli si era amicata invano; e tornato in sé stesso mandò a chiamarla perché riferisse a Valeria la sua misera condizione. Quella accorse, e a trovarlo piú morto che vivo capí come per suo profitto le rimaneva un tentativo solo e innocente.

— Messere – chiese –, volete che madonna Valeria venga a vedervi?

— Oh sí! – rispose l’infermo –. Mi potrebbe guarire.

Poco dopo la vecchia diceva a madonna con aria di severità:

— Valeria, tu sai che quel poveretto muore per te. Per la sua pazzia Dio lo castiga cosí; ma noi non dobbiamo godere che abbia del male chi intendeva farci del male: dobbiamo perdonare e venirgli in aiuto. Io l’ho visto, l’ho udito, e per l’amore dei tuoi figliuoli e per l’amore di Dio ti chiede d’andar da lui. Vuoi acquistarti del merito visitando un infermo e perdonando a chi cercava tirarti al peccato? E tu va. Non vuoi? E tu mettiti in pace con la tua coscienza, e rimani.

Valeria tacque a lungo, riflettendo; poi sospirò e disse:

— Voi avete ragione: bisogna che vada. – E incaricatala di tenere in ciarle la cognata Teresa e di badare ai figlioli, si vestí in fretta e uscí di soppiatto.

Intanto Anselmo attendeva, ma la speranza stessa gli era di fatica e di pena; e una sonnolenza grave e fantasiosa l’avvolse. In questa egli vide la morte. La morte, quale con freddo terrore da fanciullo aveva spesso considerata dipinta, tutta ossa, con uno sguardo nero nelle orbite cave e profonde e con un infernale sorriso tra le mandibole lunghe e dentute, s’avanzò scricchiolando con la mano tesa, quasi per toccarlo su ’l cuore, e pareva che dicesse: basta!

Egli si ritraeva con terrore freddo, gemendo. Ma la mano del mostro ricadde; dalle orbite cave lampeggiò una vivida luce come di due occhi di donna, e per virtú di tal luce lo scheletro a poco a poco rivestí umane forme e di donna innamorata ricevette a poco a poco la sembianza, il colore, il sorriso e una meravigliosa bellezza.

Al portento, l’infermo dié un grido di gioia. E scorse china su di lui madonna Valeria.

— Messere – ella diceva –, voi avete vinto il piú duro assalto del male. – E gli tergeva la fronte soavemente.

— Dio vi rimeriti – mormorò Anselmo, che si sentiva alleggerire e ristorare da una forza rinnovatrice di tutti gli spiriti. – Foste cattiva....; oggi, no.

La donna arrossí e disse: – Volentieri sono venuta a vedervi; ma che cosa posso fare di piú?

Alla dimanda il viso di Anselmo tornò sofferente e rispose: – La mia vita è la vostra –. E aggiunse: – Se mi contentaste, dopo non mi vedreste mai piú, non udreste mai piú parlare di me.

— Voi non pensate all’anima vostra – ribatté la donna –, all’anima mia!

Anselmo ripeté: – La mia vita è la vostra. Per Cristo morto in croce, non dovreste ammazzarmi!

Tacquero. Indi l’ammalato sospirò: – Lasciatemi dunque morire –; e abbassò le palpebre.

Madonna Valeria ebbe paura: cosí, con gli occhi chiusi, nella penombra, l’infermo pareva un cadavere; e a lei in quei minuti lunghi di angoscia sembrò di sentire su la coscienza il peso del delitto che ancora non aveva commesso. Ella si dibatteva perché non voleva fallare, e avrebbe voluto concedere il bene invocato. E mentre pensava, udiva l’affanno di Anselmo. – «Cedendo il corpo non salvava forse un uomo? E non cedendo l’anima chi avrebbe potuto incolparla d’infedeltà?»

Sopraffatta da questo pensiero e vinta, disse, con voce tremante: – Messere, fra un mese, la sera del sette settembre, che mio marito deve andare a Firenze, verrete da me: vi prometto che v’aspetterò al portone dell’orto. Ma giuratemi che, dopo, non mi cercherete mai piú.

Anselmo Canetoli giurò. Avrebbe, dopo, abbandonata Bologna per sempre.

Ma appena fuori di quella camera e di quella casa, quasi al lume e al rumore della strada ricuperasse la conoscenza e la misura della realtà, madonna Valeria sentí il turbamento, l’amarezza, il rimorso del fallo in cui era caduta, e giunta a casa sua, piena d’ira e smaniosa, cominciò a raccontare alla vecchia ciò che pur troppo aveva fatto e che pur troppo aveva detto. La parente dissimulava la sua gioia tra le esclamazioni e i sospiri e la confortava. – In tal caso strano chi si sarebbe comportata altrimenti? Dio, che perdona le colpe piú gravi, doveva perdonare la colpa commessa a fine di bene. – E, confortandola, per curiosità le chiedeva tuttavia particolari del fatto e spiegazioni; onde apprese fino il giorno e il modo del convegno. Anzi l’appresero in due, perché Cristina, che aveva vista la cognata uscire pensierosa e tornare con in faccia il segno d’una sventura, fiutando il mistero s’era messa ad ascoltare dietro una porta, e, come accade sempre a chi ascolta di nascosto, imparò e indovinò proprio quello che meno s’attendeva e voleva. Non di lei, ma di Valeria messer Anselmo era innamorato; innamorato al punto che Valeria, per compassione di lui, avrebbe tra un mese disonorato il marito! Arrabbiata pertanto e sconvolta dall’odio, deliberò di vendicarsi; e la sera del medesimo giorno rivelò al fratello tutto quanto aveva appreso.

Anastasio alla notizia rimase come a un colpo di mazza sulla testa. Ma tosto si riebbe e si contenne; finse di non crederci; minacciò la sorella che guai a lei se ripetesse la cosa con qualcuno. E tanto gli premeva il suo nome e sí poca fede aveva nella segretezza e nella benignità di sua sorella, che pochi giorni dopo la mandò a Pianoro presso un cugino.

Quetato in questo, Anastasio poté cercare il partito piú acconcio per impedire che la moglie fallasse e nel medesimo tempo per sorprenderne l’intenzione di cui voleva punirla; per scoprire la verità, ma anche evitare uno scandalo e, non essendo uomo uso a spada o a pugnale, evitare danni piú grandi. E dopo molti disegni risolvette di travestirsi e di penetrare lui nell’orto prima dell’amante, la sera del convegno.

Oh come trascorrevano lenti i giorni per il misero uomo, e che fatica durava a celare il suo travaglio! E madonna Valeria penava al pari di lui. Non c’è donna però cosí onesta che non volga l’animo, sia pure in fugaci abbandoni, agli stimoli della vanità; ed essa udendo che messer Anselmo aveva ricuperato vigore e salute e già usciva di casa, non poteva non sentire in sé stessa il merito di averlo guarito e non pensare che molte belle donne ne sarebbero state orgogliose. Pensieri cattivi; e per scacciarli Valeria ricordava il marito e l’amore di lui; e ricordava anche il torto della sua brutta promessa. Con la ragione combattuta e la coscienza affannosa, o non dormiva, la notte, o non dormiva tranquilla.

Venne, come a Dio piacque, la mattina del giorno temuto dalla bella donna, sospirato da Anselmo Canetoli e maledetto da Anastasio Bonesi. E questi, detto addio alla moglie, con tutte le sue robe se n’andò in un luogo poco lontano ad aspettarvi l’ora di tornare travestito a casa.

Valeria socchiuse il portone dell’orto per tempo. Ma il diavolo, che spesso si diletta di trascinare con disagio ai suoi fini, mandò proprio quella sera due mercanti romagnoli in cerca di Anastasio Bonesi; e la moglie, come al solito, dovette ospitarli.

Preparò in fretta la cena. Poi uscí; e scorta l’ombra che credeva l’amante, gli si accostò risoluta dicendo piano: – Son qui.

Egli tese le braccia. Ed essa: – Siete guarito?

Il marito rispose come meglio seppe, ma, povero marito!, non rispose cosí piano e non con tale simulazione e sicurezza che con súbito orrore la donna non scoprisse chi era. Anastasio! Tradimento; infamia! Ingannata, lei si sentí offesa, e in diritto di vendicarsi, e in dovere di mantener la parola e compiere l’opera di pietà che l’insidia del marito le sembrò del tutto giustificare. Doveva salvar le apparenze della dignità e della virtú? con la sagacia doveva, dissimulando, contrapporre inganno all’inganno? Pregò dunque l’altro di pazientare che certi suoi ospiti romagnoli andassero a letto, sicché senza sospetto lor due potessero restare insieme. E l’introdusse nel magazzino, che chiuse a chiave. Indi corse nell’orto; aprí il portone dietro cui l’amante già imprecava alla lealtà delle donne, e facendogli segno di tacere e di seguirla, lo condusse in una stanza vicina.

Anselmo Canetoli era quale un uomo riarso di sete in un dí canicolare che giunga a una fresca sorgiva; Valeria era quale una donna in cui l’ira sta per divorar l’animo ma ch’è pur sempre, in coscienza, onesta.

Essa pensava: – Quanto bene mi vuole! Mio marito, che ha tal fede in me, si meriterebbe che non lo lasciassi andare mai piú. – Ma fu impietosita dalla stessa opera di pietà, e rinsaví tosto, e disse: – Messer Anselmo, mantenete la vostra parola come io la mia. Andate, e non pensate piú a me!

Anselmo sospirò. Vincendosi, le ripeté ch’ella non l’avrebbe mai piú riveduto, sebbene la ricorderebbe in ogni luogo e per sempre. E partí.

A Valeria restava ora da pacificare Anastasio; da togliergli ogni dubbio su la sua fedeltà. A poco a poco, ricuperandosi, essa comprendeva che le era debito davvero confortar anche lui. Nè fu per cattiveria se ricorse a uno strattagemma crudele. Non trovò miglior strattagemma; e tutt’angosciosa venne dove erano i mercanti e disse loro: – Ajutatemi! Un giovane, che mi sta attorno da un pezzo, è qui in casa con brutta intenzione. Voi gli insegnerete a non disturbare le donne degli altri.

I due balzarono in piedi; essa li accompagnò al magazzino. Ove entrati, quelli gridarono: – Ah cane! Ah vigliacco! Ti daremo noi l’andare attorno alle donne degli altri! –; e, secondo il costume dei romagnoli, non avevano finito di minacciare che già tempestavano Anastasio di pugni e di calci. Per farsi riconoscere, il misero gridava, bestemmiava, pregava. E fu riconosciuto dopo che fu tutto pesto; ma i mercanti non lo riconobbero con meraviglia minore del vederlo fra le braccia di madonna Valeria domandando perdono e chiamando sua moglie la piú virtuosa e piú saggia donna del mondo.

Madonna Valeria si fingeva stordita e chiedeva: – Come? Siete voi? Dov’è dunque colui?

— Sta sicura – rispose Anastasio, felice –: ho chiuso io il portone dell’orto!

E cosí, finalmente, madonna Valeria, poté dormire tutta la notte d’un sonno tranquillo e pieno; potè riposare la sua buona coscienza nell’opera di pietà che aveva compiuta. Quella d’aver convinto, a quel modo, il marito della sua virtú, per risparmiargli i tormenti della gelosia e la certezza del disonore?

No: l’altra.

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