VI.

A scorgere Celso così mutato, pallido, con gli occhi or vaghi ed or fissi come in contemplazione, il conte dubitò che, per l’assiduo ammonimento di mirare in alto, il giovine fosse colto da un accesso di misticismo e si fosse destata in lui la vocazione di farsi frate. Per fortuna, una mattina mentre prendeva il caffè e latte, se lo vide davanti ancora diverso; in posizione di «attenti!», con l’aspetto dei grandi propositi; con la energica decisione dell’eroe o di chi ha perduto la testa.

— Signor conte – disse calmo –; vado allievo sergente, in cavalleria.

Soldato! Un colpo di mazza sul cranio! Ma non una di quelle mazzate che stordiscono; no: di quelle che spalancano tutte le finestre cerebrali a una luce repentina, inattesa, illimitata. Al filosofo s’illuminarono il passato, il presente, l’avvenire: il passato suo proprio, l’avvenire di Celso, il presente di tutti e due.

Oh portento! Soldato! Soldato d’Italia! Ecco l’inclinazione latente, rivelata a un tratto! Di chi? di Celso? solo di Celso Dondelli? No, no: anche di lui, del conte Mauro Agabiti! La capiva adesso, di colpo, quale era l’inclinazione sua propria, adesso che aveva manifesta, improvvisamente e finalmente, quella del suo allievo!

E il generale Agabiti avrebbe potuto fare onore alla patria; ne era sicuro. E sentiva l’amarezza del bene non mai goduto e perduto per sempre; del bene conosciuto troppo tardi. Per qual causa? Per qual colpa? Chiese, d’impeto:

— Chi, che cosa ti spinge, te, alla milizia?

— Una donna – Celso rispose senza esitare.

Fortunato giovane!

Il giovane infatti aggiungeva:

— Vuol sposare un capitano di cavalleria. Io divento sergente, sottotenente, tenente, capitano; e....

— Alt! – interruppe il conte Mauro –; come si chiama.... lei?

— Amelia.

Celso si aspettava un nuovo scatto, una impressione visibilmente profonda di meraviglia. Il filosofo invece parve rassegnarsi subito, quasi si trattasse di un decreto della Provvidenza. Non mosse che un’obiezione.

— Quando tu sarai capitano mia nipote avrà già marito da anni e anni. Chi vuoi che la tenga?

Il giovane sorrise.

— Lei! – fece tendendo l’indice verso il suo protettore.

Questi chinò il capo mormorando:

— Speriamo che la storia finisca bene per tutti; anche per Gedeone.

Venne il dì dell’addio.

— Tu non mi scriverai – disse il filosofo. – Non voglio. Io t’impongo un ricordo, osservabile, tangibile, sensibile, continuo e forte. – E gl’introdusse un anello di ferro nel mignolo della destra; il chiodo della scottatura piegato a cerchietto.

— Quando sarai al punto buono – conchiuse il conte –, portami o mandami il chiodo, e se l’Amelia sarà anche lei al punto buono.... Via!, dammi un bacio.

.... Così a Celso, prima di partire, non restarono da baciare che suo padre, Gedeone e la Cleofe.

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