VII.

Quasi un anno dopo che la guerra era scoppiata in Libia e qualche mese dopo che Celso Dondelli era laggiù, entrando nella bottega di Dondèla, il vecchio conte non chiese, al solito: — Notizie?

Si abbandonò sulla seggiola e mormorò:

— L’ora è giunta.

Intimorito, domandò il fabbro:

— Per Celso?

— Per me.

Ma s’ingannava pur questa volta, povero filosofo! Per Celso l’ora era già giunta (ed egli non lo sapeva); per lui doveva tardare non poco. Lo portarono a casa apopletico.

Come, trascorso assai tempo, a forza di cure, poterono trarlo dal letto.... che tristezza! Nella poltrona, con la testa reclinata allo schienale pareva obbligato, adesso, a mirar sempre in alto; e tentava al contrario di guardare in giù, quasi cercasse d’intorno, nella realtà, le immagini che gli vaneggiavano nel cervello infermo.

Che tristezza! E come lunga!

E un giorno venne al palazzo Agabiti un tenente di cavalleria, il quale disse di dover parlare al conte prima di ripartire per Tripoli. Si presentò l’Amelia; lo stato dello zio non permetteva nessun colloquio.

Ma l’ufficiale insistè. Se il malato non aveva perduto del tutto la conoscenza egli, per incarico di Celso Dondelli, caduto in battaglia presso a lui, aveva da consegnargli una cosa attesa e cara.

La signorina raccomandò, pregò:

— Non gli dica che è morto. Tanto....

Poi lo introdusse. La Cleofe dietro alla poltrona sorreggeva il debole capo.

— Guarda, zio, – disse l’Amelia.

Un breve silenzio. Finchè lo zio sorrise, quasi ridesto dall’erroneo riconoscimento.

— Ah! Sei tu?... Il chiodo?

— Eccolo – disse l’ufficiale, mentre la signorina susurrava:

— Lasciamolo nella sua illusione!

Il vecchio chiamò: — Amelia!

— Son qui, zio.

— Celso!

L’ufficiale ne comprese, dalle mosse più che dalle parole, l’ultimo volere. E mise l’anello nel dito che la signorina gli tendeva ripetendo: — Lasciamolo nella sua illusione.

Allora la Cleofe ruppe in pianto.

Ed era passato un altro anno quando il tenente di cavalleria, vicino alla promozione a capitano, tornò al palazzo Agabiti. Disse alla signorina, erede del conte: — Quella che fu illusione estrema di suo zio non potrebbe essere realtà per noi?

La signorina Amelia considerò l’anello che aveva nel dito; sollevò i begli occhi a mirare in alto e:

— Quando sarete capitano – rispose –. Questo era il patto.

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