III.

Oh! dargli una prova che il pensiero di lei non lo abbandonerebbe mai più: sua per la vita e per la morte! Quante volte la morte lo aveva rasentato!; e perciò essa lo amava, ora, di più.

— Un giorno – raccontava Giulio – una nespola abbastanza grossa cadde proprio sul mio carro, s’internò fra i sacchi. Se scoppiava, addio Ida!

Essa, mentre egli parlava, mutava colore; egli sentiva fredda la mano che stringeva nella sua. E si guardavano negli occhi sorridendo.

Era arrivato, Giulio, la mattina. Un saluto ai suoi, ed era corso da lei. E discorrevano, soli, davanti al fuoco. Guardandosi riconoscevano il loro amore più vivo, più forte, più buono; le parole che dicevano, vibravano di un sentimento che ne superava il senso e il suono: così profondo e così grande che il silenzio e la luce degli occhi parevano esprimerlo meglio; e di quando in quando tacevano e si ascoltavano, finchè il silenzio diveniva una pena. L’Ida allora interrogava; ma non una delle domande gli fece che le amiche si sarebbero immaginate gli rivolgerebbe per gelosia. E lui, quel ragazzone di ventiquattro anni, che aveva una infantile dolcezza negli occhi chiari e aveva nel viso la serenità di un animo saldo e di una mente padrona di sè, lui non solo non dava segno di aver dubitato o di dubitare, ma dimostrava, a vederlo, che vicino a lei, nulla, nessuno al mondo avrebbe potuto turbarne la fiducia e l’amore. Nè lui nè lei dimenticavano intanto che la felicità era breve; che sarebbero di nuovo divisi, e sentivano che a soffrir meno dopo il nuovo distacco avrebbero dovuto fermare per sempre, nella memoria, quegli istanti gioiti. Come? Con una prova d’amore indissolubile, superiore a ogni lontananza, a ogni timore, a ogni evento; superiore a quella stessa felicità che il cuore palpitando e la mano stringendo la mano promettevano nell’avvenire.

— Ho da farti una confidenza – Giulio disse a un tratto.

— Anch’io.

— Prima io! Sai che trasporto non solo munizioni e materiali, ma feriti e morti?

— Non me l’hai mai scritto.

— Certe cose a voi donne è meglio non dirvele; ci piangete sopra o le esagerate.

— L’Adriana, sì, e l’Olga! – esclamò la ragazza –; a me fan rabbia per questo!

Senza badarle egli seguitò: — Dopo una avanzata, avevo avuto l’ordine di raccogliere i feriti austriaci e portarli, dalla prima linea, giù, al posto di medicazione; di dove le autoambulanze li trasferivano alle sezioni di sanità.

Descrisse il camion attrezzato, con le barelle sospese al di sopra per i feriti più gravi e le panche, sotto, per i meno gravi; insistè a dimostrare come era il luogo delle prime cure.

— Una casa di là dalla strada, al riparo dalle altre, tutte scoperchiate e rovinate. E stando col carro nella strada noi non vedevamo quelli dell’infermeria, e non eravamo visti.

— Ho capito – ripetè l’Ida.

— Io e il mio compagno, il meccanico, calavamo a terra, nelle barelle, i feriti; due soldati venivano a prenderli, a uno a uno. Ma non era finita la musica; squassava ancora l’aria il rombo di qualche cannonata e allora i feriti leggeri, che pensavano d’essersela cavata con poco e che forse avevano combattuto da bravi, si prendevano una gran paura e si raccomandavano:

— Jésus! Jésus!

L’Ida rise; ma chiese subito:

— E quelli più gravi?

— In una delle barelle ci avevamo un ufficiale, giovine; bel giovine! Moriva, e lo lasciarono lì, vicino al camion. Tanto, non c’era più niente da fare. Portarono via prima tutti gli altri; e si allontanò anche il mio compagno. Non avevamo mangiato dalla mattina, e andò all’infermeria a cercar del pane. Io, rimasto solo, stendevo una coperta da campo su quel disgraziato; quando riaprì gli occhi, e mi guardò. Voleva dirmi qualche cosa. Capirlo! Io capii che cercava di spiegarsi in italiano, ma lo spasimo delle ferite e la morte che arrivava gl’imbrogliavano la memoria.

L’Ida tacque ansiosa.

Finalmente si toccò con la mano destra il petto e con uno sforzo riuscì a dire: — Qui.... moneta, vostra. Carte, no. Fuoco, prego.

— Voleva che tu le bruciassi.

— Ah come disse «prego»! Preghiera di moribondo, pensai io. Gli apersi la giubba, tolsi il portafogli. E, nell’atto, il sangue mi si gelò nelle vene. Se qualcuno mi vedeva? Potevano vedermi i soldati che tornassero per portar via anche lui; o il mio compagno; o qualche altro camion di passaggio. Ladro! Sarei parso un ladro! E non era ancora morto!

— Che momento! – esclamò l’Ida.

— Mi sentivo cento occhi addosso; ma una idea mi rincorò; cavai le carte; lasciai i denari; rimisi il portafogli nella tasca. Non avrebbero potuto più dire che rubavo!

— Facesti bene. E le carte?

— L’angustia fu tale che non mi accorsi nemmeno che era spirato. Quando me ne accorsi, gli chiusi gli occhi, e gli tirai la coperta sul viso.

— E le carte?

— Le ho qui, con me....

Erano alcune lettere di mano femminile, in una busta; una fotografia e una ciocca di capelli biondi.

— Com’è bella! – esclamò l’Ida considerando, presso la finestra, il ritratto della giovine donna. Ma la sua ammirazione crebbe quando, sciolto il filo di seta che stringeva la ciocca, s’avvide che solo tre capelli bastavano a comporla, tanto erano lunghi! Disse: – Sono più belli dei miei.

Giulio scosse il capo e ribattè, serio:

— No; noi italiani preferiamo i capelli neri e lucenti, come i tuoi.

E ritornarono al focolare. Ripigliò lui:

— Bruciar tutto. Perchè?

— Volontà di moribondo.

— Perchè distruggere? – Giulio domandò.

— Si indovinerebbe dalle lettere, chi sapesse leggerle.

— Ho un superiore che lo conosce, il tedesco, ma non gliele ho mostrate.

— Hai fatto bene – disse l’Ida. E soggiunse: – Forse temeva, quel poveretto, che un giorno, se verrà la pace, le lettere e i ricordi fossero rimandati al suo paese. Temeva di compromettere la donna.

— Già – mormorò il giovine. – L’ho sospettato anch’io: la moglie di un altro. Io però non lo credo.

— E allora? – essa rifletteva. Mormorò: – Forse hai ragione tu. Non avrebbe aspettato all’ultimo momento se avesse temuto di comprometterla.

Ma Giulio scosse di nuovo il capo.

— No. Ignoranti o istruiti, in guerra si è tutti eguali; tutti persuasi, mentre si vedono cascar gli altri, che le pallottole, le spolette o le schegge debbano rispettar noi. E sai chi ci dà questa persuasione? Proprio i ricordi che si portano sul petto; di nostra madre e di chi ci vuol bene.

L’Ida sorrise, con gli occhi pieni di lagrime.

Egli prese dal portafogli il ritratto di lei; lo considerò quasi per rinnovarsi, ora che le sedeva vicino, le impressioni che aveva a considerarlo quando era lontano, lassù; e pacatamente lo ripose. Dopo, afferrò le lettere e la busta con la fotografia e la ciocca di capelli, e buttò tutto nel fuoco.

— «Fuoco, prego». – Cercava rendere con la sua voce il suono delle parole indimenticabili, e osservava le carte accendersi, la fiamma invaderle raggrinzando la busta. Esclamò:

— Vampata d’amore! –; e la frase gli parve così bella che guardò, contento, l’Ida. Ma essa:

— Di’ dunque: perchè distruggere?

— Ascolta – rispose Giulio. – Quando due che si sono amati, si lasciano, cosa fanno perchè ogni legame sia troncato per sempre? Si restituiscono i pegni d’amore. Un pegno è una memoria, è un obbligo a ricordare: è vero?

— È vero.

— Quell’ufficiale sentendosi morire pensò che la sua fidanzata, se riavesse le lettere, il ritratto, i capelli, non resterebbe legata alla sua memoria, come ci resterebbe invece se credesse che qualche cosa di lei fosse andato sottoterra con lui.

Se non che l’Ida obiettava ancora:

— Avrebbe pregato di seppellir le carte, non di bruciarle.

— Rifletti – ribattè Giulio. – Doveva dubitare che non lo seppellissi io; e non si fidò di altri, anche se io promettevo. Nel modo che mi guardava io capii che intendeva dirmi: di voi posso fidarmi. Sembran misteri e sono verità così semplici!

Alla ragazza tornarono a luccicare gli occhi.

— Ma io sarò più spiccio – seguitò Giulio. – Sul tuo ritratto ci scriverò: «Seppellitelo con me, prego». – E sorrise.

— Giulio! – gridò lei.

— E tu, se io morissi? – dimandò lui, pacatamente.

Ah, la prova; la gran prova d’amore!

L’Ida corse a prendere le forbici, si disciolse una treccia. E lui tagliò tre capelli, li compose in ciocchettina, li baciò e li pose col ritratto nel portafogli. Pacatamente.

Ma allora la ragazza gli gettò le braccia al collo singhiozzando. Piangeva come piange una bambina per meritar perdono.

— Cosa ti salta in mente? – fe’ Giulio scostandola a un tratto, e fissandola. Una nube gli passò per lo sguardo. Si ricordava adesso le parole di lei. – Che confidenza dicevi d’avermi a fare? – chiese.

— Questa – essa rispose rasserenata e felice: — che niente, nessuno al mondo mi separerà più da te. Capisci? Con te, vivo o morto, l’anima mia. Per sempre!

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