VII.

Quella seduta del 14 giugno, al Parlamento, fu degna di storica memoria e di lagrimevole ricordo. Fu degna di storia, non perchè si dovesse deliberare e si deliberasse una legge intorno all'incremento delle industrie e dei commerci, o alla cultura intellettuale o agricola. Non si doveva trattare che di certe riforme al regolamento; per cui, secondo una parte dell'assemblea, sarebbe possibile discutere senza pericolo di vita, e per cui, secondo l'altra parte, non sarebbe più possibile discutere senza pericolo della libertà. E se perciò tutti o quasi tutti i deputati furono presenti, e i cronisti del giorno dopo riferirono come le tribune erano affollate e come la tribuna delle signore, fresche, a tutte le età, negli abiti estivi e a varie tinte, dava l'imagine d'una smaltata aiuola; neanche per questo rimase una memorabile seduta.

Nè si creda fossero lagrimevoli i discorsi che vi si tennero. Si ebbero appena due oratori: primo, l'onorevole Malchiori; e la sua orazione, quantunque la bella frase «violazione delle garanzie statutarie», vi ricorresse dodici volte, e nove volte l'altra di «sacro diritto della parola», fu interrotta da basta! da uh di protesta e da bravo! in tono ironico; e non potè durare più di mezz'ora.

Quanto all'onorevole Stigliani, egli fu costretto anche a maggior brevità da un suon di tamburi che gli teneva troppo grave bordone e che ottenevano le mani battute sui banchi; onde, invece di piangere, si rideva. E se le sue ultime parole: «.... la maggioranza saprà vincere senza violenza, con la ragione, con l'educazione, con la virtù....» suscitarono esse la tempesta, neppure per ciò si dice che quella fu una seduta degna di storia e di compianto.

E nemmeno fu tale per la disgrazia che capitò all'autorità del Presidente. Il quale dopo aver rotti due campanelli, al cominciare delle sfide («Forcaioli!» e «Buffoni!»; «Sanculotti!» e «Sanfedisti!» etc), comprese difficile sorreggere la dignità dell'Assemblea e allungò la mano a destra.... Invano. Volse la mano a sinistra.... Invano: il cappello, che cercava per coprirsi, era sparito! Un ministeriale credendo certa la vittoria per il Governo quando fosse possibile venire a un voto, s'era tranquillamente seduto al suo scanno con due cappelli su le ginocchia.

Nè, infine, importano alla storia e alla pietà umana i conflitti frequenti e comuni a tutti i parlamenti europei; così piacevoli, del resto, a vedere dall'alto.

A Montecitorio quel giorno si scorgeva e si ammirava una confusa agitazione di teste e di braccia alzate a colpire: una mischia qua e là feroce a corpo a corpo, o di più corpi contro uno. «Vigliacchi! Imbecilli! Addosso! Avanti! Abbasso! Dagli! Prendi! Aiuto! Forza! Oh Dio!» erano le voci mal distinte nel frastuono dell'omerica pugna: occhiali spezzati in terra o sui nasi; strappate catene d'orologio; perdute medaglie. Chi sanguina; chi cade travolto; chi colpisce a tergo; chi si duole; chi fugge; chi ride atrocemente. E dalle tribune, delle quali i campanelli elettrici stentano lo sgombero, le donne gridano piangendo la sorte dei mariti o dei congiunti come un dì le donne corintie, quando nell'anfiteatro della loro città vedevano l'ultima lotta dei loro padri, dei loro mariti, dei loro figli, con i Romani vittoriosi.

Ahimè! Ciò che di quel giorno merita ricordo e lagrime fu invece la morte di un innocente; furono il modo della morte e il nobile e gentile aspetto della vittima.

Edon, da prima, stava benissimo e aveva detto a Polla che molto lo divertiva quella fiera lotta, pur non sapendo se parteggiare per i ministeriali o per gli oppositori; gli parevano tutti uguali.

E si era messo a ridere alle prime contumelie; e a ridere forse troppo, con le mani sul ventre, all'inizio dell'attacco. Ma poi, alle gesta dei pugni e dei calci, gli era accaduto come accade a un ragazzo che veda una tenzone di marionette, e si era abbandonato a un parossismo di riso. Così non aveva avuto più lena all'ultimo colpo: allorchè Polla, travolto nella demenza che da basso s'era diffusa alle tribune, acceso in volto, bieco, feroce, con le braccia contro di lui e i pugni stretti:

- Smettila! - aveva gridato. - Finiscila! asino! farabutto! mascalzone! miserabile!, o ti butto là giù. Smetti di ridere e di godertela, o.... ti strozzo!

A veder quel ceffo d'assassino, a ricevere tali ingiurie da Polla; dal socialista che amava tutti gli uomini come fratelli; dall'intimo amico suo; da colui ch'egli aveva beneficato non poco, Edon era rimasto a bocca aperta, quasi per attingere fiato a una risata anche più clamorosa. Ma aveva avuta un'improvvisa scossa di tutte le fibre; un intoppo del sangue al cuore o un afflusso di sangue al cervello: sbarrati gli occhi, era caduto di fianco....

Morto per eccesso d'ilarità!

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