I.

Felicità è una vana parola? - Persona alta e forte; baffi neri e fieri; voce baritonale e, se bisognava, imperiosa; eppoi: un pennacchio bianco al kepì; spada al fianco e assisa quasi militare; saluto alla militare dai subalterni; dominio sul palco in piazza a dirigere la banda nei giorni di festa; precedenza a tutti nelle processioni e nei trasporti funebri; direzione dell'orchestra in teatro; autorità di maestro sui cittadini idonei alla musica; autorità di cittadino notevole; stipendio sufficiente per una vita tranquilla; tranquillità di scapolo: tutto ciò dovrebbe pur bastare a rendere felice un uomo!

Che se il maestro Bonarca incolpava i creditori dell'essere caduto in miseria da tanta sua felicità, egli era ingiusto appunto perchè ogni creditore, benefattore con o senza usura, corre il pericolo che il beneficato ponga fine al debito ponendo fine alla vita.

Ah! vana parola è la gloria; e rovinosa passione l'ambizione; e debolezza la confidenza nel nostro ingegno, non meno che fallaci, insani sono i sogni dell'anima nostra; e morbo la poesia e la melodia di cui risuoni l'anima nostra. Infatti quando il maestro Bonarca non avesse dato ascolto ai cattivi amici e a sè medesimo, non si sarebbe incamminato mai verso il canal Torbo con il proposito d'affogarvi.

Fu così: In poco tempo aveva composta la Sposa selvaggia (centocinquanta lire al poeta del libretto: prima spesa), e i giornali cittadini avevano preannunciato il capolavoro (sovvenzioni ai cronisti: seconda spesa); poi (altre spese) il maestro era andato a Milano, a Torino, a Bologna in cerca di un editore, di un mecenate, di un impresario. Quindi aveva avuta la sciagurata idea di assumere per sè l'impresa al teatro della sua città. Gli amici incitavano; qualcuno prometteva aiuto e, sebbene il Comune ricusasse la dote teatrale, uno stimato commerciante accondiscese a firmare l'avallo nelle cambiali di lui, che sacrificava alla gloria tutte le economie del passato e molte economie dell'avvenire. E la Sposa selvaggia aveva ottenuta fortuna quasi uguale a quella desiderata. Se non che i cittadini d'una città piccola non vanno a teatro tutte le sere; nè i paesani delle vicinanze, ignoranti che sarebbero accorsi in folla a udir la Traviata o il Trovatore, si lasciaron persuadere da una costosissima réclame e dalla fama dell'opera nuova. Inoltre, ammalatasi la prima donna, l'altra, chiamata d'urgenza a sostituirla, aveva messo voce e opera a caro prezzo. E infine, dopo tante angustie che solo un uomo di coraggio eroico poteva dissimulare; dopo tante contese, vinte a fatica di polmoni strepitosi e di occhi biechi, con i cantanti, i suonatori, i pittori, i macchinisti, i coristi che non rimettevano a dopo il sabato il pagamento della mercede, era avvenuta la catastrofe: il commerciante dell'avallo contro ogni previsione era fallito e fuggito. Avevano sparsa nel giorno la tremenda notizia: fuggito con i quattrini! Canaglia! ladro! assassino! Socio al maestro Bonarca. Sul quale si riverserebbero l'odio e le calunnie dei creditori; le cambiali protestate; il disprezzo della cittadinanza; la diffidenza della patria tutta. L'infelice, per colpa della sua Sposa, si vide perduto; si credè abbandonato; si sentì solo al mondo, solo con la Sposa selvaggia e col disonore....

Ond'ecco, a pochi passi, il canale e la morte.

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