II.

Dal ponte il maestro Bonarca guardava l'acqua che trascorreva lenta e cheta, e della luna, attraverso la tenue nebbia, non riceveva luce bastevole per rifletterne a specchio l'imagine. Similmente la sua vita poteva forse trascorrere placida ed uguale, non accogliendo dall'arte maggior lume che quello sufficiente a una capacità mediocre. Ah sì! Gli parve ora d'essere rinsavito; di saper con giustezza misurare il proprio ingegno; di comprendere ch'egli s'era illuso e che l'avevano illuso; e, a convincersene, riandava ancora una volta, l'ultima volta, coraggiosamente e disperatamente, l'opera sua. L'adagio della sinfonia era soltanto una povera nenia; piacevole per il volgo. Nient'altro.

Atto primo. Vi balenava, nell'iniziale oscurità, qualche lucida frase; v'appariva un pensiero melodico, che cadeva subito come un volo cui mancò la possa dell'ali; e il duetto...; il duetto sarebbe stato bello se non avesse ricordato troppo l'Ernani. Dunque: a giudizio di critica giusta, serena, coraggiosa, il primo atto valeva poco, o nulla. Per fortuna era breve!

Atto secondo. Stringi e stringi.... Vuoto! vuoto! vuoto! L'introduzione?... Quale le promesse di certi amici. Dopo, la preghiera; che non commoveva neppure la platea e che appunto per ciò i critici avevano definita un canto di sirena nordica, senza rammentarsi che la Sposa selvaggia era affricana. Poi, il coro; elaborato senza dubbio per quella rispondenza degli ottoni al richiamo degli archi, ma privo di originalità; lento; fiacco; lungo; eterno. E il terzetto?... Il terzetto.... Ah il terzetto, vivaddio, no e poi no! Questo era bello; c'era tant'anima! c'era il cuore del pubblico che sobbalzava rapito quasi una volta a quello dei Lombardi! Bellissimo! Un pezzo simile sfidava la critica, sfidava la malignità degl'invidi, sfidava il tempo; nè chi l'aveva scritto moriva! No e poi no! Non morirebbe quantunque s'annegasse, umilmente, nel canal Torbo!

Un tal pezzo bastava a ribattere l'accusa di vanità al secondo atto; come la romanza del tenore, nel terzo, bastava a render celebre un nome!

Sposa selvaggia, addio!

Io morirò per te!

Così soave e così semplice, questa soave e semplice e limpida sorella della «Casta Diva» attesterebbe al mondo che nella terra di Bellini, non ostante le diavolerie dei wagneriani e i disaccordi che mortificano ingegni, anime e gusto; nella terra di Bellini nulla, mai, nessuno, mai, spegnerà il senso della melodia, l'amore dell'armonia, lo spirito dell'amore meridionale, il fuoco della nostra passione. Mai e poi mai! Viva l'Italia!

E morire! Ma il dì dopo, alla notizia, quella divina romanza, che tutti avevano imparata la prima sera, tornerebbe come invocazione di pietà alla memoria di tutti, anche dei nemici; e si piangerebbe il giovane maestro, che una sorte diversa avrebbe condotto a rinnovare l'antica e pura arte della patria....

Morire!... Morire, perchè il maestro Bonarca anteponeva l'onore alla gloria; perchè il mondo non dicesse che del commerciante fuggito con i quattrini il maestro Bonarca era stato complice; perchè egli riconosceva i suoi debiti e prevedeva che non avrebbe potuto pagarli mai più; perchè insomma lo superava un destino crudele e non voleva si credesse da alcuno della cittadinanza onorata e dal sindaco che egli avesse paura di morire!

Perciò era pronto; tutto era pronto! In tasca, la lettera al questore: «Mi uccido per ragioni che è inutile rivelare....» (Infatti chi non se le imaginerebbe?) Ringrazio i miei concittadini per la loro benevolenza alla mia Sposa selvaggia....»

Erano due righe, ma animose; di un uomo senza paura. Qual rammarico tuttavia nel pensare che la sua tragica fine servirebbe di réclame, e l'opera presto data alla Scala o al Regio o al San Carlo solleverebbe il pubblico, entusiasta del terzetto e della romanza, a chiamare il maestro, che, essendo morto annegato, non potrebbe assistere alla rappresentazione!

D'improvviso Bonarca si chiese: «Se aspettassi?...» Un'idea gli balenò nella tempesta dell'anima come suscitata da sentimenti opposti: un po' di pietà, che finalmente aveva di sè stesso, e il coraggio ch'egli era convinto di poter spingere fino all'audacia. «Se aspettassi.... a vedere cosa i giornali diranno, domattina, della mia morte?» Certo, dopo morirebbe più volentieri; sia che i giudizi postumi gli confermassero meriti e compianto, sia che la pubblica giustizia, fatta libera dalla morte, lo condannasse senza pietà. Ma non era un'idea da matto? Per riflettere si strinse il capo tra le palme. E un birocciaio che transitava, lo vide; e una vecchia, la quale passava con un cesto al braccio, si volse indietro a riguardarlo. Egli si rivolse tranquillo e fiero; giacchè la sua idea non sarebbe da matto quando riuscisse a sfuggire a ogni altro sguardo fino all'ora dei giornali, e a provvedersi dei giornali. Non esitò più. Dopo tutto, ai condannati a morte è lecito soddisfare, qual si sia, l'ultima voglia!

Ed essendo impossibile che qualcuno non passasse di là, non vedesse il paletot, non leggesse la lettera e non la portasse in questura prima della notte, egli si tolse il paletot e lo pose sul parapetto del ponte; gettò il cappello alla corrente livida, e quasi a scorgere, così travolta, la sua testa o quella d'un fedele amico, ne distolse subito gli occhi per non commuoversi; quindi scese lungo la riva in cerca d'un nascondiglio. Ricordava che alla distanza di forse un chilometro, fra le canne e i giunchi, era la casupola d'un piccolo mulino abbandonato; oltre il quale il canale tornava fosso e, per esser diruto l'argine a sinistra, impaludava il piano. Si avviò per il sentiero all'abitacolo; v'entrò da una porticella, e al lume d'un fiammifero vide ove mettersi: su poco strame, dietro un pezzo di macina; nè egli chiedeva più tenero letto a riposare dalla dura battaglia. Ivi attenderebbe il giorno: per i giornali manderebbe il primo ragazzo o galantuomo che transitasse per la via e a cui farebbe credere, ridendo, che gli era caduto il cappello dal ponte. Freddo gli sembrava assai, ma sopportabile a chi non temeva il freddo della morte.... Così, nell'attesa, si mise a pensare a cose che lo distraessero. Le altre sere a quell'ora, se non aveva teatro, giocava a biliardo col marito di.... «Non pensiamoci!» (Non voleva pensare a donne, per non intenerirsi).... Ma quel marito, via!, non giocava mica male; anzi, da competitore formidabile.... E il delegato Rosta?... Un bravo amico, questo; sincero, sebbene questurino; giocatore mediocre a suo confronto, eppure vincitore in una classica partita.... Che meraviglia! Era stato al tempo delle prove.... Oh le sudate prove della Sposa!...; con quei violini che non andavano; con quella cornetta.... Benvoluto da tutti, però; rispettato; temuto. Gli artisti di vaglia hanno in sè qualche cosa che fa perdonare ogni scatto. Per esempio. egli qualche volta era stato feroce; e mai un lamento. Solo Camandri, il bombardone, aveva detto a un compagno, dopo la seconda prova: - Se torna a darmi della bestia in orchestra, lo fracasso con lo strumento. - Ma lui, alla terza prova: - Camandri: è un la! un la! un la!, corpo di!...; e Camandri, giù gli occhi e il bombardone a posto; frenato e impaurito da quello sguardo....

Sparsasi la triste notizia fra i suonatori e i discepoli, quanti non direbbero, con certo orgoglio: - Bravo maestro! Gli uomini di fegato e di carattere fanno così; non scappano come quel mercante traditore.... - A proposito! (fe' Bonarca) I tre soldi per i giornali?» - Li aveva; aveva il resto dell'ultima lira, che si era tratta di saccoccia per l'ultimo cognac...

Dunque?

Dunque, poichè si fu riacconciata la paglia addosso ed ebbe appoggiato il capo alla pietra...., a poco a poco, senza perdere il coraggio, s'addormentò.

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