II.

Sidonia di Lenoncourt, orfanella del marchese di Mariole, a quattordici anni vinse la volontà del Re Sole negando di sposare un fratello del ministro Colbert; ma poiché un marito le bisognava, si cesse in moglie a un nipote del maresciallo di Villeroy, il marchese di Courcelles. E fu gran male: la notte stessa delle nozze il marchese volgare e cattivo l'avvertí ch'ei «pretendeva fosse per riuscir piú savia della madre»; ella si ribellò all'insulto e non «si consumò il maritaggio», e poi inacerbitosi il dissidio, un bel giorno, quando la gente diceva tuttavia che «la signora Courcelles non aveva ricevuto dal marito che il nome», Sidonia s'indusse a fuggire. Ahi che il marito la raggiunse tre miglia fuori di Parigi e la «ritenne piú stretta»! Ma come la giovine meditante vendetta acerba ebbe la ventura d'accendere della sua bellezza nient'altri che il Louvois, il famoso rivale del Colbert, e s'avvide che se essa avesse consentito all'innamorato, l'indegno marchese avrebbe assentito in silenzio (troppo onore che il ministro Louvois si accontentasse di sua moglie!), oh allora ella, per riuscire a un supremo trionfo, adoperò sagacia e fascino e ogni arte a sedurre proprio un cugino di suo marito, il bel cavaliere di Villeroy, e riuscí infatti a strapparlo dalle avide braccia della principessa di Monaco. La corte in cui una somma ipocrisia velava una somma corruzione, si levò a scagliar pietre su la fortunata e audace peccatrice, e gl'intrighi della principessa di Monaco e la rabbia del Louvois la fecero rinchiudere in quel convento medesimo delle Figliuole di Maria dove gemeva per odio maritale l'«illustre» avventuriera Maria Mancini, la nipote del cardinal Mazarino.

È naturale che la Mancini accogliesse in amicizia l'allegra compagna di sfortuna, e come il sangue bolliva nelle loro vene e bisognava sfogassero contro qualcuno il desiderio vivo della ribellione, s'accordarono subito in far ammattire quelle povere monache che avevano l'obbligo di custodirle. Quante birichinate facevano mai e di che gusto rideva in apprenderle la maestà di Luigi XIV!

Versavan l'inchiostro nelle pile dell'acqua benedetta; s'aizzavano contro di notte, pe 'l dormitorio, de' cagnolini e urlavan tiäut (il grido dei cacciatori di cervi); riempivano d'acqua delle grandi casse perché sfuggendo e trapassando a poco a poco il piancito andasse a sgocciolare sui letti delle suore nel piano di sotto; snervavano le suore vecchie, scelte per accompagnarle a passeggio, in lunghissime e rapide corse; e cosí via. E che bene si volessero quelle due... - come dire? - aristocratiche sgualdrinelle, provarono l'una all'altra una sera che udendo rumore di cavalieri attorno il convento di Chelles, dove erano state trasportate dal chiostro delle Figliuole di Maria, e credendo la Mancini fosse il marito suo che venisse con compagni a rapirla, s'aiutarono in fretta a nascondersi; e poiché nella grata del parlatorio era un buco, apertovi giorni innanzi per dare ingresso a un pasticcio di lepre, allargarono il buco e, con che stento Dio ve 'l dica, passarono attraverso di quello. Ma l'allarme fu falso; e però esse si disposero zitte e chete a rientrare per la via medesima onde erano uscite. La Courcelles rientrò con discreta fatica; la Mancini invece rimase piú d'un quarto d'ora tra due ferri della grata che la stringevano alle costole in guisa da non consentirle né di procedere né di retrocedere: tira e tira, finalmente la Courcelles l'ebbe a sé oramai svenuta del tutto.

Se non che a pena ottennero licenza d'uscire libere s'inimicarono acerbamente; né ciò poteva non accadere per la conformità degli animi e delle voglie, la quale le condusse ad innamorarsi entrambe d'un uomo medesimo: il giovane Cavoy. Tira e tira, anche questa volta la vittoria fu per Sidonia; e Maria andata un giorno al palazzo dell'odiosa amica (pur nel seicento le signore congiunte da un odio cordiale non ripugnavano dal farsi visita) e ricevuto l'annunzio che madama non era in casa mentre alla porta stava in attesa la carrozza del Cavoy, si vendicò rivelando la tresca al signor di Courcelles. Cosí il marchese, che faceva un po' la corte alla Mancini, fu costretto a sfidare con un pretesto qualunque il dolce amatore di sua moglie.

La notizia del duello, per cui il Cavoy si buscò una non piccola ferita ad un braccio, giunse tosto all'orecchio del re, il quale, fiero in castigare i duellatori, comandò che i due cavalieri, invano accorsi a pregarlo di perdono, fossero condotti alla Conciergerie e la loro colpa fosse sottoposta al giudizio del parlamento. I rivali allora a convincere che s'eran battuti non per odio, ma per «casuale rancontro», e che anzi si volevano il piú gran bene del mondo, si ridussero a dormire nella medesima camera; traditore e tradito mangiarono e giocarono insieme; e furono assolti.

Non sfuggí per contro a pena aspra Sidonia; alla pena di sofferire nel castello di Maine la sorveglianza della suocera vecchia e malevola. Che fare a dispetto di questa? Peggio di prima! Con chi? Con qualcuno - e per darsi buon tempo trovò un paggio del vescovo di Chartres, un giovine cosí valoroso in distrarla, che delle sue distrazioni ella ebbe presto segni visibili addosso. Inutile dunque sottrarsi; e il marchese si richiamò al parlamento: convinta adultera, ella fu condannata a perpetua clausura co 'l capo raso. Ma rimaneva tuttavia una speranza in appellarsi al tribunale della Tournelle, e ciò fece Sidonia; e frattanto riuscí a fuggire dal carcere con uno strattagemma assai semplice.

La sua cameriera, la quale aveva licenza d'entrare e di uscire dalla prigione, finse un doloroso mal di denti e per due giorni si mostrò ai custodi co 'l viso tutto fasciato e nascosto tra i veli in modo che appena le si vedevano gli occhi: il terzo giorno la padrona usci in vece e in veste della cameriera; né alcuno s'avvide di quell'inganno prima che ella con la carrozza gli abiti e i denari d'un antico amante si fosse messa in sicuro. La serva fedele venne condotta fuori del regno, e Sidonia, scampando alla caccia del tristo marito, si recò a Digione, e da Digione a Ginevra, dove una mattina, nell'osteria dei tre Re, presentò una lettera commendatizia a un noto scrittore calvinista: Gregorio Leti.

- «Non crediate, signor Leti - gli disse la procace e sagace marchesa - , che io sia qui per male affare: la ragione è che il mio marito mi vuole et io non lo voglio».

Poverina! E che occhi, mio Dio!; che voce, che bocca, che guancie, che.... Lasciamolo dire al Leti stesso: «oh che poppe! (certe cose si vedevano per indulgenza della moda) oh che mammelle!»; e, a raccogliere la descrizione di tutto il resto in un'espressione sola, «che Paradiso terrestre!»

Ma il Leti era scialbo pittore, né alcuno ritrasse meglio madame di Courcelles che madame di Courcelles: il ritratto ch'essa si fece è opera di cesello ardito arguto graziosissimo.

- "Confesserò che se non sono una gran bellezza sono tuttavia una delle piú amabili creature che si possan vedere: nell'aspetto e nei modi non ho cosa che dispiaccia e tutto in me par fatto per innamorare; e le persone piú dissimili d'indole e di animo si trovano d'accordo nel dire che non si può vedermi senza volermi bene. Sono alta, con figura mirabile, con bei capelli bruni, proprio come convengono a rilevare la freschezza e la bellezza della mia carnagione, la quale per altro ha qua e là dei segni non radi di vaiolo. I miei occhi sono grandi, né celesti né neri, ma di certa tinta fra le due singolarmente piacevole, e nel tenerli un po' socchiusi, per abitudine, non per affettazione, do al mio sguardo una tenerezza e vaghezza senza pari. Ho il viso d'una regolarità perfetta: è vero che non ho la bocca molto piccola, ma non l'ho poi mica tanto grande. Qualcuno afferma che nelle proporzioni giuste della bellezza io difetterei per il labbro inferiore un poco troppo sporgente; ma io credo mi facciano questa censura perché non possono farmene altre, e perdóno a quelli che dicono ch'io non ho la bocca del tutto regolare, se per loro è un difetto che mi dà un'ineffabile grazia e una vaga vivacità nel riso e nei moti del viso.

«J'ai enfin - nella traduzione il ritratto perde, tardi me n'avveggo, colore e finezza - j'ai enfin la bouche bien taillée, les lèvres admirables, les dents de couleur de perle; le front, le joues, le tour du visage beaux; la gorge bien taillée; les mains divines; les bras passables, c'est à dire un peu maigres; mais je trouve de la consolation à ce malheur par le plaisir d'avoir les plus belles jambes du monde. Je chante bien sans beaucoup de méthode; j'ai même assez de musique pour me tirer d'affaire avec les connaisseurs. Mais les plus grand charme de ma voix est dans sa douceur et la tendresse qu'elle inspire; et j'ai enfin des armes de toute espèce pour plaire, et jusqu'ici je ne m'en suis jamais servie sans succès. Pour de l'esprit, j'en ai plus que personne; je l'ai naturel, plaisant, badin, capable aussi des grandes choses, si je voulais m'y appliquer. J'ai des lumières et connais mieux que personne ce que je devrais faire, quoique je ne la fasse quasi jamais - ».

Gregorio Leti, adunque, rapito d'ammirazione, ma pur senza sospetto o desiderio di ricadere nelle antiche voglie, alloggiò la marchesa in casa d'una signora per bene e la introdusse nella miglior società ginevrina; e come l'accompagnava egli per tutto, forse tratto dalla vanità lusingata - per vederla «era cosí grande il concorso nelle strade che ci voleva mezz'ora a far cento passi», - anche si accese un pochino di lei. Tuttavia capí presto che un abito nero e semplice non poteva reggere in confronto alle «casacche di velluto e alle spade d'oro e d'argento» delle quali fu ressa intorno a Sidonia, e richiamatosi ancora a sé medesimo riprese i «libri e gli scartafacci» ch'aveva banditi e continuò la vita di Filippo II.

Intanto madame di Courcelles trovava impunemente e liberalmente offeriva il piacere di agevoli amori e dominava in sovranità di grazie e di spirito tutta Ginevra. Regina, con mutabilità fanciullesca accarezzava e incrudeliva: un capitano del reggimento d'Orléans assunto tra gli altri ai suoi baci e poi abbattuto quand'era piú folle di gioia con inganni e disprezzo, si vendicò dando a leggere le lettere di lei agli amici; e fu una copia di queste lettere che Chardon de la Rochette rinvenne e diede alle stampe nel milleottocentotto.

Ma d'improvviso Sidonia lasciò la Svizzera, riprese la via di Parigi, si fece rinchiudere in carcere. Era morto il marchese marito ed ella sperava, anzi sapeva per certo che con la prigionia volontaria avrebbe meritata «una sentenza onorevole che le riacquistasse, diceva cosí per dire, la riputazione, e, quel che le importava davvero, una gran parte della sua dote»

Gregorio Leti, il quale forse non pensava piú a lei, trovandosi a Parigi nell'agosto del 1679 ricevette una letterina proprio di lei, che tutt'allegra lo pregava d'una visita «non piú corta d'una giornata»; ricordasse che altra volta le aveva insegnato essere opera di pietà visitare i prigionieri; di piú, venisse a consolarla della morte di suo marito, alla qual consolazione la troverebbe «molto ben disposta».

Il Leti, che pure era disinvolto, che pure in gioventú aveva baciate le ragazze in chiesa, rispose con una misera lettera impacciandosi a scherzare intorno la prigionia di madama e alla libertà delle donne francesi, e a dichiarare, tra molte lodi iperboliche e proteste d'affetto, che non acconsentirebbe alla visita domandata. Onde a ragione la marchesa gli riscrisse chiamandolo «debole d'animo», e burlandolo come uomo il quale «stava chiuso in casa fino a sedici ore di ventiquattro per scriver la vita dei morti», e con un cuore «piú piccolo di quello d'un polpastrello negava di soffrire la clausura di dodici ore con una dama in anima e in corpo.»

Insomma, non cedere al desiderio e allo spirito di lei era impossibile; ma Gregorio, dibattuto fra la necessità di non parere ridevolmente timido e il dubbio di non poter resistere alla tentazione, volle prima porre in sicurezza la sua continenza con una seconda lettera: «Di grazia, Madama, diciamo la cosa come passa, senza mascherarla: crede ella che sia una buona opera d'andare a visitarvi in prigione? Bagatelle!, anzi si corre pericolo d'entrar, come l'apostolo Pietro, santo nel pretorio di Pilato et uscirne carico di colpe. E se una serva ebbe tanta forza con un povero vecchiarello, che farà una gran dama, di tanta grazia e di tanta beltà, con uno che gode ancora il vantaggio della virilità? Madama, la bellezza in una dama è un dardo de' piú acuti et una saetta delle piú fiere, et ivi farà la piaga maggiore dove piú dura troverà la pelle».

Cosí io penso che Sidonia di Lenoncourt dové seguire d'un'occhiata compassionevole il Leti uscente dalla sua gaia prigione e ch'ella dové mormorare scrollando le spalle fra dispettosa e annoiata: «Quant'é sciocco questo grande scrittore!»

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