IX.

Lauretta allorquando si prepara alla novella di Landolfo Ruffolo, la quale benché contenga grandi miserie ha «splendida riuscita», si rivolge agli ascoltanti con queste parole: "Ben so che pure a quelle miserie avendo riguardo, con minor diligenza fia la mia udita, ma altro non potendo, sarò scusata." E quando Filostrato re le chiede di cantare: "Signor mio - risponde - , delle altrui canzoni io non so, né delle mie alcune n'ho alla mente che sia conveniente a sí lieta brigata: se voi di quelle che io ho volete, io dirò volontieri."

Ella parla in tono umile e accarezza con molte lodi le compagne, in ispecie la piú ardimentosa, Emilia; è timida e, per abitudine, dolcissima; eppure in udirla affidare quello che pensa e sente di sé alla sua canzone apparirebbe tutt'altra.

Niuna sconsolata

Di dolersi ha quant'io,

Che 'n van sospiro lassa innamorata.

Colui che muove il cielo ed ogni stella

Mi fece a suo diletto

Vaga, leggiadra, graziosa e bella,

Per dar qua giú ad ogni alto intelletto

Alcun segno di quella

Biltà, che sempre a lui sta nel cospetto;

Et il mortal difetto,

Come mal conosciuta,

Non mi gradisce, anzi m'ha disperata.

E, seguitando, dal ricordo del morto amante che

......... volentieri

Giovinetta la prese

Nelle sue braccia e dentro a' suoi pensieri,

tratta a considerare la presunzione e la fierezza del suo innamorato che di lei è geloso a torto, s'abbandona al dolore e all'ira ed esclama:

........ io lassa quasi mi dispero,

Cognoscendo per vero,

Per ben di molti al mondo

Venuta, da uno essere occupata.

Io maledico la mia sventura,

Quando, per mutar veste,

Sí, dissi mai..........

E rimpiange la vita oscura e l'oscuro amore d'un tempo, e prega l'amico, il quale ella ha in Cielo, che ridivenga pietoso di lei e da Dio le impetri di andare a lui.

Dal contrasto tra la franca e sdegnosa sincerità di questa canzone, per cui alcuno della compagnia ripensa maligno il detto milanese "meglio un buon porco che una bella tosa", e la dolce e timida umiltà dei suoi discorsi, Lauretta sorge su viva, mirabilmente. Non è in essa il tipo della donna che loda gli altri sperando a sé guiderdone di lodi maggiori, e innanzi agli altri si umilia bramando la levino essi a grande stima, finché, nel timore di essere disprezzata e nella certezza di non essere da quello stesso che ama pregiata sí come merita, caccia l'usata modestia ed incolpando la tristezza altrui, accesa d'ira e cieca di orgoglio, esagera le proprie virtú? Impeti questi di animo debole; ed essa è infatti cosí debole che adiratasi, se ne pente, e per riaversi d'ogni cattivo giudizio, il giorno dopo si pone a considerare negli altri il proprio difetto e i danni partoriti dall'ira, e cerca scusarsi scusando la fragilità femminile: "...... Se ragguardar vorremo, vedremo che il fuoco di sua natura piú tosto nelle leggiere e morbide cose s'apprende, che nelle dure e piú gravanti; e noi pur siamo (non l'abbiano gli uomini a male) piú delicate che essi non sono e molto piú mobili."

Mobile ad ogni affetto, essa finisce la novella di Tofano esclamando: "E viva amore, e muoia soldo e tutta la brigata!", con commozione di gioia pari a quella d'entusiasmo con cui l'incomincia: "O Amore, chenti e quali sono le tue forze! chenti i consigli, e chenti gli avvedimenti! Qual filosofo, quale artista mai avrebbe potuto o potrebbe mostrare quegli dimostramenti che fai tu subitanei a chi seguita le tue orme?...."

Tale, s'io l'ho ben veduta, è Lauretta.

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