VIII.

Filostrato «tanto viene a dire quanto uomo vinto ed abbattuto da amore». E di Troilo - il carattere del quale è forse il piú bello del Filostrato - non fu mal detto: «Natura ardentissima, non conosce né patria né religione: non ama e non vede che Griseida. Quasi ogni giorno si slancia animoso nel campo dei Greci in cerca di gloria per illustrarsi agli occhi della sua bella. È l'amore che lo rende eroe.» Troilo, non piú eroe di poema, ma ancora spirito ardente, nato per combattere e per soffrire, rivive di vita reale nella lieta compagnia del Decamerone.

Quando è coronato re dice alle donne: «Amorose donne, per la mia disavventura, poscia che io ben da mal conobbi, sempre per la bellezza d'alcuna di voi stato sono ad amor soggetto; né l'essere umile, né l'essere ubbidiente, né il seguirlo in ciò che per me s'è conosciuto alla seconda in tutti i suoi costumi, m'è valuto, ch'io prima per altro abbandonato, e poi non sia sempre di male in peggio andato: e cosí credo che io andrò di qui alla morte.» E a lui piace si ragioni di coloro «li cui amori ebbero infelice fine.» Pur mentre le novelle si svolgono fiere tutte, tranne quella di Pampinea, come il suo amore, egli cade in profondi pensieri e al terminare di esse esprime con lamentevoli parole e con rigidi atti com'egli per amore arda e soffra, e ogni ora «mille morti senta, né per tutte quelle una sola particella di diletto gli sia data.» Cosí quando, vinto ed abbattuto dalla passione, nella canzone ch'egli canta per volere di Fiammetta regina invoca la morte, non esagerato, non inverosimile, ci sembra il suo dolore.

Null'altra via, niun altro conforto

Mi resta piú che morte alle mie doglie:

Dàllami dunque omai,

Pon fine, Amor, con essa alli miei guai

E 'l cor di vita sí misera spoglia......

Quale è la donna nel cui viso, allora che Filostrato resta di cantare, appare il rossore della colpa e del rimorso? Le tenebre della sopravvenuta notte nascondono quel rossore, né io so distinguer tra le sette giovani colei ch'è traditrice e crudele. Emilia, la quale potrebbe per la leggerezza sua aver somiglianza con la Griseida del Filostrato, non parmi, poiché ella asserisce che «amare merita piú tosto diletto che afflizione a lungo andare»; non Lauretta, cui non possono riferirsi le parole di Filostrato:

Fa costei lieta, morend'io, signore,

Come l'hai fatta di nuovo amadore;

giacché Lauretta rimpiange un morto amante e vive malcontenta di lui che l'ama al presente. Forse è Filomena, la discreta Filomena, che le compagne invidiano appunto pe'l «nuovo e piacevole amore.»

Avvertito da Fiammetta che non gli è concesso di rattristare troppo a lungo gli altri con i suoi travagli, dopo la quarta giornata il giovane, infelice chiede perdono alle gaie donne e si propone di ridere e di muovere a riso. Però narra la novella dell'usignolo che fu preso dalla figlia, di Ricciardo Manardi, e di Filippa adultera che si liberò con un motto della pena di morte, e di Peronella, e di Calandrino pregno, e del giudice cui furono tolte le brache: torna la fierezza e la nobiltà dell'animo suo a dominare la stupenda novella di Mitridanes e Natan.

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