Al dormitorio di via delle Mole si pagavano cinque soldi per notte; spesa non grande chi pensi che in ogni giaciglio c'eran cuscino e coperta di lana — sebbene il cuscino, il quale avrebbe dovuto esser bianco, al lume della lampada a petrolio apparisse del color della coperta; la quale avrebbe dovuto essere bigia —, ma spesa non piccola, cinque soldi, per i frequentatori non forniti di paga costante o guadagno sicuro.
E il signor Giulione e la signora Tecla, proprietari e ministri dell'azienda, non facevan credito a nessuno.
Così, quando nell'avanzar dell'inverno gli mancasse o tardasse il soccorso della figlia, il vecchio Granari poteva trovarsi a questo dilemma: o morir d'inedia o morir di freddo. Poteva anche, però, morir d'inedia e di freddo contemporaneamente.
E una mattina, a gennaio, il signor Giulione e la signora Tecla entrando nella stamberga per la pulizia — e che pulizia! — ebbero una sorpresa: s'accorsero di una trasgressione al regolamento non avvertita la mattina prima d'andar a riposare. L'ultimo letto di destra era ancor occupato.
Scossero quel corpo inerte nella buca del pagliericcio.
— È morto? — il marito dimandò confuso.
— No — rispose la moglie. — Va a prendere l'aceto.
Per l'aceto il giacente rinvenne; cercò con lo sguardo, senza riconoscere dove fosse. Pronunciò qualche parola.
— Muoio — di — fame.
— Corri! Dammi il latte che m'è rimasto nella teglia — ordinò, ansiosa adesso, la signora Tecla.
Ma il latte, deglutito a pena, non rimase in quello stomaco, tanto era debole. E allora la signora Tecla riempì la mente del marito con commissioni successive, di cui, nella sua intenzione, una sostituiva l'altra e che il signor Giulione credè invece fossero da adempier tutte quante.
— Va alla farmacia a prendere un cordiale. — (Il grosso uomo s'incamminò). — Va a chiamare il medico all'ambulatorio. — (Due passi). — Va in Municipio a dir che vengano i pompieri con la lettiga. — (Due passi). — Va all'Ospedal Maggiore: caso d'urgenza. Di' così: caso d'urgenza. — (Partì di trotto).
Poi la signora Tecla, indossata la mantella, scese per consiglio all'osteria di fronte: un basso fondo.
L'ostessa esclamò: — Latte freddo gli ha messo in gola? Brodo caldo vuol essere!
Súbito attinse alla pentola, che borbottava al fuoco, e con una scodella del liquido fumante seguì l'amica. Intanto la serva annunciava a chi passava:
— Sapete? Al dormitorio c'è uno che muore di fame. Proprio moribondo!
La voce si sparse in un attimo per la contrada.
E la carbonaia — la famosa manutengola detta la Strazzarola — accorse con una tazza di caffè; e la fruttivendola guercia recava un ovo fresco. Anche, dal postribolo, in vestaglia di lana rossa, uno scialle bianco su le spalle, i capelli sciolti e una guancia imbellettata e l'altra no, la Romana si precipitò gridando:
— Io, la salvo io questa creatura! Assassini! Vigliacchi!
Chi fossero gli assassini e i vigliacchi sapeva lei, portando una bottiglia di cognac e un bicchierino.
Alle grida, lo spazzaturaio avvicinò l'asino e la biroccia a una colonna; salì, armato della lunga scopa. E salì al dormitorio anche Figuretta. Senza cappello, in pelliccia, si calzava i guanti. Figuretta il borsaiuolo, uscito il giorno innanzi di collegio. — In vacanza — spiegava lui.
— Io! io! — ripetè la Romana facendosi largo fra le donne, disperate che il vecchio non ritenesse nè brodo, nè caffè, nè ovo. — Lo salvo io!
Gli versò, per la fessura della bocca, un bicchierino pieno di cognac.
E Procolo Granari riaprì gli occhi; ricompose la faccia. Sorrise.
La prostituta era contenta come d'un miracolo compiuto da lei.
— Non avete parenti al mondo? — chiese la carbonaia. E la fruttivendola:
— Non avete nessuno?
Procolo rispose, con abbastanza voce:
— Una figlia — suora — a Lugo.
— Bene! — notò, in disparte, Figuretta.
— Un'altra — ne ho — a Firenze — moglie d'un avvocato.
— Meglio! — Figuretta disse più forte.
Pausa. Ora il vecchio, affannato, agitava una mano; che gli ricadde, di peso.
— Non c'è niente da fare — sentenziò la fruttivendola. Se ne andava con lo spazzaturaio.
— Un gocciolo solo! — insisteva frattanto la Romana. — Un gocciolo solo, poveraccio!
— Se l'ubbriachi, San Pietro non gli apre la porta! — ammonì, di lì dov'era, Figuretta.
Ma Procolo voleva parlare. Gemè:
— Anche Reno — il mio cane — mi ha — abbandonato.
E il borsaiuolo:
— Si sarà messo con una cagna borghese.
— La contessa...
Una risata delle astanti, meno la Romana.
—... la contessa... — di via Goito...
E il borsaiuolo, serio, accostandosi:
— La contessa Torselli? La conosco. Quando usavano gli abiti «tailleur» col taschino sotto il petto — una comodità — mi regalò il suo orologino d'oro.
Nuova risata.
— Il conte... — ripigliava Procolo — il conte... — (non ricordava neppure questo nome, il nome del suo padrone!) — Dalla fattoria — vecchia — mi passò — alla — nuova. — Ero sempre stato — un galantuomo. — Le ragazze — le avevo messe — in educazione...
— Bella educazione! — Figuretta seguitava a commentare.
— Vennero a casa. — Senza la madre — spendi e spendi. — Speravo. — Il conte si ammalò...
— Ma non crepò. — Figuretta affrettava alla conclusione.
Concludeva anche Procolo.
— Quando fummo — ai conti — mi mandò via. — Ladro.
— No! Imbecille! — corresse a bassa voce il borsaiuolo. — Un fattore che si fa cacciar via per ladro prima d'essere arricchito, che imbecille!
Entrò un'altra della casa di tolleranza. Bionda; sentimentale. E Figuretta le diè luogo con una mossa da gentiluomo. Ma la ragazza inorridì. Fuggì dicendo:
— Mi par di vedere il mio babbo!
— Tutto lui! Unica differenza, che la figlia di questo babbo qui fa la suora a Lugo.
Non sorrisero al borsaiuolo che la carbonaia e l'ostessa, mentre se ne andavano anche loro. Non c'era, infatti, più speranza di giovar a quel disgraziato. Moriva.
Quando arrivò, finalmente, il signor Giulione. Non glien'era riuscita bene una. Per il cordiale bisognava una bottiglietta o una tazza. Il medico era impegnato. Aveva detto: — Se ha fame, dategli da mangiare. — I pompieri non si muovevano che per un infortunio. All'Ospedale pretendevano, com'è giusto, carte in regola.
— Tanto, è inutile — mormorò la Romana, sempre china su l'agonizzante; alle cui labbra, di tratto in tratto, appressava il bicchierino.
Ecco: — Il prete — il morente potè dire con l'ultima voce.
— Non importa. Vi assolvo io — assicurò Figuretta.
Ma questa volta la Romana gettò all'amico una truce occhiata.
— Finiscila, per li mortacci tuoi! — E alla padrona di casa: — Accendete una candela!
... Rimasero soli lor due, la prostituta e Figuretta.
Lei si inginocchiò. Pregava sommessamente. Lui attese un poco; indi le si accostò, a dirle all'orecchio:
— Romana, prestami dieci lire per andar all'Eden. Prima di sera te ne porto cinquanta.
Seguitando a pregare, la Romana tolse dalla tasca della vestaglia la chiave del comò; gliela diede.
Allora il giovine si chinò su Procolo Granari e piano, ma spiccando le sillabe come per farsi udire da un sordo:
— Diteglielo a Dio, se lo vedete, che la buona gente siamo noi!