III.

Accadde che per mutamento della sorte a suo solo favore Reno fu davvero felice.

La contessa Torselli nell'uscire un giorno dal suo palazzo di via Goito — l'automobile l'attendeva — ebbe impedito il passo da quel cane. Non esitò a chiamare colui che lo conduceva.

— Ehi! signore!

Procolo si fermò.

— Il suo cane è ammalato. Io appartengo alla Società protettrice degli animali, e il mio nome basterà perchè vi sia curato gratuitamente.

Porgeva, molto gentile, il biglietto da visita.

Ma Procolo Granari disse:

— Non è ammalato. Ha fame. — E col suo mesto sorriso aggiunse, piano: — Come me.

— Fame? — riprese la signora dopo un attimo di perplessità. — Venga!

Rientrò nell'atrio; premè il bottone del campanello; ordinò alla portinaia:

— Dite al cuoco che vi mandi giù subito una scodella di zuppa per questa povera bestia, e dategliela.

Indi a Procolo:

— Ogni giorno all'ora d'oggi ci sarà qui, in portineria, una scodella di zuppa per il cagnone. Se ne ricordi!

E senza aspettare ringraziamenti la contessa Torselli, protettrice degli animali, salì in automobile.

Ogni giorno Procolo restava fuori nell'atrio, forse per non soffrir anche di invidia, intanto che Reno ingoiava la zuppa. Si spicciava con poche boccate. Pronta, la portinaia alzava la scopa.

— Passa via, brutta bestia!

E il cane, sebbene non sazio, scodinzolava tornando al padrone.

Ma a poco a poco la portinaia s'intenerì. Quegli occhi pieni di riconoscenza già prima che lei aprisse il cancello; quel lieve uggiolare quando lei tardava, quasi voce di preghiera o timore; quel tentativo di balzarle amicamente contro — l'avrebbe baciata a suo modo se essa non si ritraeva svelta e se a lui più non premeva spingere con una zampata l'usciolo e correre al noto angolo — le fecero cambiar apostrofe. La «brutta bestiaccia» diventò in ischerzo un «brutto matto»; e poi il nome proprio di Reno fu amicamente usato nei richiami e nelle carezze.

Ora bisognava alzare la scopa perchè il cagnone non avrebbe voluto uscire così presto dal luogo di delizia. Si accucciava ai piedi della donna, guaiva, parlava. — Tenetemi sempre qui, con voi.

— Gli manca la favella — la portinaia ripeteva —, ma si capisce lo stesso. Che giudizio! Che giudizio può avere una bestia!

Mentre il padrone gli rimetteva la museruola e la corda al collare, il cane scodinzolava; era però evidente ne' suoi occhi l'intimo conflitto fra le due affezioni: la vecchia e la nuova.

E un giorno appena fuori di casa sfuggì, con uno strappone, di mano a Procolo; il quale giunse al palazzo Torselli dubbioso di non trovarvelo. Se le guardie l'avevano accalappiato, addio!

Invece la portinaia disse:

— È qui. — E lo chiamò più volte:

— Reno! Reno!

Il cane non compariva. Perchè? Dov'era? Dove si era nascosto?

Finalmente lo scopersero nel bugigattolo del carbone. Fingeva dormire.

Onde Procolo scosse il capo. Aveva capito.

— Anche questo... — mormorò.

E la portinaia:

— Lasciatelo a noi. Vi risparmierete i quattrini della tassa.

Sì! La tassa gliela aveva pagata due volte la lavandaia sua ospite; ma adesso la lavandaia era stanca di non ricevere più un acconto. Già aveva pregato «il signor Procolo» di cercarsi altro alloggio.

Share on Twitter Share on Facebook