I.

Dopo i saluti, così affettuosi che tolsero subito d'imbarazzo il suocero e la suocera, il colonnello avrebbe voluto salire alla sua camera. Ma prima dovè far la conoscenza della cagnetta, che si era precipitata dalla cuccia per abbaiargli contro, e del gatto che la signora in gran fretta aveva salvato da un prevedibile assalto della nemica raccogliendolo maternamente nelle sue braccia. Ah i fasti della Lillín e di Rossello! Che peccato, però, non andassero d'accordo e i loro litigi sconcordassero talvolta anche la coniugale armonia del signor Astolfo, protettore dell'una, e della signora Amalia, protettrice dell'altro!

Poi ci furon da ammirare i vasi di limoni, l'orto, il giardino. Sette o otto limoni pendevano gialli dai ramoscelli di nuovo in fiore; più in là, una dozzina di riquadri, uguali e grandi poco più di un metro, contenevano i fagiuoli e i pomodori, le cipolle e le patate, l'indivia e la lattuga, le carote e le pistinache: di qua dalla siepe, peri nani e susini promettevano — se non sopravvenisse una nebbia o un'aria fredda — quindici o sedici susine e pere.

— Ma niente ciliege quest'anno! — lamentò il signor Astolfo. E sospirando avvertì che le fatiche, le cure, le pene del coltivare gravavano tutte su di lui. I contadini avevano ben altro da fare, ora che le braccia mancavano!

— Tutto io!

La natura maligna insidia essa stessa ogni suo bene, col malume, con la peronospora, con la ruggine, coi bigatti, con i gorgoglioni, i pidocchi, le formiche, le forfecchie, le lumache, le arvicole, le talpe. Ma lui combatteva senza paura: pompa e soffietto, solfato di rame e tabacco, fosforo e trappole. Guerra in veste da camera e berretto da ciclista!

E venne la volta del giardino: vari i gerani; belle le rose; odorosi anche troppo i nasturzi.

— Brava! Bravo! — ripeteva il genero sorridendo. Pensava:«Non sono forse felici questi due vecchietti, che hanno saputo impiccolire così la loro esistenza, mitigare in tal modo il loro egoismo?». E quasi gli doleva d'esser venuto a turbarne la pace e a rinnovar in loro, con la sua presenza, il ricordo dell'unica figlia perduta dieci anni addietro.

— Bravo te! — mormorò la suocera tirando fuori a stento il te e accompagnandolo da un sospirone.

— Bravo voi! — esclamò il suocero alzando e battendo la mano su la spalla del genero —. Colonnello a quarant'anni!

L'ufficiale allora chiarì il perchè aveva chiesto la loro ospitalità durante la breve licenza. Aveva un certo lavoro da finire, in quiete. Ma non si dessero pensiero di lui (e se ne eran dato tanto, con tanta soggezione, avanti che arrivasse!); non si distogliessero dalle loro abitudini: proprio come se lui non ci fosse. A servirlo e ad aiutare la domestica c'era l'ordinanza: un ragazzo che sapeva far di tutto, anche il cuoco.

— Sentirete che dolci! — E dire che al suo paese, in Romagna, faceva il fabbro! Divenuto attendente, si era comperato manuali e ricettari, e tra le cannonate aveva imparato a comporre pietanze. «Ci vuol pazienza!» era il suo motto.

«Ci vuol pazienza!» — il soldato raccomandava a sè stesso e agli altri quando le bombe e la mitraglia gli rovesciavano le casseruole e mandavano all'aria i disgraziati còlti in pieno.

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