III.

Se, poco oltre mezzodì, lo zio Prospero non sedeva a tavola ad aspettar il fratello, la cognata avvertiva la domestica o l'Elena: — chiamate il cane! —; e se il cane non arrivava, eran certe che lo zio desinerebbe in campagna e rincaserebbe solo la sera. Quel giorno dunque si meravigliarono a veder il cane e a non veder lui. In ritardo? Non tardava mai. Invitato da qualche amico? Non aveva amici che lo invitassero a pranzo, e quando ne avesse avuti, non ci sarebbe andato. Cos'era successo? L'Elena stentava a dissimulare l'angustia. Ma per fortuna nessuno, all'infuori di lei, si accorse che a Top mancava il collare; e, per fortuna maggiore, suo padre — nonostante il fiero aspetto — era l'uomo più pacifico di questo mondo. Egli si limitò a dire:

— Chi non mangia, ha mangiato.

Non sospettava di nulla. E non si meravigliava di nulla, Adelmo Marzioli! La spiegazione della strana assenza l'avrebbero, prima o poi: inutile preoccuparsene.

Egli, infatti, l'ebbe prima di averci ripensato: due ore dopo mezzogiorno, alla Congregazione di carità ov'era segretario.

Prospero gli comparve dinanzi con gli occhi semichiusi sotto le ciglia folte e lunghe, in un'attitudine quasi violenta per lo sforzo della volontà. E al fratello, che attendeva zitto e cheto, parlò con un lieve tremito nella voce.

— Ho pensato che è meglio ci dividiamo. Io mi tengo la Valletta; a te l'altro podere, la vigna e la casa. Nella casa mi riservo il camerone. Ci mettiamo il letto; il camino c'è: mi basta.

— Come vuoi — disse Adelmo Marzioli.

— Incarichiamo del rogito il notaio di qui o di Faenza?

— Come vuoi.

— Siamo d'accordo?

— D'accordo.

E Adelmo Marzioli riprese a scrivere.

Se non che mentre Prospero stava per uscire successe quasi un miracolo: il fratello aveva qualchecosa da aggiungere.

— Ehi! Senti!

Prospero si voltò.

— Cosa ne dirà il paese?

Prospero rispose: — Dirà quel che dico io: che io sono un uomo all'antica e le tue donne vanno alla moderna; che, secondo me, voi spendete troppo in proporzione al tuo stipendio e alle entrate, e io voglio assicurarmi della mia parte per quando sarò vecchio e per lasciarla, quando morirò, a mia nipote se non si mariterà, o se sposerà uno della sua condizione. È chiaro?

— È chiaro.

— C'è altro?

— Nient'altro.

***

La separazione non dispiacque neanche alla cognata. Non che Prospero le avesse mai dato soverchio disturbo; sempre però l'avevan tenuta in un certo disagio quel suo carattere scontroso e quelle sue abitudini di misantropo, e da un pezzo in qua egli la seccava con le osservazioni a ogni spesa che si faceva per l'Elena. — Ah ah! vestito nuovo; scarpine nuove! oro! gioielli! Durerà? — Dispiacere, e più che dispiacere, provò invece l'Elena. Come ad accorgersi di Top senza collare pensò che lo zio aveva scoperto la marachella, all'avvenimento che seguì pensò che lo zio era impermalito con lei; e dubitò d'averlo contrario nelle sue speranze. Avrebbe voluto impietosirlo dicendogli: — Io le sono tanto affezionata! sia buono! —, o magari provocarne lo sdegno dicendogli: — Che cosa le ho fatto, io? —; purchè parlasse! Il silenzio di lui l'atterriva. Ma non osava andar a trovarlo nel camerone; affrontarlo. Finchè ebbe un'idea. Dall'uscio che dal camerone metteva nella stanza da desinare la madre aveva tolta la grossa chiave. Elena s'avvide che per il buco della toppa passava una spera di luce. Allora si chinò, guardò, scorse le gambe dello zio andare e venire. Benissimo! E colto il momento che nessuno poteva udirla, fece, a voce bassa:

— Zio! zio!

Lo zio palpitò; volse lo sguardo intorno; e non fiatò.

— Sono qui dall'uscio! M'ascolti! Una parola, zio!

Egli non fiatò; non si mosse.

— Io le sono tanto affezionata, e lei non mi risponde nemmeno! Cosa le ho fatto, io?

Ma a questo punto Top, il quale giaceva nel cantuccio vicino alla civetta, tese gli orecchi, si alzò, precipitò all'uscio; e drizzato su due piedi contro di esso, si mise ad abbaiare e a guaire affettuosamente.

— Ah Top! il mio Top! Tu sei buono! Diglielo tu allo zio che è cattivo, che mi fa soffrire!

Cattivo? Soffrire? Era un'ingiustizia! un'infamia! Lo zio non ci resse più. Esclamò, ironico:

— Soffri, eh, perchè ho levato il collare a Top?

Poi, con sarcasmo per lei e per sè medesimo:

— A far all'amore non potrebbe servirti, in cambio, il buco di una serratura?

Nessuna risposta. Non s'udì più che il vario vocìo dei richiami. E Top tornò ad accucciarsi vicino alla civetta.

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