IV.

Non molti giorni dopo, mentre stava aggiustando gli staggi a una rete, il signor Prospero udì battere alla porticella di strada e chiedere forte:

— È permesso?

Nè aveva ancora risposto — avanti! — che un signore entrò; giovine.

— Disturbo, signor Marzioli? Mio padre mi ha consigliato di venir da lei per...

— Chi è vostro padre? — interruppe il Marzioli senza muoversi da sedere e senza far complimenti.

— Tarelli! Io sono Diego Tarelli.

Ah! aveva dinanzi il figlio del conte; il più ricco del paese: bisognava riceverlo con garbo.

— S'accomodi! Mi dispiace... — affrettò cerimonioso e imbarazzato —; in questa stamberga..., in questo disordine...

— Amabile disordine! — esclamò, disinvolto, il giovine. — Sapesse come l'invidio, signor Prospero! Lei è il più famoso cacciatore di Romagna! Quante volte a Roma ho pensato a lei!

— A Roma?

— Ci ho compiuti gli studi; e adesso sono, vorrei diventar cacciatore anch'io. Ecco — aggiunse contemplando le gabbie in terra o appese al muro —: ecco i richiami, i cantaiuoli! Quaglie. Un merlo. Cardellini. Fringuelli. Un fanello...

— Un frisone — corresse il signor Prospero.

— Sbagliavo: un frisone; un...

—... bigione.

— E quante reti! Di quante sorta! Piccole, grandi, a maglie larghe e a maglie strette. E han tutte il loro nome, eh?

— Sì. Quella lassù, distesa, si chiama aiuolo; quella accanto, paretella; quell'altra, è una ragna. Queste qui giù sono erpicatoi, diluvi. Questa che sto aggiustando è una lungagnola.

Intanto Diego Tarelli cercava accostarsi all'uscio (l'uscio dal buco della serratura aperto); e come ci fu, volse il dorso e alzando gli occhi alla parete di contro:

— Anche armi antiche — disse —. Curiose!

Il signor Prospero accennava:

— Uno schioppetto del seicento. Una cerbottana; una balestra.

— E gli ordigni, più in basso?

(Com'era difficile...).

— Corni da polvere.

— No: intendo dir gli altri, là, a terra.

(Com'era difficile infilare un bigliettino nel buco della serratura voltandole le spalle!).

— Sono trappole; pignuole; bertovelli.

— E il modo d'usarli?

— Semplicissimo.

Il signor Prospero andò a prendere una gabbia col ritroso per dimostrarla da vicino al visitatore; e questi intanto riuscì a spingere nel buco il biglietto che la mano dell'Elena da un pezzo era pronta a ricevere.

Ma la faccenda non doveva finir bene. Colpa di Top.

Il quale, spalancata d'un salto la porta, entrò, e a veder Diego Tarelli gli fece la festa dovuta a un caro amico.

— Top! Top! — Il giovine non potè fingere di non conoscerlo.

Allora un sospetto balenò alla mente del signor Prospero. Strinse gli occhi sotto le ciglia folte e lunghe. Dimandò, cupo:

— Vi conoscete?

— Chi non conosce Top? Tutto il paese! Io poi ne sono un ammiratore; e appunto perciò sono venuto a disturbarla, signor Prospero. Me lo vende? a qualunque prezzo...

«Me lo vende?» Ahi ahi! Cotesta dimanda, cotesta proposta, urtando nel sospetto che tornò a insistergli in mente, strappò, a un tratto, fuor di sè lo zio. Parve investir il visitatore, minacciarlo con la gabbia in mano. — Vendere, io, Top?

Vendere Top, la sola creatura affezionata che, perduta Elena, gli resterebbe al mondo, almeno per qualche anno?

— Vendere il mio cane? — ripetè più forte. — Io? Top?

E prima che l'altro potesse articolar parola, tanto era rimasto sorpreso da quella veemenza, seguitò:

— E voi dite di essere, di voler essere cacciatore? No! — gridava e gli agitava, avanti e indietro, sotto il naso, la mano sinistra con l'indice teso —. No! Cacciatore tu, giovinotto, non sarai mai! mai! Non sei, tu, che un signorino, un ricco! — E aveva nella voce il disprezzo di chi accusa una brutta azione. — Già! perchè avete dei soldi, molti soldi, voi signori, voi ricconi, vi credete lecito tutto: ogni indelicatezza, ogni sopruso, ogni usurpazione di affetti, di cose care! Ma ci sono delle cose che non si vendono, che non si comprano! Tientelo a mente, giovinotto mio!

Diego Tarelli aveva lui pure sangue romagnolo nelle vene; nondimeno si contenne. Riflettè che aveva a fare non solo con un mezzo matto o un matto intero, ma con lo zio di Elena. E borbottava delle scuse.

— Non credevo d'offenderla... Mi scusi... Mi perdoni...

— Che scusare e perdonare! Vattene e buon giorno!

— Sì! Buon giorno!

Il giovinotto se ne andò chiudendo di colpo la porta.

E il signor Prospero si accasciò su la seggiola.

— È lui! — mormorava —. È lui l'innamorato di Elena!

Bella lezione, però, gli aveva data!

Tale lezione, infatti, tale innamorato che appena fu fuori Diego Tarelli temè il crollo della sua felicità in causa di quel matto zio e di quel benedetto e maledetto cane; e corse alla Congregazione dal signor Adelmo Marzioli a chiedergli la mano della figlia.

Share on Twitter Share on Facebook