VIII.

Alla proda del fosso, davanti all'acaciaia, Prospero Marzioli sedeva tenendo lo schioppo appoggiato al ginocchio sinistro e poggiando sul destro il gomito si reggeva col braccio e con la mano il capo. Aspettava passasse il treno che portava gli sposi al viaggio di nozze. Finalmente — ecco — sobbalzò. Laggiù tra gli alberi, sotto il fumo che livido stentava a sollevarsi e a diffondersi nell'aria umida, egli osservava scorrere il convoglio, rotear via rombando.

Elena! Elena! Senza voce la chiamò con tutta l'anima; invisibile agli occhi, la vide; la perdè: con tale angoscia che non si morse più le labbra per trattenere i singhiozzi. Nè allora ebbe vergogna di sè stesso. Gli parve allora che la derisione, lo scherno di tutti gli uomini non l'avrebbe offeso. E mentre le lagrime gli colavano per le guance e volgeva lo sguardo, a scorgersi, a sentirsi solo in quella campagna deserta e squallida capì che di contro il dolore umano c'è qualche cosa di peggio che l'umana cattiveria, l'irrisione, lo scherno: c'è l'indifferenza di tutta la vita estranea alla nostra vita, c'è la separazione da noi delle infinite esistenze inconsapevoli di noi.

A lui che cosa restava? chi gli restava? Un cane! L'ira lo scosse; gli diè l'impeto di chi cerca divincolarsi. E gridò, fremente:

— Top!

Top impazzava a levar passeri dal seminato, a inseguirli abbaiando; e non attese alla voce del padrone.

Ma questa volta il padrone non ripetè l'ordine prima di punir la disubbidienza.

Sparò.

Un guaito; e il bracco cadde.

Prospero Marzioli corse a lui; e vide gli occhi spaventosamente affettuosi, ebbe da quegli occhi che si spegnevano una tremenda invocazione di pietà. E quasi per trovar ristoro al male atroce o fine all'agonia, la povera bestia piegò il collo.

Dal collare usciva, arrotolato e tenuto da un filo, un bigliettino.

E lo zio, premendosi con la sinistra il cuore, lo prese. Lesse:

Diglielo tu, Top, allo zio che gli vorrò sempre bene; tanto, tanto bene !

Ma Top era morto.

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