II.

Quella tarda amicizia fu per i due buoni vecchi una nuova fiducia a vivere. Sin dal principio avevano compreso che la presenza dell'uno testimonierebbe agli occhi dell'altro il suo proprio benessere, e che il rimanente viaggio sembrerebbe loro anche più agevole e grato a compierlo insieme. Perciò vedersi ogni sera divenne, più che consuetudine, necessità.

Giocondamente, seduti al solito luogo ai Giardini, si riferivano le liete memorie, escludendo le tristi o solo accennandole; si meravigliavano di casi consimili; scoprivano conformità di carattere, di azioni, d'idee. E non discorrevano di politica.

— Non vogliamo guastarci il sangue.

— Vogliamo andar d'amore e d'accordo.

— Si sta così bene al mondo in pace e quiete!

— Sempre allegri e mai passiòn!

Forse la decrepitezza comporta il più intenso desiderio di esistere e concede ogni giorno, ogni ora, ogni minuto il piacere di quel desiderio esaudito, come per miracolo, per singolare grazia di Dio, o per giusta predilezione della sorte?

Una quasi sola apparenza vitale nasconde il disfacimento del corpo, e appunto allora l'istinto della conservazione esulta in un placido egoismo; la morte è dietro le spalle, e non si vede; non si vede il limite estremo perchè già un piede v'è sopra: e prevale sensibile di continuo, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, la sodisfazione di chi si scorge superstite in una strage e di chi dall'aspra realtà dell'esistenza attinge una illusione non interrotta di vago sogno.

Ma guai se contrasti e sospetti sottentrino a risvegliare e tener sveglia l'apprensione della fine imminente!

Quei buoni Ceccuti e Boldrighi non avevano presentito l'amaro che in fondo a tanta dolcezza amichevole condenserebbe l'emulazione istintiva, la gara, tra ingenua e insana, a chi dei due campasse di più, fosse anche, il di più, un anno solo. E il dissidio che doveva corrucciarli era appunto nel regime adottato per campar un pezzo. Cominciarono a guardarsi chiedendosi dentro: — Sta meglio lui di me? Sarebbe meglio mi mettessi anch'io a latte e ova? — Oppure: — E se bevessi anch'io qualche bicchiere di vino? se dessi anch'io qualche fumatina per aiutar lo stomaco a digerire?

Nel dubbio, tentavano dissimulare sempre più i disturbi e gli acciacchi, e lo sforzo si manifestava nell'aspetto. Allora riprendevano fede e pensavano guatandosi l'un l'altro: — Mio caro, come siete brutto, oggi! Se non mutate usanza, tocca a me cantarvi una requiem !

Ma la consolazione non durava; tornava presto il dubbio, il sospetto, l'apprensione. E a poco a poco provarono il bisogno di sfogarsi, convinti, come erano, che ogni tentativo dell'uno per condur l'altro al suo metodo riuscirebbe vano.

Presero a contraddirsi, a polemizzare; insistenti, caparbi. Le dispute diventarono presto diatribe; e per non mostrarsi deboli cedendo, quando uno era messo alle strette, insolentiva; e l'altro ribatteva.

— Sissignore!

— Nossignore!

— E io vi dico di sì!

— E io vi dico di no!

— Con voi non si ragiona. Ostinato più d'un mulo!

— E voi? È inutile consumare con voi il ranno e il sapone!

Non tacevano finchè non dicevano a un tempo:

— Basta! — Basta!

E Ceccuti prendeva e leggeva (senza occhiali) il giornale o il libretto delle spese quotidiane, e Boldrighi con la punta del bastone imprimeva su la sabbia la fisionomia di un asino (senza occhiali) e ci faceva sotto un bel C affrettandosi però a cancellare il disegno prima che l'amico se ne avvedesse.

Quando l'orologio alla chiesa di San Giuliano suonava le otto sorgevano in piedi; s'accompagnavano, sempre zitti. E alla barriera si separavano con un freddo «buona notte».

Boldrighi andava adagio alla Porta di Santo Stefano ad attendere il tram, e Ceccuti marciava lungo la circonvallazione, alla volta di Porta Saragozza.

Il dimani passavano ore di pena a rimeditar i dibattiti, le provocazioni, le accuse, le offese, le difese. Borbottavano: — Stasera non ci vado. Già, se ha un po' di amor proprio, non ci andrà nemmen lui, ai Giardini: gli ho dato del mulo — gli ho dato dell'asino! — Bisognava finirla! Rottura!

Ma un'intima voce rimproverava: «Anche tu però...»; e il rammarico cresceva a disgusto, mutava in pentimento.

Giunta l'ora solita, non resistevano più; sentivano che il loro ultimo legame era indissolubile; cedevano quasi a un destino. E andavano.

Quello che arrivava primo, e aspettava, pareva seder su le brace; guardava fisso alla nota parte o sbirciava di tratto in tratto. Che ritardo! L'amico non veniva. Impermalito davvero? Ammalato? morto? Non avrebbero mai creduto di volersi tanto bene!

Ah eccolo, finalmente! E si sorridevano da lungi. Ceccuti ilare, a qualche passo dal sedile, chiedeva in dialetto adottivo: — Cossa gavemo, de novo?

E Boldrighi, se l'atteso era lui:

— Siam qui, vecchio amico! —; e incolpava il tram, del ritardo.

Come era bello non serbar rancore, andar d'amore e d'accordo!

Se non che... L'asserzione più innocente, fermata e contraddetta d'improvviso, dava l'appiglio al nuovo litigio.

— Alta di statura la Malibran? — No, press'a poco come la Galletti. — Cesare Rossi superava Salvini nell' Otello ? — Bestemmia! — Ugo Bassi parlando al popolo si cavava gli occhiali? — Non li portò mai gli occhiali! — Pietramellara conte? — Non era nemmeno nobile!

E non si pensi che questi e simili intoppi fossero cosucce da strigarsene tosto, perchè la Malibran, ad esempio, conduceva a questione di musica; i grandi attori tiravano in ballo le grandi attrici, dalla Ristori alla Duse, giudicate anch'esse con giudizio opposto; e Ugo Bassi e Pietramellara trascinavano i contendenti nel campo della politica da cui avevan giurato star fuori.

Così una volta Boldrighi si lasciò trasportar a tal segno che si mise a gridare: — Gente, correte! Costui qua diventa matto!

E Ceccuti una volta osò agitar la destra in faccia all'amico dicendo: — Se non aveste un anno di più...

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