II.

Quando ebbe notizia della sedizione di Tessalonica Teodosio stava per entrare in Milano, di dove muoveva a incontrarlo Ambrogio, il santo Vescovo. L'ira dell'imperatore cedè alla parola di lui, che era la parola d'un santo. Ma dopo, nel consiglio, parlò il Gran maestro di Palazzo: — Se anche Tessalonica restava impunita, tutto l'impero rovinerebbe, e la storia ne chiederebbe conto all'ultimo imperatore, che aveva vinti i nemici e non aveva saputo vincere i ribelli; che si era addolcito della pietà dei vescovi e non si era inasprito per la licenza del popolo.

Nè gli altri consiglieri furono da meno a rimproverare e a esortare. Teodosio, alla fine, diè l'ordine. Soldati fossero subito mandati a Tessalonica; di là il mondo avesse nuovo, terribile esempio che non s'offendeva senza pena l'autorità imperiale, sebbene l'erede di Roma si facesse ora il segno della Croce.

E non sarebbe l'ultimo imperatore di Roma Teodosio il Grande! Gli ufficiali che ebbero tale missione dal Sovrano e dalla Storia ne godettero, e pensarono di adempierla con neroniana letizia: nel circo, tra la folla festosa, ignara della strage imminente, plaudente all'auriga per il quale Boterico era morto.

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