III.

Affrancata dal novello Governatore, la giovinetta schiava che Libanio amava diventò sposa a Libanio. Dunque nessun dubbio che Tessalonica fosse perdonata come già Antiochia. I mercenari testè venuti aumenterebbero le milizie di Boterico solo per resistere ai barbari.

Nessun sospetto. C'era anzi nell'animo popolare quell'aperto consenso di fiducia e di gioia a cui sopra tutto pareva attendere Teodosio trionfatore, Teodosio il Grande.

Furono riprese le feste. E mai corse annunciate nel circo suscitarono tanta aspettazione. Appena i «russati» o rossi e i «veneti» o azzurri avevan saputo che la fazione «albata» o bianca lancerebbe quattro cavalli degli allevamenti di Cappadocia, avevano affrettate richieste a Costantinopoli. Giunsero, per loro, fin poledri di razza araba, dall'Asia Minore. Ma la fazione verde o «prasina» non cercò mutamenti di corridori e di auriga: le bastavano i suoi cavalli armeni, le bastava Libanio.

***

Quanta gente, il gran giorno, per la strada che conduceva al circo! Che frequenza di vetture, fossero rede tirate da cavalli o carruche tirate da mule, con sopra ricchi e patrizi e matrone! In carrozza andò anche Cesario Prisco, il ricco mercante di gioielli, con i suoi figliuoli.

Pienamente felici, quei due. Il minore, che non era mai stato al circo, volgeva le più curiose domande, alle quali l'altro rispondeva con ciò che sapeva di propria scienza e esperienza e con ciò che aveva imparato dai compagni a scuola, o s'inventava lui. Fin sapeva, Lucilio, perchè dalla «spina» del circo, la quale vi era la parte mediana ove sorgeva l'obelisco, erano state tolte le statue della dea Tutelina e di Cibele assisa sul leone.

— Perchè? — Valentino chiedeva riflettendo dai begli occhi chiari meraviglie sempre più improvvise e strane al suo pensiero.

— Perchè — rispondeva Lucilio — l'imperatore ha voluto il battesimo; è cristiano anche lui, come noi.

— E perchè Tutelina e Cibele non erano cristiane come noi?

E perchè questo? perchè quest'altro?

Il padre godeva a udirli cinguettare così. Ma quando Lucilio, il più grande, fu stanco di rispondere ciò che non sapeva e ciò che sapeva, tornò a insistere col padre che gli dicesse per chi parteggiava, per chi scommetterebbe.

— Io sto per i «rossi» — preveniva Valentino. — Me l'ha detto la mamma che vincerà Libanio.

— Libanio, è prasino, non rossato! — esclamò con sufficienza Lucilio. E soggiunse:

— Io credo che vinceranno gli azzurri. E tu, padre? Scommetti per loro! Se sapessi che cavalli hanno! Venuti d'Asia!

— No — ribatteva Valentino —, scommetti per il rosso, che è il colore più bello!

E il padre, il quale era della fazione albata e aveva seco tante monete d'oro da giocare per i poledri di Cappadocia, fingeva una grande perplessità nella scelta. Dopo un lungo silenzio disse interrogando sè stesso:

— Per vincere starò dunque con Valentino o con Lucilio?

— Con me! — Con me! — pregavano ambedue i fanciulli, a gara.

— Vincerà quello che mi vuol più bene!

— Io!

— Io, padre!

— Vincerà quello a cui voglio più bene.

— Io! io!

— No, io! — e a Valentino si riempirono gli occhi di lacrime. Allora il padre trasse quattro monetine — quadranti — e le diede ai fanciulli, due per ciascuno. — Faremo così: quello che perderà darà un quadrante al fratello, e uno a me. — Accettarono felici di scommettere come gli uomini.

— Ma — ripigliò dopo un poco il padre quasi preso da un nuovo dubbio —: se perderete tutti e due? Se vincerà, invece della rossa o dell'azzurra, la prasina o l'albata?

— Allora — esclamò Lucilio ridendo —: allora ci teniamo noi i quadrantini, e a te niente!

— A te un bacio — concluse Valentino allungando le braccia.

E volevano dargli un bacio tutti e due in una volta.

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