V.

Repentinamente, enorme, un clamore di barbari all'assalto entrò dalle porte, sorse per le scale, proruppe. I mercenari! Con le spade, le lance, i pugnali, là dentro, a colpire urlando. Urlando alzavano le lame sanguinanti; sul tumulto, sulle strida delle donne, sui gemiti dei ragazzi, sul terrore tacito degli uomini proclamavano la vendetta di Boterico.

Strage! Al macello andavano quanti con la frenesia dello scampo invadevan l'arena, tra le quadrighe già ferme, per di là raggiungere le scuderie o la porta trionfale: i macellatori vi aspettavano il branco. E a morire in massa andavano quanti si addossavano per le scalette; cadevano. I caduti facevano intoppo: monti di corpi da trafiggere inerti.

E dal terzo ordine molti si gettavano giù nella strada; e nei primi ordini cavalieri e patrizi invocavano e si davan la morte tra loro, per non essere sgozzati. A mani giunte, a voce chi alta e chi sommessa, le matrone chiamavano Gesù Nazareno. Le lame in alcune tentavano adagio il petto accompagnate da oscene esclamazioni e risate; in altre il colpo alla gola, accompagnato da un ruggito, era così violento da quasi mozzar il capo.

La strage! Il macello per vendicar Boterico. Per ordine di Teodosio il Grande mille carnefici su diecimila cristiani! Settemila vittime opposero invano il lamento dell'umanità sacrificata alla bestialità più feroce, truculenta, sitibonda di sangue umano.

Per vendicar Boterico! E sulla punta dell'obelisco, nella spina, fu infissa la testa di Libanio.

***

Cesario Prisco aveva afferrato e preso in braccio il figlio più piccolo, e tratto per mano l'altro, era stato dei primi a scendere. Ma allo sbocco del secondo ordine dovè arrestarsi, ritrarsi nel ripiano, appoggiarsi al balteo per non precipitare; per non perire, lui e i figli, sotto i fuggitivi che l'addossavano. E quelli che scendevano incontravano altri manigoldi che salivano. Cadevano morti. Egli, di là, quasi appartato per un miracoloso consiglio, col bambino che piangeva in braccio, con l'altro che gli stringeva un ginocchio e piangeva, vide i morti ostruir la scala, gli uccisori travalicarli. Poi vide che due, con la rabbia della belva che scopre la preda nascosta, gli muovevano contro: non mercenari: un decurione, erano, e un vecchio legionario.

Fece in tempo a deporre il bambino, a trar le monete d'oro, a tendere le pugna piene, a scongiurare:

— Salvateli! Ammazzate solo me, Cesario Prisco! Quel che possiedo per la vita dei miei figliuoli! Salvateli!

Il legionario carpì la manciata d'oro. Il decurione parve commuoversi. Un istante. Che istante! Ma scosse il capo e disse:

— Tutti e due, no!

E il legionario:

— Gli agnellini scarseggiano nel pecorame che abbiamo da macellare!

— Uno sì! — e il decurione prese la sua parte di monete —. Scegli! presto!

Al padre si velarono gli occhi guardando Lucilio e Valentino che si tenevano abbracciati, stretti, muti.

Come a un morente cui ricorre sensibile, viva, la più remota impressione, tornò al padre la sua propria voce che diceva ai figliuoli lontana lontana: — Chi dei due mi vuol più bene? A chi dei due voglio più bene? — E la voce non rispondeva ora: — Io!

Abbracciati, stretti l'uno all'altro, adesso erano muti. Ed egli non resse alla mostruosa necessità della scelta, alla mostruosa condanna.

— Ammazzatemi! — supplicò scoprendosi il petto.

Ma prime le due lame trafissero a un tempo, sotto i suoi occhi, Valentino e Lucilio.

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