IV.

Alla brezza dell'alba l'Agnesina sospirò e a pena aprí gli occhi meravigliata di non trovarsi alla sua camera, nel suo lettuccio, scorse quelli che dormivano lí da presso. E Rinaldo, al muoversi di lei desto anch'egli, scorse i nemici e trasse l'arme; ma riflettendo ristette e disse:

- Perché li offenderei se non hanno offeso noi? E per non offenderli, come impediremo che ci inseguano e ci raggiungano?

Allora l'Agnesina gli tolse il pugnale di mano, gli fe' cenno di tacere e leggera leggera, quasi un'ombra, corse ai cavalli degl'inseguitori e ne recise le redini; indi tornò da Rinaldo, che era già in sella, e via entrambi su 'l loro veloce cavallo. Scossi dal rumore della fuga e liberi e ricordevoli piú della stalla che dei padroni, gli altri destrieri balzarono uno qua uno là: balzò in piedi Guglielmo, al rumore, gridando, e i compagni, fregati che s'ebbero gli occhi, la prima cosa che videro furono le corregge recise; né seppero che si dire. Guglielmo tutto smarrito e pieno di rabbia quando riebbe la voce disse:

- Troveranno scampo e io non potrò piú vendicarmi di Rinaldo e della sua druda!

A cui l'uno dei compagni:

- Piú ho da dolermi io che non riavrò mai il mio cavallo, cosí buon sangue ha nelle vene e cosí buone le gambe!

Ma il secondo, il quale era miglior filosofo e e di ingegno piú arguto, rise e conchiuse:

- E piú di voi mi dolgo io, perché d'ora in avanti non potrò tener fede a donna alcuna s'ella non sia prima innamorata d'altri e non fugga meco per sbaglio!

LA FANTASIMA

Sec. XIV.

Ogni vecchio marito di moglie giovane vivrebbe d'angoscia senza il conforto della religione; e messer Tonio degli Albizeni pregava molto e consumava molto tempo in esercizi spirituali, sí che, nelle ore che gli rimanevano da star con la moglie, il giorno non s'avvedeva di nulla e la notte non si risentiva di nulla. Il mondo diceva che madonna Lisa non era guardinga e che le fiammeggiavano negli occhi le voglie non sazie; ch'essa tutta cascante di vezzi trescava con questo o con quello e che poco schifiltosa variava troppo gli amori; ma messer Tonio bandiva i sospetti con le orazioni e raccomandava al Cielo la virtú di madonna: giorno e notte, nella sua camera, egli manteneva accesa una piccola lampada dinanzi un'imagine sacra; e, mallevadore il prete cui talvolta aveva espressi i suoi dubbi, quella luce valeva a garantirgli l'incolumità del talamo. Infatti nella stanza nuziale madonna Lisa non aveva peccato mai: a pianterreno c'era una camera da dormire, una camera in cui messer Tonio ospitava gli amici e in cui egli non aveva messo piú piede da quando s'era sparsa la voce che ci si vedevano gli spiriti maligni. Madonna Lisa non temeva gli spiriti, anzi non di rado li chiamava lei là dentro; pure come il marito s'impauriva leggendo nelle vite de' santi padri le descrizioni delle orride forme assunte dal demonio per spaventare gli anacoreti e vincerne la resistenza in Dio, e recitava spesso delle giaculatorie che lo difendessero dagli spettri, madonna Lisa biascicava con lui senza ridere le giaculatorie contro gli spettri.

In quel tempo era tornato a Forlí un giovane di nome Guido Morlaffi, il quale allo studio in Bologna piú tosto che a discutere il giure aveva appreso a donneare e a burlare i mariti gelosi.

Di persona bella e gagliarda e di cervello balzano e sagace, in tali arti era divenuto maestro con poca fatica; e con meno fatica raccontando ai compagni le sue gaie vicende, che i compagni narravano di qua e di là, agli occhi delle donne di Forlí diveniva piú celebre che s'avesse avuta in testa tutta la glossa d'Irnerio.

Ora, madonna Lisa degli Albizeni voleva esser delle prime a esaminare come messer Guido si fosse addotrinato in Bologna; né il suo era desiderio difficile da esaudire. Già egli la vagheggiava; ed ella incontrandolo per via lo guardava come persona a cui si è pensato piú volte: alla finestra l'attendeva mostrando d'attenderlo e gli sorrideva con gli occhi. Poi al sorriso degli occhi accompagnò il sorriso delle labbra; poi rispose con segni: ella vedeva, ella capiva; e sospirava.

Guido Morlaffi cominciò dunque a scriverle delle lettere tutte miele e tutte fiori, quali s'imparavano solo a Bologna; e le gettava per la finestra; senza fallare. A cui, per bocca d'una servicina, la quale aveva istruita meglio a queste che alle altre faccende, madonna Lisa rispose che essa non aveva pace, tanto ardeva di lui, ma che il marito le stava sempre tra i piedi: ciò perché le donne perbene debbono far parere gelosi e feroci i mariti anche quando sono com'era messer Tonio.

- Appena potrà, mi manderà a chiamarvi - assicurava la servicina. E un giorno venne a dire a messer Guido: - Messer Tonio ha paura degli spiriti, e voi?

- Dove sono? - domandò il Morlaffi.

Rispose l'altra: - In una stanza dove il sere non entra mai e dove madonna vi farà entrare questa notte a pena che il sere dormirà.

Messer Guido sospettò un inganno e chiese:

- Oh!, e madonna non ha paura lei?

- Non l'avrà con voi.

E il giovane promise che v'andrebbe. Né mancò all'ora convenuta; e madonna Lisa, che pareva angustiata e timorosa, quasi senza fiatare l'introdusse nella camera buia degli spiriti; e disse: - Non dorme ancora e bisogna aspettare.

Cosí messer Guido rimase un pezzo ad aspettare al buio; e la donna non veniva mai, e neppure gli spiriti. Egli sbuffava e imprecava a tutti i mariti che non dormono e a tutte le mogli che non sanno addormentarli, quando finalmente udí dei passi: i passi della servicina che con in mano una lucerna veniva a dire come messer Tonio non aveva sonno. Onde messer Guido, stucco e ristucco, fece per andarsene. Ma non andò.

La serva di madonna Lisa era piccoletta e rotondetta; era fresca e colorita, e a guardarla dava l'idea d'una pera già matura quando è lí che par che dica coglimi. A messer Guido, che era stucco, bisognava attendere dell'altro; e nessuna maggior noia che un'attesa prolungata per chi fra tanto non faccia qualche cosa.

Che cosa fece messer Guido?

Talora accade che un ragazzo nel passare presso un orto scorga una pera già matura la quale in vista da uno dei rami piú carichi e piú bassi par che dica coglimi; e il ragazzo s'arresta, guata, si delibera, salta la siepe ed allunga la mano: allunga la mano, ed ecco che il padrone gli esce addosso infuriando e tempestando.

Ed ecco aprirsi la porta e comparire madonna Lisa, la quale fermatasi di botto - Buon pro', messere - , disse.

La servicina aveva messo un grido e s'era coperto il viso con le mani. E la padrona aggiunse, piena d'ira:

- Ma dell'ingiuria vi pentirete tutt'e due! - E tornò indietro; e allora fuggí anche la servicina; di guisa che messer Guido rimase cosí, senz'aver còlto nulla.

Della serva non gli rincresceva molto; ma molto gli rincresceva di madonna Lisa, e del bene perduto prima che goduto. A ricuperarlo - giacché voleva ricuperarlo ad ogni costo e in quella notte stessa - , egli chiese consiglio alla sua matta testa, la quale gli ricordò che messer Tonio temeva degli spiriti: indi l'idea. Subito dal letto, che là era preparato, trasse via un lenzuolo, vi s'avvolse da capo a piedi, e salite le scale brancicando ed inciampando, piano piano si diresse ove di sotto un uscio appariva un po' di luce. L'uscio cedette all'impeto.

- Uh la fantasima! - urlò, balzando, messer Tonio, il quale vegliava in orazione. A che la Lisa si rivolse, e nello scorgere il Morlaffi in tale foggia, co 'l viso deforme e gli occhiacci spiritati, quasi scoppiava per non ridere. Pure disse seria:

- Io non vedo nulla - e richiuse le palpebre.

- È là! È là! - ripeteva messer Tonio, e si faceva di gran croci. Nella stanza, davanti all'imagine sacra, ardeva la lucerna, ma con lume cosí tenue e fosco che tra quel lume e il buio dell'altra camera il mostro bianco, immoto e diritto su la soglia, appariva immateriale e vano al pari d'una larva.

Messer Tonio guardava con terrore, ma preso dal fascino della visione sovrumana non poteva distorre gli occhi da quegli occhi mostruosi; e mentre si segnava con la destra, con la sinistra scoteva madonna Lisa perché partecipasse al suo terrore.

- Vuol parlare! Parla! - egli gemeva.

Lo spettro infatti allargava la bocca senza dir nulla, quasi attingesse ed aspettasse la voce di sottoterra; e con una voce che veniva da sottoterra finalmente ululò: - Ohimè, messer Tonio, ohimè! In purgatorio si sta male!

A messer Tonio pareva d'essere in purgatorio; e - Odi tu? - egli gemette.

- Io non odo nulla - rispose la donna - . Voi sognate. Lasciatemi dormire.

- Non sei in grazia di Dio tu, e non odi nulla! - mormorò il marito; e lo spettro ululando proseguí: - Non per voi, messer Tonio, vo attorno la notte; non per voi: cent'anni andrò attorno la notte se la vostra donna non perdonerà a chi l'offese.

- Perdona, perdona! - scongiurava messer Tonio. E la moglie: - Ma voi siete ammattito a leggere le storie dei Santi! Che cosa andate dicendo?

- Mala femmina! - gridò l'altro vinto, nell'angoscia, dalla rabbia; e la fantasima con voce di lamentosa divenuta terribile, e con le braccia tese, terribile, comandò: - Madonna Lisa, perdonate agli offensori vostri!

- Perdona, perdona! - ripeté disperato e piangente messer Tonio.

- A chi?

- Agli offensori tuoi!

- Bene - disse madonna Lisa - , io che faccio sempre quello che volete e quel che non volete, se volete, perdonerò. Siete contento? E pareva che ella interrogasse la fantasima invece che il marito. Ma la fantasima, dopo avere aperta e chiusa la bocca senza ringraziare, perché la sua voce era tornata sottoterra, scosse le braccia come due ali e lenta e lieve, lenta e lieve sparí nel buio.

Né ricomparve mai piú: madonna Lisa aveva perdonato - anche alla servicina.

UN'OPERA DI PIETÀ

Sec. XV.

Anastasio Bonesi, uno dei mercanti piú noti a Bologna e in Romagna, aveva presa in moglie una giovane di nome Valeria, la quale era bella, di buoni costumi e cosí prudente ed accorta che nelle faccende della mercatura aiutava e consigliava essa stessa il marito. Cristina invece, la sorella di Anastasio, era vana e di poca mente, e credendosi non meno bella che la cognata e sapendosi, al paragone, meno lodata di lei, avrebbe voluto umiliarla, e per coglierla in fallo ne spiava i passi, gli atti, i discorsi. Ma Valeria attendeva ai figlioli e agli interessi della famiglia senz'altro pensiero.

A Bologna viveva in quel tempo messer Anselmo Canetoli, un giovane ricco e di nobiltà antica, al quale non isconveniva una lusinghiera rinomanza nelle cose d'amore; e questi mentre con due amici, una sera dopo i vespri, andava a diporto per una contrada, imbattutosi in madonna Valeria che insieme con la cognata e con un figlioletto per mano tornava dalla chiesa vicina, si fermò ad osservarla e disse: - Ecco la piú bella donna che si possa vedere a Bologna; e io non l'avevo mai vista!

- Ma è una mercantessa - disse uno degli amici con tono beffardo. - Ed è onesta - aggiunse un altro con tono ad un tempo provocatore e maligno.

Messer Anselmo tacque e, quasi temesse l'accusa d'una voglia troppo bassa per lui, non parlò piú ad alcuno di quella plebea che aveva due occhi stellanti e nell'aspetto e nelle forme gli pareva avere la severità gentile di una matrona. Ma quando la impressione prima della beltà di Valeria gli si fu approfondita nell'animo e nella fantasia cominciò a ricercarne e ad accarezzarne la bella imagine, si risovvenne del sorriso co 'l quale uno degli amici gli aveva detto - è onesta - e pensò che tal fama gli scuserebbe l'umiltà dell'impresa.

Si mise dunque a vagheggiare la donna e a seguirla per ogni luogo e a passare sotto le finestre di lei; ma ella non lo guardava, o lo guardava senz'intenzione. Lieta invece lo vedeva e l'attendeva la cognata Cristina, la quale convinta d'avere acceso della sua bellezza un tal gentiluomo non capiva piú in sé dalla gioia. Di che messer Anselmo s'infastidiva come d'un impedimento al suo scopo e tentava altre strade che lo guidassero ad esso. Gli bisognavano piú cose per il suo palazzo, e Anastasio lo condusse a casa sua nel magazzino; ma Valeria non c'era. Allora messere Anselmo riuscí a dimesticarsi una vecchia in cui, come parente e donna di gran religione, Valeria poneva molta fiducia, e l'indusse a chiedere a madonna Valeria perché cosí ripugnasse dal suo amore e perché, s'egli per via le rivolgeva qualche parola, ella non gli rispondesse neppure, o, se le mandava lettera alcuna, la rifiutasse. La parente sedotta dall'oro promise l'opera sua; e con molti preamboli e con lunghe ambagi cercò avvolgere il capo di madonna, non già affinché si disponesse a commettere il male, ma affinché non divenisse causa di guai a sé e al marito con quell'aspra freddezza che offendeva un signore quale Anselmo Canetoli. Non poteva essa, pur resistendo, mostrare almeno di compatirne il fervido amore? Furon parole! Madonna Valeria rispose: - Ditegli che io non gli voglio né bene né male: che io ho da attendere alla mia famiglia e a nient'altro. Lasciate che m'insidii o cerchi di farci del danno: la verità è come l'olio; e, grazie a Dio, non abbiamo bisogno delle sue ricchezze perché io debba perdere il mio buon nome dietro le sue smanie.

L'impresa diventava difficile, e piú degna di messer Anselmo. Anzi lo turbarono l'orgoglio ferito e la brama acuita da quel diniego cosí placido e fermo e lo spinsero, benché esperto e avveduto, all'assalto piú audace.

Co 'l pretesto di cercare Anastasio Bonesi s'introdusse nella casa di lui in ora che la moglie era sola. E alle sue preghiere e a' suoi lamenti e all'esagerazione stessa della sua passione madonna Valeria non contrappose lo sdegno; non contrappose nemmeno l'incredulità, oppose un rifiuto freddo e quieto ma tenace e irremovibile. L'assalto fu ributtato; e la volontà del giovane baldanzoso urtando per la prima volta con una volontà piú salda non si sostenne e non insisté: egli si dissimulò la propria debolezza, rise e volle dimenticare nei sollazzi e nelle orgie quello stolido capriccio inesaudito. Ma quando piú la giocondità e i piaceri gli fervevano attorno, gli appariva piú bella la serena e severa imagine di Valeria, e quasi per i sensi disposti ad altre gioie gli penetrasse piú vivace e sottile il desiderio di quel bene perseguito invano, tutte le dolcezze gli tornavano amare, tutti gli svaghi gli recavano un'intollerabile noia.

Chi ama di perfetto amore cerca con tutte le forze dello spirito e dei sensi il possesso spirituale e corporale della donna amata, e come se quel primo possesso gli mancasse non gli gioverebbe l'altro piacere, cosí quando non possa riposare e ritemprare il fervore dello spirito nella soddisfazione della carne, anche chi bene ama, soffre. Piú soffriva, disordinato amante che solo al piacere sensuale limitava l'intento dell'amore e della vita, il gentiluomo bolognese; e mentre imaginava e meditava la bellezza di Valeria, guardandola nel suo fisso pensiero, si diceva con raffinata cupidigia: - Oh! solo una volta, e poi, allora, o vivrei o morirei contento.

Ma per quanto si rimproverasse d'aver corso troppo e si ripetesse che non era stato abbastanza astuto e fermo, non ardiva ritentare l'impresa: comprendeva che madonna Valeria non avrebbe acconsentito mai, per ostinazione di coscienza o, peggio, per ostinazione di natura. Cosí il pensiero di lei s'impadroní solo e assoluto della sua mente e diventò doloroso. Cosí le domande e i sorrisi dei compagni, che gli leggevano in faccia la cura segreta, a lui sembravano oltraggi; a lui che un tempo aveva nascoste le proprie fortune (giacché le fortune d'amore uscendo quasi per sé medesime dal mistero, tanto piú acquistano pregio quanto piú apparisce lo sforzo di tenerle celate), riusciva ora d'umiliazione e vergogna dover mentire e lasciar travedere un'acerba sconfitta, quasi la sconfitta d'un capitano reputato invincibile.

Si sottrasse agli amici; e rinchiuso in casa s'abbandonò del tutto al suo cupo e inconsolabile affanno. L'insonnia cominciò a consumarlo e la febbre, una febbre sorda, a limargli le forze: quell'idea fissa gli struggeva il cuore, la giovinezza, la vita.

Meglio morire. Ma quando sentí che l'approssimava la morte si riscosse, spaventato, in un impeto di desiderio: - Vivendo, chi sa che per grazia di fortuna non conseguisse un giorno, una volta sola, il bene per cui s'era dato alla disperazione?

Ed egli sperava. Sperava e s'era ridotto a tal punto per disperazione! Delirava.

Delirando, tra le forme confuse e strambe di persone conosciute intorno a Valeria, una volta sognò anche la vecchia bigotta, la parente del mercante che egli si era amicata invano; e tornato in sé stesso mandò per lei affinché ella testimoniasse a Valeria della sua misera condizione. Quella accorse, e a trovarlo piú morto che vivo capí come per suo profitto le rimaneva un tentativo solo e innocente. - Messere - chiese - , volete che madonna Valeria venga a vedervi? - Oh sí! - rispose l'infermo - . Mi potrebbe guarire!

Poco dopo la vecchia diceva a madonna con aria di severità: - Valeria, tu sai che messere Anselmo muore per amore di te. Per la sua pazzia Dio lo castiga cosí; ma noi non dobbiamo godere che abbia del male chi intendeva farci del male: dobbiamo perdonare e venirgli in aiuto. Io l'ho visto, l'ho udito, e per l'amore dei tuoi figliuoli e per l'amore di Dio egli ti chiede d'andare da lui. Vuoi acquistarti del merito visitando un infermo e perdonando a chi cercava tirarti al peccato? E tu va. Non vuoi? E tu mettiti in pace con la coscienza e rimani.

Valeria tacque a lungo, riflettendo; poi sospirò e disse: - Voi avete ragione: bisogna che vada. - E incaricatala di tenere in ciarle Teresa e di badare ai figlioli, si vestí in fretta e uscí di soppiatto.

Intanto Anselmo attendeva, ma la speranza stessa gli era una fatica e una pena; e una sonnolenza grave e fantasiosa l'avvolse. In questa egli vide la morte. La morte, quale con freddo terrore da fanciullo aveva spesso considerata dipinta, tutta ossa, con uno sguardo nero nelle orbite cave e profonde e con un infernale sorriso tra le mandibole lunghe e dentute, s'avanzò scricchiolando con la mano tesa, quasi per toccarlo su 'l cuore, e pareva che dicesse: basta!

Egli si ritraeva con terrore freddo, gemendo. Ma la mano del mostro ricadde; dalle orbite cave gli lampeggiò una vivida luce come di due occhi di donna, e per virtú di tal luce lo scheletro a poco a poco rivestí umane forme e di donna innamorata ricevette a poco a poco la sembianza, il colore, il sorriso e una meravigliosa bellezza.

Al portento, l'infermo dié un grido di gioia; e scorse china su lui madonna Valeria.

- Messere - ella diceva - , voi avete vinto il piú duro assalto del male. - E gli tergeva la fronte soavemente.

- Dio vi rimuneri il beneficio - mormorò Anselmo, che si sentiva alleggerire e ristorare da una forza rinnovatrice di tutti gli spiriti. - Quel giorno foste cattiva...; oggi, no.

La donna arrossí e disse: - Volentieri sono venuta a vedervi; ma che cosa posso fare di piú?

Alla dimanda il viso di Anselmo tornò sofferente ed egli rispose: - La mia vita è la vostra - . E aggiunse: - Se mi contentaste solo una volta, dopo non mi vedreste mai piú, non udreste mai piú cosa alcuna di me.

- Voi non pensate all'anima vostra - ribatté la donna - , all'anima mia!

Anselmo ripeté: - La mia vita è la vostra. Per Cristo morto in croce, non dovreste ammazzarmi!

Tacquero; indi l'ammalato sospirò: - Lasciatemi dunque morire - ; e abbassò le palpebre rifinito.

Madonna Valeria ebbe paura: cosí, con gli occhi chiusi, nella penombra, l'infermo pareva un cadavere; e a lei in quei minuti lunghi di angoscia sembrò di sentire su la coscienza il peso del delitto che ancora non aveva commesso. Ella si dibatteva perché non voleva fallare, e avrebbe voluto concedere il bene invocato. E mentre pensava udiva l'affanno di Anselmo. - «Cedendo il corpo non salvava forse un uomo? E non cedendo l'anima chi avrebbe potuto incolparla d'infedeltà?» Sopraffatta da questo pensiero e vinta, disse con voce tremante: - Messere, fra un mese, se vi sarete rimesso, la sera del sette settembre, che mio marito deve andare a Firenze, verrete da me: vi prometto che v'aspetterò al portone dell'orto. Ma giuratemi che non mi cercherete mai piú.

Anselmo Canetoli giurò lieto il patto che gli salvava la vita. - Egli avrebbe, dopo, abbandonata Bologna per sempre.

Ma appena fuori di quella camera e di quella casa, quasi al lume e al rumore della strada ricuperasse la conoscenza e la misura della realtà e s'accorgesse d'essere stata còlta a un inganno, madonna Valeria sentí il turbamento, l'amarezza, il rimorso del fallo in cui era caduta, e giunta a casa sua, piena d'ira e smaniosa cominciò a raccontare alla vecchia ciò che pur troppo aveva fatto e che pur troppo aveva detto. La parente dissimulava la sua gioia tra le esclamazioni e i sospiri e la confortava. - In tal caso strano chi si sarebbe comportata altrimenti? Dio il quale perdona le colpe piú gravi, doveva perdonarle la colpa leggera che aveva e avrebbe commessa a fine di bene; - e, confortandola, per curiosità le chiedeva tuttavia particolari del fatto e spiegazioni, per cui apprese fino il giorno e il modo stabilito al convegno. Anzi l'appresero in due, giacché Cristina, che aveva vista la cognata uscire pensosa e tornare con in faccia il segno d'una sventura, fiutando il mistero s'era messa ad ascoltare dietro una porta, e, come accade sempre a chi ascolta di nascosto, imparò e indovinò proprio quello che meno s'attendeva e voleva. Non di lei, ma di Valeria messer Anselmo era stato ed era preso al punto che Valeria, per compassione di lui, avrebbe tra un mese disonorato il marito. Arrabbiata pertanto e sconvolta dall'odio, deliberò vendicarsi; e la sera di quel medesimo giorno rivelò al fratello tutto quanto aveva appreso.

Anastasio alle parole di lei rimase come a un colpo di mazza nella testa; ma tosto si riebbe e si contenne; finse di non credere nulla; minacciò la sorella che guai a lei se ripetesse ad alcuno una tale istoria, e, cosí gli premeva il suo nome e cosí poca fede aveva nella segretezza e nella benignità di sua sorella, pochi giorni dopo la mandò a Pianoro presso un cugino.

Quetato in questo, Anastasio, che della parente non dubitava, poté cercare il partito piú acconcio per impedire che la moglie gli fallasse e nel medesimo tempo per sorprenderne l'intenzione maligna di cui voleva punirla; per scoprire la verità, ma anche evitare uno scandalo e, non essendo uomo uso a spada o a pugnale, evitare danni piú gravi. E dopo molti disegni risolvette di travestirsi e di penetrare egli nell'orto prima dell'amante, la sera del convegno.

Oh come trascorrevano lenti i giorni pe 'l povero uomo, e che fatica durava a celare il suo travaglio! E madonna Valeria penava al pari di lui. Ma non è donna cosí onesta che non volga l'animo, sia pure in fugaci abbandoni, agli stimoli e alle lusinghe della colpa, ed essa udendo che messer Anselmo aveva ricuperato vigore e salute e già usciva di casa, non poteva non sentire in sé stessa il merito di averlo guarito e non pensare che molte belle donne ne sarebbero state orgogliose. Pensieri cattivi; e per scacciarli ella ricordava Anastasio e l'amore di lui; e cosí ricordava anche il torto della sua brutta promessa: onde con la ragione combattuta e la coscienza affannosa, o non dormiva, la notte, o non dormiva tranquilla.

Venne, come a Dio piacque, la mattina del giorno temuto da madonna Valeria, sospirato da Anselmo Canetoli e maledetto da Anastasio Bonesi; e questi, detto addio alla moglie, con tutte le sue robe se n'andò in un luogo poco lontano ad aspettarvi l'ora di tornare travestito a casa.

Valeria socchiuse il portone dell'orto per tempo. Ma il diavolo, che spesso si diletta di trascinare con disagio ai suoi fini, mandò proprio quella sera due mercanti romagnoli in cerca di Anastasio Bonesi; e la donna, conforme il solito, dovette ospitarli in casa sua. Preparata loro la cena, ella uscí, e scorta l'ombra che supponeva l'amante, gli si accostò risoluta dicendo piano: - Messere!

Egli tese le braccia. Ed ella: - Siete guarito?

Anastasio rispose come meglio seppe, ma non cosí piano e non con tale simulazione e sicurezza che con súbito orrore la donna non scoprisse in lui il marito. Nondimeno, riponendo la sua salute nella sua sagacia, essa rifletté un istante e riuscí a contrapporre un inganno all'inganno: pregò l'altro di pazientare che certi suoi ospiti romagnoli andassero a letto, sicché senza sospetto lor due potessero restare insieme. E l'introdusse nel magazzino, che chiuse a chiave; indi corse nell'orto; aprí il portone, dietro il quale Anselmo Canetoli già imprecava alla lealtà delle donne, e facendogli segno di tacere e di seguirla, lo condusse in una stanza vicina, dove l'affrettò a liberarla dell'obbligo suo.

Ma come chi riarso di sete in un dí canicolare brama un bicchiere di acqua attinta appena dal pozzo, e se può averla, l'inghiotte avidamente e ne domanda dell'altra, Anselmo Canetoli avrebbe voluto bere ancora ancora alla coppa della voluttà; e madonna Valeria, ch'era piena d'ira perché Anastasio aveva dubitato di lei e aveva tentato di superarla in astuzia, e, d'altra parte, sentiva di qual gioia aveva confortato il suo amante, pensava: - Quanto bene mi vuole! Mio marito che ha tal fede in me, si meriterebbe che non lo lasciassi andare. - Cattivo pensiero, che ella respinse con molta fatica. Poi disse: - Messere Anselmo, mantenete la vostra parola: andate, e non pensate piú a me.

Anselmo sospirò, la baciò e, vincendosi, le ripeté ch'ella non l'avrebbe mai piú riveduto ma che egli l'avrebbe ricordata in ogni luogo e per sempre. E partí.

A Valeria restava da pacificare il marito, e non solo per salvezza di sé, ma anche per conforto di lui; né fu certo il desiderio di vendicarsi che le consigliò uno strattagemma crudele. Non trovò miglior strattagemma; e tutt'angosciosa corse dove erano i mercanti e disse loro: - Messeri, ajutatemi! Un giovane, che mi sta attorno da un pezzo, ora è qui in casa con mala intenzione. Voi gli insegnerete a non disturbare le donne degli altri.

I due balzarono in piedi ed essa li accompagnò al magazzino dove entrati, quelli gridarono: - Ah cane! Ah vigliacco! Ti daremo noi l'andare attorno alle donne degli altri! - e, secondo il costume dei romagnoli, non avevano finito di minacciare che già tempestavano Anastasio di pugni e di calci. Per farsi riconoscere, il misero gridava bestemmiava pregava, e fu riconosciuto dopo che era ben pesto; ma i mercanti non lo riconobbero con meraviglia minore del vederlo fra le braccia di madonna Valeria demandando perdono e chiamando sua moglie la piú virtuosa e piú saggia donna del mondo.

Madonna Valeria si fingeva stordita e chiedeva: - Come siete voi qui? E quello a cui doveva capitare ciò che purtroppo è capitato a voi?

- Sta sicura - rispose allora Anastasio: - ho chiuso io il portone dell'orto!

Cosí, finalmente, madonna Valeria poté dormire tutta una notte d'un sonno tranquillo e pieno e riposare la sua buona coscienza nell'opera di pietà, la quale aveva compiuta: non quella d'aver convinto in tal guisa il marito della sua virtú per risparmiargli la gelosia e la certezza del disonore; - non quella: l'altra.

PASSIONE

D'UN GENTILUOMO VENEZIANO

Sec. XVI.

I.

Lettere di due amanti.

Il magnifico gentiluomo Alvise Pasqualigo, tornato dopo lunga assenza a Venezia, incominciò con lettere impronti e frequenti ad esagerare a madonna Vittoria, come ogni amante che s'accinga a una difficile conquista, la forza e le pene della sua passione: per non darle noia, sette anni era rimasto lontano da lei; tre anni aveva errato pe 'l mondo in vana ricerca di svaghi: sperando che ella almeno gli concedesse di svelarle a voce alcuni segreti, con le fiamme nel cuore era tornato in patria.

A messer Alvise, buon amico d'infanzia, Vittoria, la quale era moglie ad un giovane conte, rispose per lamentarsi ch'egli le mandasse delle ambasciate affidandole a servi: «La mia professione è sempre stata ed è di donna d'onore, né mai mi sarebbe caduto nell'animo, che voi aveste usato meco sí fatta discortesia. Basta, pazienza, non resterò per questo di amarvi quale fratello....»

Ma Alvise meritava scusa, e le scriveva:

«Che cosa posso far io, infelice, per disacerbare il dolore ch'io sento dell'amarvi senza mercede? E s'io non vi facessi, per qualche vostra donna di casa, intendere i tormenti che per cagion vostra sostegno, in che modo potrei io vivere? Deh, anima mia, non vi sdegnate s'io paleso parte di quell'ardore, il quale non potrei se non con grandissimo pericolo della mia vita tener nascosto. Ma se m'astringete co 'l comandarmi, son contento d'obbedirvi.... Ben vi prego a concedermi tanta comodità ch'io vi possa parlare, o vero a dimostrarmi il modo di darvi alcuna lettera....»

Or dunque come la contessa scongiurava invano messere Alvise ad esser prudente, a non mostrare il suo ritratto ad alcuno, a non discorrere con alcuno di lei, a non mandarle ritratti perché non voleva esser scoperta; come, non crudele quale egli la chiamava, poteva dirgli in coscienza: «Io vi amo, il che mi pare che non sia male, nascendo dall'amore ogni buona operazione», qual fallo mai avrebbe commesso concedendogli di parlarle, dietro la porta di casa, una sola volta?

Cosí, per quel primo onesto colloquio e per le lettere che Alvise le inviava ardentissime, doveva penetrare nell'animo di madonna una gran dolcezza d'amore puro, una gran compassione pe 'l nobile giovane innamorato: e quando lo seppe infermo in villa, gli scrisse tutta amorosa che cercasse di venire a Venezia per rimettersi piú facilmente; e poi, piú tardi, gli si mostrava ammirata «dello splendore che senza pari ritrovava in lui», e per lui pregava il Signore: anche accettava e gli mandava e gli chiedea dei piccoli doni.

Ma Alvise non viveva lieto, né la promessa di lei, che «se è vero che di là come di qua vi sia amore, e si ami, esso mio spirito in Cielo vi godrà», gli arrecava bastevole conforto; e avrebbe voluto tornare a discorrere con lei. Temeva ella nella dimanda ostinata un'insidia, e disperando che l'amore di lor due rimanesse «giusto fedele e onesto» com'era incominciato, minacciò Alvise di rifiutare le sue lettere: «Conosciuta la vostra disonestà, mi sono spogliata di quell'amore ch'io vi portava....»

A che, disperato, egli: «Poi che tanto vi piace che dal mondo mi toglia, son contento di soddisfarvi. E perciò mi risolvo, con la prima occasione, d'andar in luogo tanto lontano che secondo il desiderio vostro finisca i miei giorni.»

E madonna Vittoria, pentita e impaurita, un giorno l'accolse in casa furtivamente: fu quello il giorno della colpa. Da quel dí in avanti le lettere di madonna Vittoria si susseguirono piene di amarezza, di tristezza profonda, che derivava, piú tosto che dai rimorsi, dal rimpianto pei lunghi piaceri cui libera avrebbe potuto gustare; dall'amore stimolato, esasperato dalla bramosia sensuale; dal timore, quasi dal presentimento che tra breve Alvise si sarebbe stancato di lei.

Dopo ciascuno dei gioiosi convegni, che consentiva l'assenza del marito, ella piangeva:

«Come foste partito mi gettai nel letto, e con gli occhi del corpo (benché co 'l pensiero a voi) m'addormentai: indi a poco svegliatami e ritrovatami senza di voi, cominciai a pianger sí forte che s'io non mi fossi nascosta sotto la piega del letto averei senza dubbio svegliato ognuno di casa.... La maninconia m'è sí cresciuta che mi sento uscir fuora l'anima....»

Di lui era compresa cosí intimamente che a ripensarne le parole ne riudiva la voce e dalla voce ne riacquistava la sensazione intera: essa si deliziava a martoriarsi finché si abbatteva in una mortale angoscia.

«Da quell'ultima ora che mi parlaste fino a questa si è cresciuta in me la confusione, ch'io non so piú quello ch'io mi faccia. Le vostre dolcissime parole mi sono rimase cosí vive nella memoria che, se talor chiudo gli occhi, parmi di vedervi e di ragionar con voi; il che è cagione che molte volte stendo le braccia per abbracciarvi, e mi ritrovo ingannata. Onde destatami, vergognata di me stessa, sento tanta passione che mi è forza di desiderar la morte per uscir una volta di pene.... Troppo grave tormento è l'aver desiderio di cosa amata piú che la propria anima, e vedersene privo senza speranza di poter già mai per lunghezza di tempo goderla!....»

Né conosceva ancora le pene della gelosia; ma quando il marito tornò e cominciò a sospettare e già alcuno dei vicini e dei conoscenti mormorava della loro tresca, dovettero contenersi e non vedersi che di rado. Quali altre donne vedeva Alvise? Ove passava il giorno? A che feste si recava?

Messer Alvise pareva tuttavia appassionato; e per andare da madonna, avvertito da segnali di richiamo, sfidava la vigilanza del marito e degli altri, e giurava che tra le braccia di lei, nel tripudio dei sensi e dell'animo, si sentiva davvero felice. Felice era essa pure in quei momenti, anche perché si vendicava del marito il quale, mentre ella era con Pasqualigo, «stava a piacere con altrui»; ma l'invidia e la viltà la privarono pure di consolazioni sí fugaci. Lettere anonime persuasero il conte che la moglie lo tradiva e tentarono persuadere madonna Vittoria che era ingannata dall'amante: il Pasqualigo ebbe minaccie di morte entro il termine di otto giorni se si ritrovasse ancora una sera con Vittoria; e madonna soffriva d'una gelosia divenuta un incomportabile tormento.

Invano egli tentò di assicurarla che solo per nascondere il vero amore simulandone un altro corteggiava altra donna, giacché ella dubitava ogni giorno piú e ripeteva di volere uccidersi; ella che già per amore di lui non s'era curata né «di parenti, né di fratelli, né di padre, né di figliuoli».

- «Ma ditemi - egli le scriveva per frenarla - : vi piacerebbe ch'io trasportato dall'appetito e rotto ogni freno di ragione, venissi con forza a levarvi di casa per torvi di mano di chi potrebbe tor la vita a voi? O pure vi piacerebbe ch'io, spinto dal desiderio della salute e contentezza vostra, uccidessi lui, onde mi convenisse poi d'esser eternamente separato da voi, la qual dite che prima di me morireste?....»

I pericoli infatti aumentavano con l'aumentare dei sospetti nel marito, il quale proibiva alla moglie finanche di stare alla finestra, e fino a un amico dava incarico di osservarla: a un certo Fortunio.

Costui già da tempo aveva saputo che un ritratto di Vittoria era in possesso d'Alvise; piú d'una volta era stato su 'l punto di sorprendere gli amanti; forse egli era stato l'autore delle lettere anonime e forse quegli che aveva trafugato a madonna un pacchetto di lettere: di madonna era lui pure acceso. Oltre Fortunio spiava Vittoria una ribalda, cognata o suocera.

E il marito «tutto il dí gridava seco dicendole: io ti darò tanta mala vita che ti farò anzi ora morire - »

Essa era incinta. Non le era permesso svago alcuno; e, «per essere priva di ogni conversazione, e, si può dire, confinata in casa, le conveniva pensar sempre di quella cosa che piú le era cara»; e cosí la violenza dei desideri diveniva in lei uno spasimo, una frenesia.

«Ieri vi vidi in strada, e mi venne rabbia grandissima di baciarvi, onde mi sentiva morire, e credo certo che se lui non era in casa, io era sforzata, rompendo ogni velo di onestà, di chiamarvi ad alta voce - In somma, questa nostra vita è troppo aspra e mi pare quasi impossibile di poterla vivere lungo tempo....

«Misera e disavventurata! A che termine sono giunta per amore, dal qual non può o non dovrebbe nascere altro che buoni effetti e pur in me non provo altro che passioni, tormenti e morte; e se pur io potessi finire - sí come tante volte ho desiderato e ora vie piú che mai bramo per le disperazioni che nascono in me dal non potervi abbracciare - sarei contenta....»

«Bisogna frenare gli appetiti, e scacciare certi pensieri dannosi» - esortava Alvise co 'l tono dell'amante che può riflettere dopo essere stato soddisfatto.

I mesi, intanto, passavano; e madonna Vittoria sfogava appena per lettere i lunghi e duri affanni:

«Questo crudel matto di mio marito non cessa di contrastar meco tutto il dí.... Durante il parto.... io ho avuto disagio d'un uovo fresco.... Ma non manco al bambino di cosa alcuna...., né posso pur patire di dilungarmi punto dalla cuna per non lasciarlo piangere....»

Alle sofferenze di lei Alvise adduceva conforto di parole; e, una volta, per parlarle si vestí da donzella e, accompagnato da una donna, si pose in chiesa, alla predica, nella stessa panca di lei; ma poi, sospettato uomo, fu costretto ad uscire: un'altra volta, mentre stava discorrendo con Vittoria, essa fu sorpresa da uno di casa e acerbamente sgridata e minacciata di morte. In tale guerra, con troppo brevi tregue, l'amore di messere Alvise si raffreddava e nell'inquietudine e nei pericoli (egli doveva guardarsi da' sicari; e certo giorno ferí tre che l'assalirono per via, e non azzardava ad andar fuori che accompagnato da tre gentiluomini: madonna Vittoria temeva che il marito l'avelenasse) le doglianze e i raffacci degli amanti divenivano piú acerbi e piú frequenti.

Per lei Alvise «aveva dispregiati gli onori della sua repubblica; per lei aveva messo a rischio l'onore offendendo, percuotendo e ferendo non solo uomini e donne di basso stato, ma di sangue nobile e alto: l'amò per tutta la vita attendendo il guiderdone della divina maestà!» E Vittoria, di rincontro: «Le vostre crudeltà sono tante e tante che meritano che ciascuno le fugga!»

Alla fine egli le scrisse che per non accontentare i suoi, i quali volevano s'ammogliasse, partirebbe da Venezia: essa lo scongiurò che rimanesse, magari s'ammogliasse, e lo minacciò: «Vi avvertisco bene che vi potreste ancora chiamar pentito; e tenetevi a mente queste parole perché si verificheranno». - Ed egli rimase, e n'ebbe premio di brevi gioie.

Ma poi, d'improvviso, si decise ad andarsene. Ella fe' giuramento di morte o libertà dal suo amore; egli disse: - morrò ma parto - , e partí davvero.

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