III.

Guglielmo Berlinghieri era tornato e ritornato piú volte alla casa dell'amante meravigliandosi del lungo e strano ritardo, finché dalla casa udí delle grida e dei gemiti, e per chiarirsi dell'accaduto s'arrestò dinanzi la porta. La madre dell'Agnesina, insospettita per lo scalpitío frequente del cavallo di Guglielmo e levatasi, aveva scoperta la fuga della figliuola; e la fantesca, che aveva udito da un pezzo la corsa del primo cavallo, scese anch'essa le scale, quasi ignara di tutto, e al veder Berlinghieri solo presso l'uscio cominciò anch'ella a piangere, a gridare tradimento! aiuto! corri corri!, e a dire quel che sapeva. Da che Guglielmo capí presto che il rapitore non poteva essere se non l'Imberali; e corse alla porta della città per richiedere e rimproverare i compagni. Costoro risposero:

- Vedemmo un cavallo passare di trotto e non potemmo conoscere chi vi fosse sopra. Saranno lontani, ma la via è questa. - E per quella via cavalcarono tutti e tre.

Quando giunsero all'abetaia, la luna, in ultimo quarto, era in mezzo al cielo. Guglielmo vide súbito il destriero di Riccardo e i tre pervennero tosto ove il lume della luna, fra i rami e le foglie, tremava sui due amanti felici. Alla vista i compagni ammiccarono e Guglielmo afferrò il pugnale; ma l'uno disse: - Berlinghieri non ferirà un cavaliere che dorme - , e l'altro, anche piú cortese, disse: - Noi non consentiremo mai che tu faccia paura a una fanciulla che giace cosí tranquilla - . E l'uno e l'altro fermarono per le briglie i loro cavalli ad un tronco; poi, come quelli che non provavano angoscia di gelosia e si sentivano tutti rotti per la corsa sfrenata, coricatisi su l'erba fresca a riposare, dopo poco, tant'alta era la quiete del luogo, s'addormentarono. Ma Guglielmo, legato egli pure il cavallo a un abete, si sedé con piú desiderio di vendicarsi che di dormire, e guardava la bella giovane dormire cosí, e avrebbe voluto ricuperarla. Se non che nessuno sa convincersi del proprio danno, ed egli voleva anche convincersi dell'innocenza di lei: forse ella aveva respinto l'amante con promesse mendaci, e nella speranza di chi la liberasse era stata presa dal sonno. E allora perché dormiva Rinaldo e dormiva con faccia gioiosa? No: la colpa della fanciulla pareva manifesta; ma essa era una povera fanciulla e degna di scusa. Degno invece di un'acerba vendetta era Rinaldo Imberali; e quale migliore vendetta dell'aspettare che l'Agnesina, risvegliandosi già pentita del fallo, corresse nelle braccia di lui, Berlinghieri? Veramente ella poteva anche opporsi all'amore antico, e con che scorno per lui, Berlinghieri! Ma Guglielmo ricordava le prove di quell'amore, e incredulo, quasi non vedesse ciò che vedeva, pensò che fingerebbe di dormire anche lui per sorprendere gli atti dell'Agnesina al ridestarsi e attendere ch'ella piú facilmente, perché non rimproverata, minacciata o pregata, tornasse a lui. Però dié tregua ai pensieri, e a poco a poco - tant'alta era la quiete del luogo - a quel suo affanno; a poco a poco sentí la stanchezza e sentí il ristoro di quel letto d'erba fresca e molle; e gli si annebbiavano i pensieri, e gli sembrava che la ragione lo aiutasse. A che penar tanto e tanto faticare per una fanciulletta senza giudizio? Non lo chiamavano belle donne a Firenze desiderose di lui? Non era da pazzo correr dietro a dei pazzi? E non era meglio dormire davvero?

La stanchezza..., l'alta quiete del luogo..., l'erba fresca...; e Guglielmo Berlinghieri non ebbe piú forza di rilevare le pálpebre.

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