SCENA PRIMA

Argia

Eccoti in Tebe, Argìa... Lena ripiglia

del rapido viaggio... Oh! come a volo

d’Argo venn’io! – Per troppa etade tardo,

mal mi seguiva il mio fedel Menéte:

ma in Tebe io sto. L’ombre di notte amico

velo prestaro all’ardimento mio;

non vista entrai. – Questa è l’orribil reggia,

cuna del troppo amato sposo, e tomba.

Oh Polinice!... il traditor fratello

qui nel tuo sangue l’odio iniquo ei spense.

Invendicata ancor tua squallid’ombra

si aggira intorno a queste mura, e nega

aver la tomba al fratel crudo appresso,

nell’empia Tebe; e par, ch’Argo mi additi...

Sicuro asilo Argo ti fu: deh! il piede

rimosso mai tu non ne avessi!... Io vengo

per lo tuo cener sacro. A ciò prestarmi

sola può di sua mano opra pietosa

quell’Antigone, a te già cara tanto

fida sorella. Oh come io l’amo! oh quale,

nel vederla, e conoscerla, e abbracciarla,

dolcezza al cor me ne verrà! Qui seco

a pianger vengo in su la gelid’urna,

che a me si aspetta; e l’otterrò: sorella

non può a sposa negarla. – Unico nostro

figlio, ecco il don, ch’io ti riporto in Argo;

ecco il retaggio tuo; l’urna del padre! –

Ma dove, incauta, il mio dolor mi mena?

Argiva son, sto in Tebe, e nol rimembro? –

L’ora aspettar, che Antigon’esca... E come

ravviserolla?... E s’io son vista? ... Oh cielo!...

Or comincio a tremar;... qui sola... Oh!... parmi,

che alcun si appressi: Oimé!... che dir? qual arte?

... Mi asconderò.

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