SCENA SECONDA

Antigone

– Queta è la reggia; oscura

la notte: or via; si vada... E che? vacilla

il core? il piè, mal ferme l’orme imprime?

Tremo? perché? donde il terrore? imprendo

forse un delitto?... o morir forse io temo? –

Ah! temo io sol di non compier la impresa.

O Polinice, o fratel mio, finora

pianto invano... – Passò stagion del pianto;

tempo è d’oprar: me del mio sesso io sento

fatta maggiore: ad onta oggi del crudo

Creonte, avrai da me il vietato rogo;

l’esequie estreme, o la mia vita, avrai. –

Notte, o tu, che regnar dovresti eterna

in questa terra d’ogni luce indegna,

del tuo più denso orrido vel ti ammanta,

per favorir l’alto disegno mio.

De’ satelliti regj al vigil guardo

sottrammi; io spero in te. – Numi, se voi

espressamente non giuraste, in Tebe

nulla opra mai pietosa a fin doversi trarre,

di vita io tanto sol vi chieggio,

quanto a me basti ad eseguir quest’una. –

Vadasi omai: santa è l’impresa: e sprone

santo mi punge, alto fraterno amore...

Ma, chi m’insegue? Oimé! tradita io sono...

Donna a me viene? Oh! chi sei tu? Rispondi.

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