Antigone
– Queta è la reggia; oscura
la notte: or via; si vada... E che? vacilla
il core? il piè, mal ferme l’orme imprime?
Tremo? perché? donde il terrore? imprendo
forse un delitto?... o morir forse io temo? –
Ah! temo io sol di non compier la impresa.
O Polinice, o fratel mio, finora
pianto invano... – Passò stagion del pianto;
tempo è d’oprar: me del mio sesso io sento
fatta maggiore: ad onta oggi del crudo
Creonte, avrai da me il vietato rogo;
l’esequie estreme, o la mia vita, avrai. –
Notte, o tu, che regnar dovresti eterna
in questa terra d’ogni luce indegna,
del tuo più denso orrido vel ti ammanta,
per favorir l’alto disegno mio.
De’ satelliti regj al vigil guardo
sottrammi; io spero in te. – Numi, se voi
espressamente non giuraste, in Tebe
nulla opra mai pietosa a fin doversi trarre,
di vita io tanto sol vi chieggio,
quanto a me basti ad eseguir quest’una. –
Vadasi omai: santa è l’impresa: e sprone
santo mi punge, alto fraterno amore...
Ma, chi m’insegue? Oimé! tradita io sono...
Donna a me viene? Oh! chi sei tu? Rispondi.