Scena quarta

Tigellino, Nerone, Poppea.

Tigel. Viva Neron.
Ner.

Gli hai tu dispersi? spenti?

Signor son io di Roma? - E che? tu torni

senza sangue sul brando?

Tigel.

Ancor di sangue

tempo non è; ma ben si appressa, io spero.

Pur, grand'arte esser vuole: io fei piú grida

sparger fra 'l volgo: or, che ti appresti forse

a ripigliare Ottavia; ov'ella possa

d'alcune taccie di maligne lingue

purgar sua fama: or, che gli oltraggi insani

fatti a Poppea, destato a nobil ira

aveano il cor d'Ottavia stessa; e ch'ella

di pace in Roma apportatrice riede,

non di scompiglio...

Poppea

E crede il popol stolto,

ch'io la di lei pietá?...

Ner.

Sempre arte, sempre?

Non ferro mai?

Tigel.

La men probabil cosa,

vera talvolta al popol pare. O stanco

fosse, o convinto, a queste varie voci,

ei rattemprò di sua ribelle gioja

il gran bollore in parte. Il dí frattanto

si muore; e fian segnal funesto l'ombre

di ragioni ben altre. Giá giá taciti

i pretoriani schieransi; proscritte

giá son piú teste. Il nuovo sol vedrassi

sorger nel sangue; e nel silenzio, quindi.

Ma, se pur spento ogni tumulto affatto

doman tu vuoi; se a breve gaudio falso,

lungo terribil lagrimar verace

vuoi che sottentri; ad evidenza piena

or t'è mestiero trar le accuse gravi

giá intentate ad Ottavia: in altra guisa

mai non verresti del tuo intento a fine.

Tutti uccider non puoi...

Ner. Men duol.
Tigel.

Ma tutti

convincer puoi. L'ultima strage è questa,

ove adoprar l'arte omai debbi.

Ner.

Vanne,

poich'è pur forza; e le intentate accuse

caldamente prosiegui. Andiam, Poppea;

vendetta avrem di quest'iniqua. Intanto

il di verrá, che compier mie vendette,

piú mestier non mi fia l'altrui soccorso.

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