Nerone, Poppea, Seneca.
Ner. | Perfido; ed osi al mio divieto?... |
Poppea |
Ah! vieni; vieni, ed udrai... |
Ner. |
Che udir? fra poco anch'egli la ragion stessa, che alla plebe appresto, udrá da me. - Ma, oh rabbia! ancor non cessa il popolar tumulto: i preghi chiusa trovan la via: verrá tra breve il ferro, e sgombrerassi ampio sentiero. Acqueta l'alma, o Poppea: domani al ciel risorte tue immagini vedrai: nel fango stesso, ma d'atro sangue intriso, strascinate vedrai le altrui. |
Poppea |
Che che ne avvenga, Roma sappia or da te, ch'io non ti ho chiesto sangue ad espiare il ricevuto oltraggio; benché a soffrir grave mi fosse. Ardisce pur crude mire la ria plebe appormi: e costui pure, il precettor tuo, m'osa ciò appor, bench'ei nol creda. Io te, mio primo Nume, ne attesta: il sai, s'altro ti chiesi, che l'esiglio d'Ottavia. Erami duro vedermi innanzi ognor colei, che s'ebbe, non lo mertando, il mio Neron primiera: ma, del suo esiglio paga, a' suoi delitti stimai che pena ella ben ampia avesse, nel perder te: pena, qual io... |
Ner. |
Deh! lascia parlar Seneca, e il volgo. A Roma or ora chiaro farò, qual sia quest'idol suo. |
Seneca |
Bada, Neron; piú che ingannar, t'è lieve Roma atterrir: l'uno assai volte festi; l'altro non mai. |
Ner. |
Ma, di te pur mi valsi ad ingannarla io spesso; e a ciò pur eri arrendevole tu... |
Seneca |
Colpevol spesso anch'io: ma in corte di Nerone io stava. |
Ner. | Vil servo... |
Seneca |
Il fui, finch'io mi tacqui; or sorge il dí, ch'io sciolgo a non piú intesi detti libera lingua. Al mio fallire ammenda fian lieve i detti, è ver; ma in fama forse tornar potrammi alto morire. |
Ner. |
In fama io ti porrò, qual merti... |
Seneca |
Infin che grida di plebe ascolto, che il furor tuo crudo col tuo timor rattemprano, t'è forza soffrirmi ancora: e l'irritarti intanto giova a me molto; e il farti udir sí il vero, che al ritornar del tuo coraggio io cada vittima prima: e, se me pria non sveni, Ottavia mai svenar non puoi, tel giuro. Io trar di nuovo, e a piú furore, io posso la giá commossa plebe; appien svelarle io posso i nostri empj maneggi: io, trarti, piú che nol credi, ad ultimo periglio. - Io di Neron fui consigliero; e m'ebbi vestito il core dell'acciar suo stesso. Io, vil, credei per compiacerti, o finsi creder, (pur troppo!) del perduto trono reo Britannico pria; quindi Agrippina d'avertel dato; e Plauto e Silla rei d'esserne degni reputati; e reo di piú volte serbato avertel, Burro: ma, reo stimai me piú di tutti, e stimo; e apertamente, a ogni uom che udire il voglia, in vita, e in morte, io 'l griderò. Tua rabbia, sbramala in me; securo il puoi: ma trema, se Ottavia uccidi: io te l'annunzio; tutto sovra il tuo capo tornerá il suo sangue. - Dissi; e dir m'importava. - A me in risposta manderai poscia, a tuo grand'agio, morte. |