Scena prima

Ottavia.

Ecco, giá il popol tace: ogni tumulto

cessò; rinasce il silenzio di morte,

col salir delle tenebre. Quí deggio

aspettar la mia sorte; il signor mio

cosí l'impone. - Or, mentre sola io piango,

che fa Nerone? In rei bagordi egli apre

la notte giá. Securo stassi ei dunque?

sí tosto? appieno?... E in securtá pur viva!

Ma, a temer pronto, e a distemer del pari,

nulla ei piú crede ad un lontan periglio:

di un tanto error, deh, non glien torni il danno! -

Fra disoneste ebrezze, e sozzi giuochi

di scurril mensa, or (qual v'ha dubbio?) orrenda

morte ei mi appresta. Il fratel mio giá vidi

cader fra le notturne tazze spento;

scritto in note di sangue a mensa anch'era

d'Agrippina l'eccidio: ognor la prima

vivanda è questa, che a sue liete cene

imbandisce Neron; le palpitanti

membra de' suoi. - Ma, il tempo scorre; e niuno

venire io veggio,... e nulla so... Del tutto

Seneca anch'egli or mi abbandona?... Ah, forse

piú non respira... Oh cielo!... ei sol pietoso

era per me... Neron giá forse in lui

il furor suo... Ma, oh gioja! Eccolo, ei viene.

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